Tutta colpa di Abramo - 13/11/2023
“Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Nel mondo avete delle
tribolazioni, ma abbiate coraggio : io ho vinto il mondo”. (Gv. 16,33).
Con queste parole il patriarca di Gerusalemme si rivolge alla sua Diocesi e alla
comunità cristiana di Gaza.
Questo ennesimo conflitto scoppiato in Israele, ha radici forse più profonde e
antiche di quanto si possa pensare. Radici di cui le religioni non sono esenti da
responsabilità , perlomeno in quanto le religioni che hanno in quella terra le loro
origini non hanno saputo comporre.
Verrebbe da dire: “Tutta colpa di Abramo!”.
Dio ha promesso quella terra ad Abramo e alla sua discendenza.
Abramo aveva una spasmodica preoccupazione di avere un erede. Allora prima
adotta un servo, poi concepisce un figlio da una schiava egiziana, infine ebbe un
figlio da sua moglie Sara. Da Ismaele, figlio della schiava discendono gli Arabi. Da
Isacco figlio di Sara discendono gli Ebrei e di conseguenza i Cristiani.
Da subito Ismaele e Isacco si contesero quella terra.
Se Abramo avesse saputo! Ma forse sognava e sogna ancora che questi due
popoli, culture e religioni possano vivere in pace.
Sembra che i conflitti siano frutto delle religioni!
Credo che le religioni abbiano un compito importante per la pace, credo sia l’unico
compito che sono chiamate ad assolvere.
Credo fosse questo che Abramo cercava quando partì da Ur, nel golfo persico per
cercare una terra dove potesse regnare la pace. La terra da cui è partito era molto
più fertile e bella della terra di Israele. Ma non cercava una terra bella o ricca, ma
dove si potesse costruire una comunità di fratelli, che, sia pur diversi, erano
accumunati da alcuni valori: la ricerca di una terra, che in fondo non era altro che
la ricerca di se stessi, e la voglia di interrogare le stelle e farsi interrogare dalle
stelle.
Forse anche generare due figli di razze diverse voleva esprimere il sogno di una
convivenza pacifica tra due popoli.
Molte volte Dio dice ad Abramo: guarda le stelle, contale, raccontale, ascolta il loro
racconto...
La tua discendenza dice ancora Dio sarà più numerosa della stelle del cielo.
Ma quella discendenza non è quella di Ismaele o Isacco. La discendenza di
Abramo e composta da tutte le persone che si mettono in viaggio verso se stessi o
verso il fratello rispondendo alle prime due domande che Dio pone all’uomo: “dove
sei?” e “dov’è tuo fratello?” .
Il 14 febbraio 1990 Carl Sagan, astronomo statunitense, si trovava in California,
dove era stata costruita la sonda spaziale Voyager 1.
Dopo 13 anni di attività aveva raggiunto una distanza di circa sei miliardi di
chilometri dalla terra e si stava dirigendo verso le regioni esterne del sistema
solare. Prima di spegnere le sue telecamere Sagan chiese ai tecnici di girare la
telecamera all’indietro, verso di noi, per fotografare la terra.
Il semplice gesto di cambiare il punto di vista ci ha regalato una immagine del
nostro pianeta inedita: un piccolissimo puntino blu di tantissimi altri puntini
luminosi.
A proposito di questa foto, Sagan nel 1994 scriverà queste parole:
“Da questo distante punto di osservazione, la terra può non sembrare di
particolare interesse. Ma per noi, è diverso. Guardate quel puntino. E’ qui. E’ casa.
E’ noi. Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di
cui avete sentito parlare, ogni essere umano che sia esistito, hanno vissuto la
propria vita. L’insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie,
ogni eroe e codardo, ogni madre e padre, figlio, ogni santo e peccatore nella storia
della nostra specie è vissuto lì, su quel minuscolo granello di polvere sospeso in
un raggio di sole. ...La terra è l’unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita.
Che ci piaccia o meno, per il momento la terra è dove ci giochiamo le nostre
carte...Noi umani siamo parte della terra, è la nostra casa madre. Abbiamo il
dovere come individui e come collettività di preservarla. E’ nostra responsabilità
occuparci più gentilmente l’uno dell’altro, e di preservare e proteggere il pallido
punto blu, l’unica casa che abbiamo mai conosciuto”.
E la discendenza di Abramo e fatta di tutti coloro che guardando le stelle hanno
compreso la loro piccolezza e sulla terra ci stanno con umiltà e mitezza.
E questo popolo non è fatto di Ebrei o Arabi, ma è trasversale ad ogni popolo,
razza, cultura e religione.
Che nessuno osi appellarsi alla religione come discendente di Abramo per fare
guerra.
Il Dio di Abramo ha chiamato lui e i suoi discendenti per fare della terra il luogo
della Pace. E non dimentichiamo mai che Abramo di quella terra non ne occupò
mai neppure un pezzo. Cercò sempre una pacifica convivenza coi popoli che vi
risiedevano. E prima di morire si preoccupò di comprarne quel tanto che bastava
per esservi sepolto, lui e sua moglie.
L'alluvione e le Frane - 21/05/2023
Delle persone che di solito salgono a Sorrivoli per la messa se ne presentano
poche, previa telefonata: “come sono messe le strade?”
C’era solo una strada percorribile, sia pure in mezzo al fango per raggiungere
Sorrivoli.
Era il giorno in cui 34 bambini avrebbero dovuto fare la prima comunione, ma
Sorrivoli era isolato. Dal martedì aveva iniziato a piovere, una pioggia che per 36
ore si sempre più intensificata.
Erano circa le 19,00 quando stavamo osservando una parte di mura del castello
che si stava sempre più inzuppando d’acqua, quando l’abbiamo vista crollare
sotto i nostri occhi. E’ stato il primo segnale. Tutta la notte la pioggia cadeva
incessante, non con quella dolcezza che accompagna il sonno, ma la sentivi
battere con violenza sui tetti, incutendo timore e impedendo di dormire.
Dopo una notte quasi insonne, la mattina ci troviamo presto a guardare fuori. Tutti
affacciati dalle proprie porte o finestre a dire: “guarda là ...guarda qua...”
Cominciavano a passare le notizie in cui ognuno riportava delle frane che erano
avvenute ovunque. In breve ci rendemmo conto che non c’era più una via d’uscita
dal paese. Buona parte del territorio era rimasto senza acqua, senza luce e più si
allargava il tam tam delle informazioni più ci si rendeva conto che tutte le frazioni
della collina erano isolate. Sono passati più di 20 giorni mentre scrivo e ci sono
ancora gruppi di case e famiglie che non hanno una via d’uscita.
Dove sulla strada si era riversato il fango si è potuto liberarle, ma molte strade
sono letteralmente franate.
l’immagine forse simbolo di quel che è successo è rappresentata dalla frana che
ha coinvolto il borgo di Sorrivoli. Le case che si trovano fra le due porte che
portano al castello sono come sospese nel vuoto! Dalla casa museo di Ilario
Fioravanti a quella del Maestro Bartoli, con la sua collezione di burattini e altro.
Di qui sono iniziati gli sgomberi, la chiusura alle auto di percorrere quel tratto di
strada...e si è fatto un grande silenzio.
Un silenzio interrotto quasi subito dal rumore delle motoseghe e dei trattori.
Tutti quelli che avevano dei mezzi si sono riversati sulle strade insieme a tutti i
ragazzi armati di badili e subito ci si è impegnati per andare ad aprire almeno un
varco perché si potesse uscire a piedi. “adesso andiamo a liberare quella famiglia,
poi l’altra...poi l’altra...” Tutti lavoravano fino a sera, quando ci si fermava e
qualcuno preparava un piatto di pasta per tutti. Stanchi, ma pronti a fare
programmi per il giorno successivo.
Era il sabato sera, 20 maggio quando arrivano un gruppo di ragazzi che erano
stati verso Monte Bora dove vivono numerose famiglie (ad oggi ancora isolate) e
dicono che quelle famiglie hanno avuto un generatore, ma hanno finito il gasolio...
bisogna portarglielo. Vedo partire questa squadra di ragazzi con taniche da 20 litri
piene di gasolio. Devono arrivare davanti alla frana, attraversare a piedi la
montagna di fango e consegnare alle persone che le aspettavano d’altra parte la
taniche di gasolio.
Sono tornati che era buio, ma quelli di monte Bora potevano avere la luce!
Il vangelo di quella domenica dopo l’alluvione diceva che Gesù si presenta ai
discepoli annunciando loro la pace e lo fa mostrando le mani e il fianco e i
discepoli gioirono al vederlo.
Mi chiedevo come era possibile gioire vedendo un uomo ferito a morte!
Ho pensato a questa terra che si mostrava a noi ferita a morte. Ho pensato come
avrebbe potuto trasmettere pace e gioia! Che cosa ha trasmesso Gesù mostrando
le sue ferite? come ha potuto attraverso quelle ferite comunicare pace e gioia?
C’è solo un particolare che forse ce lo spiega: il fatto che fosse in piedi!
Ferito, ma in piedi!
Questa terra è ferita, ma nei suoi giovani si sta rialzando...Le ferite non
spariranno, ma saranno memoria di una sapienza che abbiamo ancora bisogno di
apprendere, proprio come quei discepoli...
Domenica delle Palme - 10.04.2022
- Luca 2,34-35: “Egli è posto perché siano svelati i pensieri di molti cuori”.
- La vita è un consegnare o un consegnarsi.
Giuda consegna Gesù ai capi dei sacerdoti.
Pilato consegna Gesù ad Erode e poi alla folla.
Gesù nel pane e nel vino si consegna ai discepoli e sulla croce si consegna al Padre.
La vita è un dono e la meritiamo solo offrendola!
I sacerdoti ed Erode si rallegrarono di questa consegna.
Anche Maria si rallegrò quando l’angelo le portò l’annuncio di una vita dentro di lei.
Maria si rallegrò per l’annuncio della vita.
I sacerdoti ed Erode si rallegrano per l’annuncio della morte!
- Il centro della scena è la condanna di un innocente.
Se uno è povero, senza potere, anche se innocente, per interessi personali, per il
mantenimento di uno stato, viene sempre sacrificato. La giustificazione o la scusa si trova
sempre.
Sempre meglio che muoia uno solo piuttosto che tutto il popolo perisca!
Pilato e Erode , pur essendo nemici, su questa condanna si trovano d’accordo, addirittura
diventano amici.
- Ma quando si lascia morire un innocente, si fa buio su tutta la terra. E’ il momento più buio
dell’umanità!
- Ci sono sempre due categorie di persone:
- la folla e una moltitudine di popolo.
- due malfattori.
- i discepoli e le donne.
Sono due atteggiamenti diversi.
- Un uomo così, un Dio così o lo bestemmia o lo si ama!
- Vegliate e pregate: due atteggiamenti che potrebbero evitare la morte di un innocente!
- Gesù entra a Gerusalemme in groppa ad un asino
Se siedi in groppa a un asino,
sei il Dio della feria, del tempo ordinario, del daffare quotidiano, dell’anonimo
scorrere dei giorni.
Se siedi in groppa a un asino,
non hai guerre da combattere, teste da tagliare, città da espugnare, terre da
occupare.
Se siedi in groppa a un asino,
la tua è l’opera spoglia e discreta del nutrire, curare, vivificare, lenire, riconciliare,
sollevare, consolare, liberare, rialzare, guarire, rallegrare, armonizzare;
Se siedi in groppa a un asino,
il tuo è il mestiere sporco e nascosto del porre un limite al disordine, alla
menzogna, all’abbrutimento, alla divisione, all’ingiustizia, alla prevaricazione, allo
sfruttamento, alla schiavitù.
Se siedi in groppa a un asino,
il tuo è il volto di un Padre che misteriosamente opera a favore della vita bella,
buona e beata dei suoi figli, «finchè sia tutta lievitata».
Se siedi in groppa a un asino,
il Regno dei cieli è vicino e la sua porta spalancata.
E nessuna gamba sarà mai troppo corta da non poter compiere il passo.
Cristiano Mauri
Quinta domenica di quaresima - 03.04.2022
V domenica di quaresima - Giovanni 8,1-8
Se fermiamo l’attenzione sul peccato e sul pentimento non facciamo che il gioco degli scribi e dei farisei.
Gesù più coi gesti che con le parole cerca di distogliere lo sguardo dalla donna come caso di cui discutere.
Solo quando rimane solo con lei e può stabilire un dialogo personale e non strumentale allora alza lo sguardo e incrocia il suo.
Nella bibbia il rapporto tra un uomo e una donna resta sempre l’immagine più vera del rapporto tra Dio e l’umanità.
Ma in una società in cui i matrimoni erano combinati e la donna non aveva alcuna possibilità di scelta, l’adulterio era come una scelta obbligata per chi credeva nell’amore…
Quando una società non ti permette di fare una scelta importante come quella dell’amore in maniera libera, in qualche misura ti espone al peccato.
Questo vale per il nostro rapporto con Dio, la vita religiosa .
Se una società ti impone il dio in cui credere, il modo in cui amarlo: ti costringe ad adorare degli idoli.
E’ questo che Gesù rifiuta e alla fine sarà lui che rischierà la lapidazione, come adultero. Rifiuta il Dio imposto dagli uomini religiosi. (Gv.8,59)
Poi si fanno leggi che fanno apparire giusto ciò che è sbagliato nelle sue radici.
E le leggi diventano pietre e i difensori di un Dio solo maschile, i paladini di una giustizia letta solo al maschile.
Ma, come tutte le donne che presenti nel vangelo sono l’immagine più vera di ciò che era Gesù, anche questa vuole essere testimonianza del fatto che non si può praticare una religione , vivere un rapporto con Dio, partendo da degli obblighi.
Quando Dio ti viene imposto, come il marito ad una donna, a quel punto la religione ti induce all’adulterio, idolatria o al rifiuto di quel Dio. Le leggi di quel tipo di religiosità diventano pietre che vengono scagliate sempre sui più deboli.
Gesù non vuole smontare la religione, ma perché Dio non sia un marito violento, imposto, chiede di guardarlo partendo dai più fragili.
Oggi si giustifica l’aumento delle spese militari perché ci sono dei trattati da rispettare, ma se si partisse da chi, quelle spese se le vede ricadere come bombe sulla testa, forse si vedrebbe che è meglio guardare negli occhi una persona piuttosto che fare i moralisti.
“Vai, e non peccare più!”.
Queste parole concludono la scena.
Vai e cerca di essere la persona che sei!
Vai e sposa l’uomo che ami!
Vai e ama quel Dio che che ti è madre, padre, fratello, sorella e amante.
Vai e cerca di essere libera: che tu non provi l’amarezza della vittoria, né il rancore della sconfitta e nemmeno l’illusione della pace. Che tutti gli uomini siano per te padre, madre e figlio e il cuore il tuo maestro. Che il cielo e la terra siano per te: casa, patria e chiesa. Che l’immaginazione e il coraggio siano il tuo potere.
Vai e non farti buttare a terra mai più da nessuno!
Quarta domenica di quaresima - 27.03.2022
IV DOMENICA DI QUARESIMA - Luca 15,1-32
- Mosè era sul monte, trattava con Dio sulle regole da proporre a quel
popolo di dura cervice: i dieci comandamenti! Siccome tardava a
scendere, gli Israeliti, pensando fosse morto, si costruirono un vitello
d’oro. Ci fu allora un momento in cui Dio sembrava voler dare libero
sfogo alla sua collera e pensò di rinnegare il suo popolo e di distruggerlo
per farne nascere un altro. Fu la preghiera di Mosè a far desistere Dio
dal suo proposito.
Penso alla parabola di oggi: chissà se quel padre un giorno si dovesse
stancare di rincorrere i suoi figli per riportarli entrambi a casa. Quanto
resisterà a correre incontro all’uno poi all’altro, per andarli a cercare nei
posti più lontani? Fino a quando si affretterà a preparare feste, a ricucire
abiti nuovi?
Ci sono due sorelle, la chiesa Russa e quella Ucraina che in un
momento come questo dovrebbero solo mettersi attorno alla mensa
della parola del vangelo e farsi strumenti di pace.
Cosa altro possono fare le religioni se non promuovere il dialogo, la
giustizia e la pace rinunciando ai propri interessi particolari.
Balducci direbbe: liberarsi del proprio salvagente, perché mai come
oggi non ci si può salvare da soli.
L’immagine di questi figli che non riescono a parlare fra di loro, che
quando uno è in casa, l’altro è fuori mi da la sensazione della situazione
delle chiese e religioni oggi.
E poi ci sono i servi, anche questi divisi. Gli uni che collaborano in fretta,
“presto” alla realizzazione della festa, non aspettano neppure che torni a
casa il fratello maggiore. Altri invece che sembrano aspettare fuori e
insieme al fratello maggiore con occhio malizioso e invidioso
complottano con lui per boicottare la festa.
Sembrano gli operai della prima ora, gelosi del fatto che anche gli ultimi
possano usufruire del diritto a vivere una vita dignitosa!
E vengono fuori vecchi rancori, accuse interessate, un certo tipo di buon
senso che blocca ogni possibilità di dialogo.
Sembra che tutto parta dal bisogno di avere; l’eredità, un capretto. Un
diritto per meriti acquisiti. Anche il figlio più giovane quando torna,
chiede cosa deve fare per meritare qualcosa da mangiare. Non sono
degno di essere chiamato tuo figlio, trattami come un servo! Ma non c’è
nessun merito nel ricevere una eredità. E’ puro dono, libero e gratuito.
Tutto ci è dovuto! In realtà nulla ci è dovuto.
Ma fin dalle origini dell’umanità, l’uomo ha sempre fatto fatica a pensare
che Dio volesse dare loro tutto gratis. Non siamo capaci di pensare
come Dio, preferiamo sempre non sentirci in debito con nessuno. Pur di
non riconoscere che tutto è dono e che a noi basta dire grazie,
preferiamo rubare, prendere con la violenza ciò che sarebbe già
nostro...l’importante è illudersi di non dovere niente a nessuno! tanto
meno a Dio!
Ascoltando la preghiera del Papa ho pensato alla preghiera di Mosè!
Terza domenica di quaresima - 20.03.2022
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 13,1-9
In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui
sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la
parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i
Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete
tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe
e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?
No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua
vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco,
sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo
dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone,
lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il
concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
- Di fronte a disgrazie o tragedie si cerca sempre di trovare spiegazioni, cause.
Poi si finisce sempre col rischio di far ricadere la colpa o responsabilità su Dio,
perché non si comporta come Dio, o meglio come noi vorremmo che si dovrebbe
comportare Dio.
Di chi la colpa se Pilato ha fatto uccidere dei Galilei, mischiando il loro sangue con
quello delle vittime, facendo di quegli uomini delle vittime sacrificali, sull’altare dei
suoi interessi!
Per rispondere Gesù richiama un altro fatto: 18 persone schiacciate dal crollo di
una torre.
Di chi la colpa o la responsabilità?
Forse può sembrare troppo semplicistica la risposta, ma forse la colpa è di chi ha
costruito quella torre, usando materiale scadente. Così è di chi ha accettato
passivamente di mettere il potere nelle mani di chi vuole dominare e opprimere
facendosi passare per benefattore, per quella sorte di compromesso tra il male
minore e un pò di sicurezza e ordine.
Allora l’avvertimento: “se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo!”
sta a dirci che il problema è a monte...
Se vuoi costruire una torre devi usare materiali adatti, e se vuoi che qualcuno
domini su di te ricorda che la logica dei dominatori di questo mondo è quella di
opprimere.
Un casa si costruisce con un tipo di relazioni diverse, come aveva ricordato Luca
nel capitolo sesto, dove dopo aver parlato di beatitudini, parla di amore per i
nemici, di percorre due miglia con il tuo avversario, se uno non basta, per
raggiungere un dialogo.
Allora si può costruire una casa su fondamenta solide.
Abbiamo lasciato esistere, accettato persone che prendessero il potere e lo
esercitassero in modo violento e ingiusto per interessi planetari. Abbiamo
permesso che tutto ciò avvenisse silenzio dopo silenzio, compromesso dopo
compromesso...la nostra politica sapeva e lasciava fare...eravamo alla finestra a
vedere passare il presente e ora piangiamo sul sangue versato, cercando di
riparare i nostri errori.
Ha ragione Gesù, “morirete tutti allo stesso modo”. Non voglio morire “allo stesso
modo” di chi accusa il divino, ma nemmeno di chi pateticamente lo difende
sempre solo perché ha paura di stare solo. Dio non è nelle mie accuse e
nemmeno nelle mie difese.
“Un tale aveva piantato un albero di fichi...”
Il fico non è sterile perché non produce frutti, è il padrone ad essere sterile perché
vuole tagliarlo. Il fico non è sterile fino a quando ci sarà un fertile cuore di
contadino disposto a credere nel futuro: “lascialo ancora quest’anno”. Io non
voglio morire come tutti, io voglio morire da contadino, dopo aver imparato l’arte di
dilatare il tempo in nome della Speranza. Io voglio morire così, da contadino,
imparando l’arte della cura.
Voglio morire imparando a zappare intorno a ciò che sembra morto, e dare
nutrimento alla terra anche quando sembra esausta. Se muoiono i Galilei nel
Tempio io non voglio chiedermi perché Dio non è intervenuto ma voglio fare
silenzio e cercare le vedove lasciate sole nel dolore e abbracciare i figli
sopravvissuti a tanta violenza. Voglio zappare intorno al mondo che vede cadere
le torri cercando gli occhi di diciotto donne senza marito, di madri senza figli, di
padri schiacciati dal dolore. Non ti chiederò più “Dio dove sei?” ma ogni giorno
voglio chiedermi “io dove sono?”. Io non voglio “morire allo stesso modo”, io
voglio sentirti nelle mani che spostano le macerie, nelle dita che asciugano
lacrime, tra le urla delle vite spezzate, tra i cuori infranti delle donne sole. Il
miracolo vero è il gesto di cura. Io voglio, prima di morire, aver imparato lo
sguardo del contadino, che vede vita nel tempo da concedere, perché il tempo è
più grande di noi. Che vede vita nei tre anni passati dal fico a non dare frutti
perché non sono tre anni di fallimento ma tre anni di tentativi. Voglio imparare a
potare, che non è tagliare, perché chi taglia uccide, chi pota libera. Voglio
imparare a lasciare, “lascialo ancora”, che non è abbandonare ma affidare al
futuro. Voglio imparare a zappare, che non è ferire il suolo ma dare aria alla
terra. E’ ciò
che Dio dice a Mosè: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito
il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono
sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso
una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele».
Seconda domenica di quaresima - 13.03.2022
LUCI E OMBRE
- La seconda domenica di quaresima è quella della trasfigurazione: quest’anno
nella versione di Luca.
L’episodio è centrale in tutto il vangelo e nel capitolo 9.
Non è un momento esaltante, mi sembra piuttosto drammatico, tanto è vero che
quando Pietro dice: “è bello essere qui”, l’evangelista annota: “non sapeva quel
che diceva!”.
Sullo sfondo c’è la morte di Giovanni Battista fatto decapitare da Erode.
Le domande, i dubbi agitano il cuore di Gesù.
Non sa più cosa veramente egli possa e debba essere e cerca risposte dalla
gente e da coloro che lo conoscono meglio, i suoi amici.
Sente esserci una forte contraddizione tra ciò che vorrebbe essere e fare per
trasformare la realtà e il contesto che lo avvolge come un’ombra.
Come è possibile conciliare ciò che nella vita sarebbe bello e gli ostacoli che la
vita stessa ti fa incontrare? Perché per incarnare ciò che di più umano esiste, si
deve rischiare di essere ripudiati, oltraggiati, e persino uccisi?
A questo punto affronta una montagna, luogo di preghiera. Vorrebbe una risposta
da Dio. La scalata del monte come tentativo di uscire da tutto ciò che è piatto, che
soffoca, da tutto ciò che restringe la visione...
Avvenne otto giorni dopo questi discorsi...Otto giorni di silenzio!
I giorni della creazione sono sette: c’è come una rottura con la normalità, un
uscire da uno schema chiuso, finito, dove tutto sembra si concluda col settimo
giorno. C’è qualcosa di nuovo da scoprire...C’è una identità altra, non ancora
rivelata, un volto altro, una storia altra.
Il volto di Gesù cambia d’aspetto, emerge la luce profonda che lo abita,
esperienza di spoliazione, di deposizione delle apparenze. Trasfigurare la vita è
perdere ogni maschera, lasciar cadere ogni ruolo, ogni immagine che ci siamo
costruita. E’ come lasciarsi travolgere dall’urto della luce che spinge da dentro.
Pietro Giacomo e Giovanni, non reggono, chiudono gli occhi, si difendono
affidandosi al buio, cercando di restare aggrappati al reale(tre tende!).
Alla fine resta una nube, molta paura, e una voce, come se la luce implorasse
libertà.
E poi la solitudine di Gesù e il silenzio dei discepoli.
Di fronte alle contraddizioni della vita spesso le parole sono solo vuote, dicono
cose insensate, senza senso. Vale anche oggi: abbiamo sempre bisogno di dare
spiegazioni, interpretazioni, pensando di capire tutto. Sarebbe più opportuno fare
silenzio e accompagnare in silenzio questi drammi che ci sono.
Forse il silenzio, il rispetto della solitudine altrui e nostra può creare uno spazio più
opportuno per aprirsi all’ascolto, per ascoltare una parola altra, dare un volto
nuovo alla realtà.
La solitudine, il silenzio, la preghiera possono impedirci di renderci cattivi, per
avere speranza, credere in noi stessi, e avere fiducia negli altri.
Vivere la solitudine nostra e di altri in silenzio, in ascolto, come dimensione più
vera di solidarietà...
La trasfigurazione, dramma tra luci e ombre, impone il silenzio!
Gesù, dopo questa esperienza riprenderà il suo viaggio verso Gerusalemme, città
della pace...un’utopia, più che un luogo! E chi vuole seguirlo lo farà in silenzio
rispettando il dramma che stava vivendo senza mai capirlo fino in fondo.
Prima domenica di quaresima - 06.03.2022
LUCA 4,1-13
- Comincia così la quaresima: Gesù viene spinto nel deserto e
lì sembra essere in balia dello Spirito e del Diavolo che se lo
contendono. E lui che non si sottrae a questo confronto!
Il confronto è su cose semplici, riguardano ciò che nella vita è
essenziale: il pane - il potere - la religione. Dal significato e
valore che si dà a queste cose dipende la convivenza tra gli
uomini.
Di fatto le guerre si fanno tutte o per il pane o per il potere o
per la religione. Tutti ci scandalizziamo sull’assurdità di
scatenare una guerra, ma questa non scoppia all’improvviso o
per caso, ma perché c‘è un terreno favorevole che la coltiva
fino a farla scoppiare. E questo terreno è concimato dai nostri
compromessi con questi tre dimensioni della vita.
- Per il pane accettiamo qualunque compromesso. Gesù non
mangia un pane che possa essere un atto di violenza nei
confronti della natura. Il pane è frutto di relazioni, di rispetto
dei tempi e ritmi della natura, va mangiato in compagnia
cominciando col darlo al più piccolo.
“Aria, acqua, fuoco, terra: gli elementi primari della fabbrica,
secondo i Greci antichi, concorrono alla formula del pane. La
terra accoglie il seme e le radici del grano, l’acqua nutre la
pianta in primavera, l’aria calda la matura in spiga e il fuoco
ne trasforma la farina in forno. Il pane, oltre che opera delle
maestranze dell’umanità, è impasto di grandiose forze di
natura, ognuna catastrofica di suo, per potenza distruttiva.
Allora il pane è il loro trattato di pace, la riuscita alleanza tra
energie di natura e braccia umane. Il suo profumo di pagnotta
calda, pure in mezzo a una guerra, impone una tregua alle
armi”.(Erri De Luca)
- Pur di avere un pò di ordine e di sicurezza accettiamo
qualunque forma di potere! Gesù rifiuta un potere che si
imponga dall’alto. Il potere non può essere in mano ad uomo
solo, ma si deve costruire a partire dal basso, dai piedi, come
quelli che lui laverà durante l’ultima cena!
- Dio non è il rimedio dei nostri fallimenti, della nostra pigrizia,
la scusa per non assumerci le nostre responsabilità. Pur di
salvare una religiosità superficiale e formale, soltanto
istituzionale, accettiamo qualunque immagine di Dio. Quello
che Gesù sembra dire è che Dio ha più fiducia nell’uomo di
quanto non ne abbia l’uomo stesso. Dio crede che l’umanità
possa crescere nella giustizia, nella pace, attraverso relazioni
vere con tutti i suoi membri, con la natura e con un Dio che
come padre ha fiducia nei suoi figli lasciandoli liberi di
sbagliare e correggersi fino a fare delle loro vita e del mondo
un pane di cui ogni persona divenuta fratello e sorella possa
nutrirsi ...
Luce da lanterna - Natale 2021
- “Il popolo che camminava nelle tenebre...”
Comincia con queste parole la liturgia della notte di natale.
E’ bello sentire i rumori di un popolo che nella notte, comunque cammina!
Immagino il buio, immagino l’assenza della luna, sento i passi incerti dei piedi,
le frasi smozzicate per farsi coraggio, qualche nome lanciato per aria in attesa di
risposta per vedere se chi si ama è ancora nella carovana. Il popolo nelle
tenebre, si da la mano. Si stringono forte, qualcuno piange...Ci si passa
dell’acqua, qualcuno racconta della luce, qualcuno promette un fuoco, il sudore
è freddo, qualcuno vorrebbe fermarsi, qualcuno si è fermato e non è più. I
vecchi si chiedono se vedranno ancora la luce, i giovani non sanno di cosa
parlano i vecchi, i bambini giocano a nascondersi, le donne sognano futuri
generativi, i padri hanno paura e non osano dirlo.
- “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce...”
Il pensiero va alle migliaia di profughi nei boschi ai confini tra Bielorussia e
Polonia...
Le tenebre non hanno impedito di camminare le notti del mondo, la notte della
malattia, della morte, dell’errore, della solitudine, della depressione...Natale è
camminarci dentro, è camminare chiamati da una luce.
“Vedo queste persone come avanguardie del presente in corso.
Lo sperimentano, lo esplorano con scarsità di mezzi e attaccamento alla vita
stremata.
Se fossero naufraghi su un’isola disabitata, li chiameremmo resto salvato e
primizia di nuovo insediamento.
Le loro baracche, i loro accampamenti sono avamposti nelle intemperie, prove
di sopravvivenza.
Le persone definite dalle cronache: ultime, seminano invece campi e tempi
difficili, dissodano il tempo futuro.
Chi vuole conoscere i prossimi della specie umana, li trova presso di loro.
Sono caparra e anticipo, del futuro! Profezia dell’umanità futura! (Erri de Luca)
Forse non sarà mai una grande luce a guidarli, ma una luce di lanterna, come
quella delle lanterne verdi. E’ il modo con cui le famiglie di polacchi lungo il
confine hanno scelto di aiutare i migranti sfidando i divieti imposti da Varsavia.
Un sì spontaneo agli appelli alla solidarietà.
È il segnale per indicare a chi riuscisse ad attraversare la frontiera che in quella
casa troverà un pasto caldo, coperte, braccia aperte e nessuno spione pronto a
chiamare la polizia.
«Non ti aiuteremo a nasconderti o a viaggiare oltre. Ti aiuteremo solo a
sopravvivere, come parte della solidarietà con una persona bisognosa».
Questi abitanti della terra di confine, che vedono il dramma e la sofferenza
umana, non fanno calcoli, semplicemente testimoniano il dovere di restare
umani, di fronte a un Dio che si è fatto umano per insegnarci, come dice san
Paolo, a vivere in questo mondo con “sobrietà, giustizia e pietà”.
Nel presepe a testimoniare questo modo di vivere sono i pastori con le loro
lanterne. Certe volte la luce arriva nella vita, ma spesso è lampo, intuizione,
consolazione di un momento...La luce è brivido di un istante! Ma prima e dopo
è tempo delle lanterne! Senza lanterne quei pastori non sarebbero arrivati alla
mangiatoia, non avrebbero illuminato nella notte il volto di quel bambino.
La nostra fede, umile lanterna per le nostre notti.
“Era buio nel campo, come oggi è buio in campi a non finire del mondo.
Vegliavano i pastori: ascoltavano paure, ascoltavano sogni,
e noi a tendere l’orecchio con loro al respiro di donne e uomini
che non prendono sonno nelle notti del mondo
per fame, per viaggi senza speranza.
Eppure qua e là nel campo un pulsare di lanterne.
So che tu aggiungeresti una beatitudine per chi tiene le lanterne del mondo,
perché il buio, tu lo sai, tu che hai creato la luce,
il buio senza stelle e senza lanterne genera sospetti, reclama distanziamenti.
Angeli ci hanno detto che è nato per noi un Salvatore.
Con una fede da lanterna veniamo a te così come siamo.
Forse basta per resuscitare un viso dalla tomba del buio,
per dare un nome ai senza nome.
Non una parola...troppe ne abbiamo sprecate...
Lo diremo solo con la luce di una lanterna, rischiarando ogni volto”. (Angelo
Casati)
In questo tempo sento più che mai vero che la nostra è una "fede da lanterna”.
Piccola, umile, per molti insignificante. Ma ha di bello che ti può seguire
ovunque. Si trasporta facilmente. A differenza di un lampione o di un riflettore,
che sono troppo ingombranti e dunque utili a illuminare solo i palcoscenici, non
i cuori. Sì, la "fede da lanterna" ci segue e ci consola là dove noi siamo, come il
piccolo Dio che nasce per noi, ancora...
XI domenica del tempo ordinario - 13.06.2021
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa. (Mc 4,26-34)
Con il quarto capitolo inizia in Marco una sezione molto intensa e densa di parole, in una forma che è quella parabolica e che solo ingenuamente può essere interpretata come il modo semplice e universale di parlare di Gesù per tutti , affinché sia facilmente compreso. Proprio qui si dice che il parlare in parabole è quasi, paradossalmente un velamento del regno, qualcosa per quelli di fuori, ben diverso dall'insegnamento privato ai discepoli.
Che Gesù fosse uno strano personaggio, vi sono vari indizi a suggerirlo: "con la gente parlava in parabole, ma in privato ai suoi discepoli spiegava ogni cosa".
Sembra un fare da cospiratore che avvalora l'ipotesi che Gesù, consapevole di quanto la buona novella avesse un che di sovversivo, in pubblico non parlava chiaro. Non a caso aggiungeva: "chi ha orecchie per intendere, intenda".
Il cambiamento dello stato presente delle cose, che pare non dovesse piacergli, lo chiamava Regno di Dio!
La parabola, quindi, non va liquidata come un racconto sempliciotto e accessibile per la gente umile, essa è piuttosto un modo per dire il mistero del regno di Dio. Due piccole parabole (il grano che spunta da solo, il seme di senape): storie di terra che Gesù fa diventare storie di Dio. Con parole che sanno di casa, di orto, di campo, ci porta alla scuola dei semi e di madre terra, cancella la distanza tra Dio e la vita. Siamo convocati davanti al mistero del germoglio e delle cose che nascono, chiamati «a decifrare la nostra sacralità, esplorando quella del mondo» (P. Ricoeur). Nel Vangelo, la puntina verde di un germoglio di grano e un minuscolo semino diventano personaggi di un annuncio, una rivelazione del divino (Laudato si’). Chi ha occhi puri, come quelli di un bambino, può vedere il divino che traspare dal fondo di ogni essere (T. De Chardin).
È commovente e affascinante leggere il mondo con lo sguardo di Gesù, a partire non da un cedro gigante sulla cima del monte (come Ezechiele nella prima lettura) ma dall’orto di casa. Leggero e liberatorio leggere il Regno dei cieli dal basso, da dove il germoglio che spunta guarda il mondo, raso terra, anzi: «raso le margherite» come mi correggeva un bambino. Il terreno produce da sé, che tu dorma o vegli: le cose più importanti non vanno cercate, vanno attese (S. Weil), non dipendono da noi, non le devi forzare. Perché Dio è all’opera, e tutto il mondo è un grembo, un fiume di vita che scorre verso la pienezza.
Da sempre le scritture raccontano come un popolo poteva essere sovversivo, come rialzava la testa, nonostante l'oppressione.
- La sovversione, a Gesù, è stata insegnata da sua madre: "l'anima mia magnifica il Signore…perché è stata considerata la bassezza della sua serva, con il suo braccio ha disperso quelli che erano superbi ha detronizzato i potenti, e ha innalzato gli umili; ha colmato di beni gli affamati e ha rimandato a mani vuote i ricchi…"
Si tratta di un vero e proprio rovesciamento: le categorie bibliche dell'ultimo che sarà primo e viceversa; del più piccolo che sarà grande; di un granello di senape che diventa albero in grado di ospitare tutti. E' logica di totale rovesciamento: il nascosto che diventa un paradigma rivoluzionario, cioè capace di rovesciare la vita e i suoi idoli. E' la logica delle beatitudini: i poveri che portano avanti il progetto del Regno di Dio …i miti, gli unici ad avere diritto alla terra, per la loro leggerezza e per il loro non occupare posto…
Allora vivere rovesciati significa vivere nelle profondità della vita, là dove la realtà si sente palpitare, dove ha il suo senso più bello più vero, dove tutto può nascere e rinascere ancora. Il rovescio è il dentro, il contrario di ogni superficialità della vita.
il piccolo granello di senape è la coscienza. Chi vive secondo coscienza, questi sta preparando il futuro. Nessuno può pretendere di cambiare la situazione se non intraprende un viaggio interiore nel rovesciamento della propria mentalità, nel modo di stare al mondo e di immaginarlo. Ciascuno sovverta l'ordine e lo renda ordito! ( A. Potente)
La incrollabile fiducia del Creatore nei piccoli segni di vita ci chiama a prendere sul serio l’economia della piccolezza ci porta a guardare il mondo, e le nostre ferite, in altro modo. A cercare i re di domani tra gli scartati e i poveri di oggi, a prendere molto sul serio i giovani e i bambini, ad aver cura dell’anello debole della catena sociale, a trovare meriti là dove l’economia della grandezza sa vedere solo demeriti. Il Vangelo sogna mietiture fiduciose, frutto pronto, pane sulla tavola. Positività. Gioia del raccolto.
"Il rovesciamento del pensiero si compie con l'esperienza.
Il rovesciamento della visione si compie con il riconoscimento delle differenze.
Il rovesciamento della retorica politica si compie con la poesia.
Il rovesciamento del monopolio della parola si compie con la narrazione di tutti.
Il rovesciamento della superficialità si compie ostinandoci in direzione contraria verso il dentro.
Il rovesciamento dell'immagine divina si compie nei corpi". (Antonietta Potente)
Pentecoste - 23.05.2021
Dagli Atti degli Apostoli - At 2, 1-11
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio». Tutti erano stupefatti e perplessi e si chiedevano l'un l'altro: "che cosa significa questo?". Altri invece li deridevano e dicevano:"si sono ubriacati di vino dolce!".
Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 15, 26-27; 16, 12-15
- In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.
Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
- "Stava compendiosi il giorno di pentecoste… un vento riempì tutta la casa".
C'è in questa festa un senso di compimento, di pienezza. Pentecoste: festa del raccolto! E' il raccolto di una vita.
Una vita che riempie la casa, come il profumo che una donna versò sul capo di Gesù e "riempì tutta la casa". Come quelle giare al matrimonio di Cana riempite fino all'orlo, come la vita di Gesù quando sulla croce raggiunse il suo compimento: "tutto è compiuto" e da lui uscì lo Spirito, una vita donata completamente e "riempì tutta la faccia della terra!".
E tutti coloro che erano nella casa sono scaraventati fuori, come Gesù fu scaraventato fuori dal sepolcro dal profumo che le donne portarono il mattino di pasqua per ungerlo. E' il tempo del raccolto, del parto, una vita che spinge per uscire!
- Ci sono venti di violenza, di ingiustizia, che dovrebbero spingerci ad uscire nelle piazze e gridare, come ubriachi le grandi opere di Dio: e l'opera di Dio è la pace, è la relazione, è il dialogo, è la festa: una festa che nasce dal capirsi…
Ma invece che andare in piazza, abbiamo blindato ancora di più le nostre case, impedendo a questi venti di entrare. Bisogna dare aria alle nostre case, alle nostre vite…solo un vento impetuoso può togliere la polvere dalle nostre parole ormai vuote, stanche, sterili…Le nostre parole non danno più respiro, e la vita di tante persone non respira…"non posso respirare", son state le ultime parole di George Floyd.
"La più amara inondazione della terra sono le lacrime della povera gente,
lacrime silenziose e segrete.
Acqua e sangue che gonfiano i fiumi di tutti i paesi.
Impossibile che non succeda l'evento, impossibile che non debba accadere!
Fede è ribellarsi, fede è rompere le catene, credere è fare giustizia".
(Davide Maria Turoldo)
- C'è solo una cosa che oggi fa respirare la vita sulla terra:
la speranza dei poveri e dei miti : il loro respiro! Questo è il respiro del mondo!
Sono loro la spinta più grande verso un continuo rinnovarsi della terra e dell'umanità.
"Apparvero lingue come di fuoco…". E il primo effetto fu di "cominciare a parlare…" ciascuno comprendeva la lingua dell'altro, frutto di un nuovo modo di guardare l'altro, di affacciarsi alla vita dell'altro, di rispetto di fronte all'altro. La lingua di Pentecoste è parola di libertà; non ci appartiene, come il vento!
- Quante lingue si parlano!? Ci sono una infinità di idiomi; c'è la lingua del corpo, dei segni, della fantasia, del cuore; c'è la lingua delle religioni, delle culture, dell'arte: teatro, pittura, poesia; c'è la lingua dell'amore, del dolore; c'è la lingua della natura, dell'universo…c'è la lingua di Dio!
Perché queste lingue possano parlare, bisogna fare silenzio, dare loro respiro. Respirare e far respirare sembra essere uno degli esercizi più urgenti e insieme meno praticati. Le nostre parole, le nostre istituzioni, le nostre iniziative, danno o tolgono respiro?
Se c'è rispetto di ogni lingua ci si capisce. Ci si capisce quando ognuno ha la possibilità e la libertà di esprimersi con la propria lingua. Non ci si capisce quando si vuole imporre a tutti una sola lingua, come successe a Babele! Se vogliamo creare paura, confusione, la strada è quella dell'imposizione di un'unica lingua, di un'unica fede, di un'unica cultura.
Una parola, poi, per essere capita deve essere viva, non basta che sia vera. "E' vero che Dio ha detto…" dice il serpente ad Adamo ed Eva! "Che cos'è la verità", chiede Pilato a Gesù, quando bastava guardarla, non cercarla. Il serpente e Pilato, con la scusa della verità generano morte!
Un parola comunica se è viva, una verità senza essere viva non parla. Io posso non capire un linguaggio, ma sento pienamente se è vivo o vuoto. Tanto che coloro che parlavano sembravano ubriachi, cioè parlavano con tutto il corpo. Spesso facciamo le cose per inerzia, senza metterci il cuore, senza passione, senza anima...In questo senso il teatro, in cui protagonista è il corpo, potrebbe essere il linguaggio più vivo...
E allora tutti in piazza per una festa abitata da un'ebbrezza, da colori, da canti, da danze e ogni uomo, ogni donna, ma anche tutto il creato parli nella propria lingua, nella sua irriducibile diversità…"del tuo Spirito Signore è piena la terra!".
Festa dell'Ascensione - 16.05.2021
Dagli Atti degli Apostoli
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».
Dal Vangelo secondo Marco
- In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
- Dopo aver parlato, Gesù fu elevato in alto, in cielo, sedette alla destra di Dio, e una nuvola lo sottrasse al loro sguardo…
Con queste parole viene descritta quella che noi chiamiamo ascensione di Gesù al cielo…Luca la colloca 40 giorni dopo la pasqua, numero e tempo simbolico per indicare come questo fatto implichi un passaggio: si passa da una vita ad un'altra vita, da una dimensione ad una dimensione diversa. Occorre distinguere quello che l'evangelista dice da come lo dice. Quello che dice è parola di Dio e questa è valida sempre; come lo dice dipende dallo stile dell'epoca.
In questo brano si vede chiaramente la distinzione tra quello che l'autore vuol dire e come lo dice. Dice che " fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio". Quell'uomo condannato come bestemmiatore è stato da Dio elevato alla sua stessa condizione, stessa dignità!
E lo dice usando un linguaggio congeniale a quel tempo.
Il cielo , non significa l'atmosfera, ma la dimora di Dio e "sedere alla destra" vuol dire essere sullo stesso piano. Quel Gesù condannato e ucciso, Dio non lo ha lasciato cadere nel vuoto, ma lo ha accolto fra le sue braccia conferendogli gli stessi suoi poteri.
Il cielo è quel respiro, quel soffio che Dio donò all'uomo, quando questi divenne una persona vivente. Il cielo è la parte più profonda di ogni essere vivente, è quel luogo dove vorremmo far posto alle persone che amiamo…è quel luogo nel cuore delle persone dove vorremmo trovare posto per noi.
Per tutta la vita, Gesù, ha cercato di trovare un posto nel cuore delle persone e fare un posto nel suo cuore perché tutti potessero trovare pace.
La strada che ha percorso è stata quella della povertà. Non si può essere elevati al cielo se si è troppo pesanti. Per salire al cielo occorre essere liberi e leggeri, poveri di tutto tranne che dell'amicizia. Un povertà che ha visto la sua massima espressione quando fu elevato sulla croce. La croce fu il vero momento della sua ascensione. Luogo sul quale fu elevato "dopo aver parlato".
"Beati i poveri, perché di essi è il regno dei cieli".
Allora una nuvola lo sottrasse al loro sguardo! Ricorda quella nube luminosa che avvolse con la sua ombra Pietro, Giacomo e Giovanni sul Tabor il giorno della trasfigurazione, come anche la nube che guidava gli ebrei nel deserto o che coprì con la sua ombra, Maria,li alle parole dell'angelo. Quella nube è il simbolo della difficoltà a conciliare le parole con la realtà, il Regno di Dio con la croce. Dalla nube esce sempre una voce: la nube parla, la nube è la parola difficile da credere…"come è possibile…" dirà Maria…Come è possibile - continuiamo a pensare noi - una vita oltre la morte?
La nuvola rappresenta tutta la difficoltà che siamo chiamati a compiere per vedere al di là di quella povertà con la quale Gesù si è manifestato e ha rivelato il volto di Dio, la dimensione più profonda della vita.
"Questi saranno i segni che accompagneranno coloro che credono: Scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti, se berranno qualche veleno non recherà loro danno, imporranno le mani e questi staranno bene…" Tutte immagini delle forze che ci assediano, delle difficoltà che ostacolano il nostro cammino. Non sono tanto i segni che fanno accedere alla fede, ma il contrario: è la fede che dona di vedere la Parola che si compie e opera cose incredibili.
Se vi coinvolgerete sul sentiero di Gesù, potrete cacciare il demone dell'angoscia, prendere in mano i serpenti, cioè guardare in faccia le vostre paure, i vostri sensi di colpa, potrete guardare senza panico i poteri che mordono e avvelenano, senza diventarne vittime, senza soccombere.
- La partenza di Gesù porta alla partenza dei discepoli a predicare il vangelo a tutte le creature, annunciare la verità di ogni cosa. Dio non si allontana dalla vita degli uomini, ma li accompagna sempre, così il Signore Gesù "agiva insieme a coloro che predicavano", confermava la parola con i segni che l'accompagnavano.
- "Tutte le cose dell'universo hanno il loro Spirito. Quante cose ci sono nell'universo? tante, ma proprio tante. ci sono le montagne, ci sono i vulcani, ci sono i fiumi e le fonti, le piante e la sabbia del mare e ogni goccia delle acque del mare...
Quante cose ci sono nell'universo!
Allora dovete sapere che ogni cosa ha il suo Spirito. Lo Spirito dell'universo scivola tra le foglie del bosco, si fa largo fra le acque, vola nel vento... in tutte le cose della natura c'è lui... a volte appare, ma non ha forma... quando qualcuno viola le leggi della natura, quando qualcuno abusa delle cose, quando qualcuno taglia gli alberi per rubare l'ossigeno, quando qualcuno brucia piante e cespugli sulle montagne per farle franare, quando qualcuno non ha compassione del fratello...allora appare lo Spirito delle cose, il custode della vita, colui che giudica la condotta degli esseri umani..." (Rigoberta Menchu)
La misura della verità, identità di ogni cosa è colui che sta alla destra di Dio. Quell'uomo, elevato sulla croce che tornerà sempre allo stesso modo, si ripresenterà sempre avvolto da quella nube, la sua parola si scontrerà sempre con la realtà…si tratta di vivere l'attesa…attendere l'adempimento della promessa del Padre. A volte abbiamo più l'aria di chi possiede che lo sguardo di chi attende.
"Penso al teologo che non aspetta Dio, perché lo possiede rinchiuso in un edificio dottrinale. Penso all'uomo di chiesa, che non aspetta Dio, perché lo possiede rinchiuso in una istituzione. penso al credente che non aspetta Dio perché rinchiuso nella propria esperienza.Non è facile sopportare questo non avere Dio, questo aspettare Dio…" (P.Tillich)
Resta il fatto di trovare una lingua nuova con la quale esprimere questa verità.
VI Domenica di Pasqua - 09.05.2021
Dal Vangelo secondo Giovanni - 15,9-17
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
- Era l'ultima cena. Aveva appena finito di lavare i piedi dei discepoli, aveva detto loro: "vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi". Dopo queste cose "si commosse profondamente".
Le parole che oggi ascoltiamo sono dentro questa commozione, la commozione di chi sta per passare da questo mondo al Padre e ha bisogno di lasciare un esempio, un ricordo, qualcosa di sé che rimanga. Non vuole che questa separazione lasci uno strascico di tristezza, ma il ricordo di lui sia sempre motivo di gioia, di una gioia piena, che neppure la morte può offuscare. Una gioia del genere è solo frutto dell'amore, di una vita che si è sempre sentita amata e che ha sempre fatto dell'amore la sua dimora, la sua linfa vitale. "Questo è il mio comandamento", Questo è proprio il suo di comandamento, "amatevi gli uni gli altri", è il suo perché il suo amore è soltanto il suo, non è un amore generico, ma il suo modo di amare:"amatevi come io ho amato…" Il suo amore non è paragonabile , riducibile a qualunque amore. Si tratta di rimanere in quell'amore, in quell'esempio, entrarci e starci sempre più dentro: dentro le sue parole, i gesti delle sue mani, lo sguardo con cui guardava le persone e le cose, quell'osservare con attenzione, come lui guardava. Guardare, osservare le sue parole , come si guardano i fiori del campo, gli uccelli del cielo. Purtroppo abbiamo costruito, elaborato tutta una serie di precetti da osservare, e abbiamo dimenticato o ridotto ad un precetto come un altro, questo "suo" comandamento dell'amore. Credo che Gesù di proposito abbia voluto usare il termine comandamento, che di per sé, è in contraddizione con l'amore: non si può comandare a nessuno di amare! Ma se Gesù ha usato questo termine, lo ha fatto per riportare la religione a quello che dovrebbe essere: rapporto di amicizia con Dio. Tutte le religioni propongono un rapporto con Dio, basato sull'obbedienza a dei precetti, su un servire Dio. Allora Gesù ci riporta a un rapporto con Dio, basato sull'amore e pertanto sulla libertà. L'amore senza libertà è pura finzione, come la libertà senza amore diventa presunzione e arroganza. "Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamato amici". Solo questo può dare gioia! Uno cresce solo se amato e capace di amare!
" Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici". Eppure sembra che ci sia un amore ancora più grande di questo: dare la vita per i propri nemici. "Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete?…Amate i vostri nemici!2. (Lc.6,32.35). Forse il motivo per cui parla di amici è questo: chi ama non ha più nemici! Gesù, quando Giuda accompagna le guardie per arrestarlo, non lo chiama traditore, ma "amico". Giuda rimane un amico anche se si comporta da nemico. A volte andiamo dietro alla mentalità che vede un nemico semplicemente nella persona diversa per appartenenza religiosa, etnica, o politica. Siamo debitori di un clima di paura, che identifica la diversità con il pericolo. Anche Pietro, come sentiamo nella prima lettura, identifica Cornelio come un pericolo, un nemico, ma una volta entrato in casa sua, nella sua vita, dirà:"veramente mi sto rendendo conto che Dio non fa preferenza di persone…". (Atti 10,34) Entrare e rimanere in una casa è il primo passo per superare l'idea del nemico. Il primo passo è resuscitare la parola "amico". Non vi chiamo più servi, ma amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio ve l'ho fatto conoscere. Resuscitare la parola amico allude alla libertà, alla fiducia, alla trasparenza…purtroppo nella chiesa non mi sembra che predomini la parola "amico", ma piuttosto la figura del superiore e del dipendente, chi comanda e chi deve obbedire.
Dare la vita, Gesù lo definisce un atto di amore e non un sacrificio. Chissà perché nella liturgia al "dare la vita" si è preferito "questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi!".
Motivo di gioia è solo l'amore, non il sacrificio.
...Come il Padre ha amato me… perché l’ Amore abita alle nostre spalle, costruisce soffi di vita, e permette alla nostra vita di respirare. L’amore abita sempre alle nostre spalle, noi viviamo perché abbiamo Amore alle spalle. Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. E l’uomo nasce e si sostiene proprio perché può fare continuamente memoria di tutto l’amore che ha ricevuto, di tutti quei gesti che sono diventati strada, percorso, di tutta quella vita che lo ha spinto fuori dalla solitudine, unica forza capace di esporci al futuro.
Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore. Poi nell’Amore occorre rimanerci, prenderci casa, spesso anche imparare a resisterci, l'amore non è scontato. Come se la vita si divertisse a soffiare, vento contrario, contro i sogni e le speranze che ci hanno messo al mondo. Come se la vita soffiasse forte a voler portare via le speranze, i sogni, la semplicità, la gioia dell’infanzia… Rimanere chiede resistenza e esercizio di memoria.
Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la mia gioia sia piena. In gioco non c’è altro che la gioia. Che non è certo la pretesa di non soffrire ma il desiderio di sentire che la fede profonda nella vita è una fede ben riposta.
V Domenica di Pasqua - 02.05.2021
Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 15,1-8
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Gesù aveva appena detto:"alzatevi, partiamo di qui!". Sta per avvenire una separazione, una partenza, ma sente il bisogno di mantenere un legame.
E Gesù a dire che non avviene una separazione o meglio che la vera separazione non è questa, non è quella della morte. Sembra di riascoltare la sfida del Cantico dei Cantici: "più forte della morte è l'amore". Sembra il massimo della separazione la morte. Ma Gesù, con l'allegoria della vite e dei tralci paradossalmente parla di vicinanza, d'intimità: l'uno nell'altro, i tralci nella vite. Sembra di riudire la prima pagina della Bibbia: ".....e i due -è scritto- uomo e donna, saranno una carne sola". Questa intimità che è superamento della distanza. "rimanete in me ed io in voi". Sono le parole che usa anche l'amore umano, parole che vanno a sottolineare l'importanza della relazione: al di là di tutto, al di là di ogni distanza. Non basta abitare sotto lo stesso tetto, così come non basta celebrare riti nella casa di Dio, l'importante è la cura della relazione, di questa dimora del cuore che ci permette di essere vivi e non rami secchi; i rami vivi li vedi germogliare e fiorire. Quei germogli e quei fiori dicono che sono inseriti in qualcosa di vivo. Ma se siamo secchi, avvizziti, senza cuore, senza pulsioni, senza dilatazione, se siamo secchi e diciamo di essere uniti a Dio, facciamo come se Dio fosse lui pure avvizzito, rinsecchito, inerte. "Rimanete in me ed io in voi". E alla fine: "se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi porterete molto frutto". Gesù ha la sua dimora in noi, se le sue parole hanno una dimora dentro di noi. Metti a dimora nella tua vita, nel tuo cuore le parole di Gesù e ci saranno germogli, e anche frutti, molti frutti.
- Rimanere: sette volte viene ripetuto.
All'inizio della primavera sui tralci potati affiora una goccia di linfa che luccica sulla punta del ramo. I contadini dicevano essere la vite che va in amore! Quella goccia di linfa mi parla di me e di Dio, dice che c'è un amore che sale dalla radice del mondo e mi attraversa, una vita che viene da Dio e sfocia in frutti d'amore.
Il vangelo di Giovanni era cominciato con due discepoli che cominciarono a seguirlo e dopo un breve, ma intenso dialogo: "che cosa cercate?" - "dove abiti?". - "venite e vedete". - andarono , videro e "rimasero" con lui.
Dimorare vuol dire entrare nella casa, nella vita di una persona.
Dimorare vuol dire accettare, amare una persona, ascoltarla, accogliere la sua storia, il suo modo di agire, di pensare. Forse possono raccontare questo solo coloro che fanno una esperienza di amore. Dimorare è più che abitare. si può abitare una casa come spazio esteriore, o come spazio di relazioni, di un intimo comunicare, un abitare pensieri, emozioni, sogni.
Quando hai dentro i sogni di una persona non te ne liberi più, e questi ti fanno vivere:"Ciascuno cresce solo se sognato!".
Primo modo di dimorare è ascoltare, accettare. Quello che l'altro dice per me diventa importante: vuol dire andare incontro alle sue esigenze, domande, richieste.
- "Se rimanete e le mie parole rimangono in voi, chiedete e vi sarà fatto…".
Se uno sa ascoltare, chiede all'altro, ciò che sa essere in suo potere dare.
Ma bisogna chiedere non pretendere e neppure aspettarsi di ricevere senza chiedere. Il desiderio di un dono si esprime col chiedere.
Allora si porta frutto: sei volte si parla del frutto.
Siamo al mondo non per mettere radici, ma per portare frutto.
- Preghiera di Oscar Romero
"Signore, per ogni uomo hai fissato un appuntamento d’amore.
Rendimi capace di non perderlo, di non rimandarlo,
di non arrivare in ritardo, di non renderlo vano.
Che io sia giovane o adulto, uomo o donna, poco importa.
Donami la misura del “come”.
Donami di amare senza misura.
Fa’ che io sappia mettermi in ascolto della tua Parola e della voce dei poveri,
perché possa uscire dal mio piccolo mondo e farmi dono per tutti.
Sono solo un filo d’erba tremante,
ma soffia sulla mia vita e strappami alla terra.
Non metterò radici, ma porterò frutti:
come te, come i martiri, come l’amore".
Per dare frutto bisogna rimanere, aderire fedelmente al Signore, alla sua parola. Restare, rimanere, perseverare, sono immagini estranee al nostro mondo in cui si fanno le cose per un momento, per un attimo, finché c'é la novità…nella parabola del seminatore, per indicare quelli che alla prima difficoltà si abbattono, si dice che sono quelli che vivono nel momento…
L'amore non è esperienza di un momento!
Il frutto della vite è il vino, un vino vero, capace di dare gioia, non un vino menzognero che ubriaca, senza dare gioia.
Il rimanere, l'ascoltare porta alla potatura, che è una liberazione da tutto ciò che non porta frutto. Nell'amore, nella relazione, ci si aiuta a tagliare ciò che è inutile e superfluo! Potare non significa amputare, significa dare vita. Rinunciare al superfluo equivale a fiorire! Il sogno di Dio non è la sofferenza, ma il molto frutto. Nessuna pianta sofferente porta buon frutto. Portare buon frutto con dentro il sapore di Dio, che ha il gusto di tre cose: amore, coraggio e libertà. Non c'é amore senza libertà, libertà senza coraggio. E amore, libertà e coraggio sona la linfa e i frutti di Dio in noi.
- "Se rimanete nella mia parola, siete veramente miei discepoli, e conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi". (Gv.8,31-32)
IV Domenica di Pasqua - 25.04.2021
Vangelo Gv 10, 11-18
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
- Se c'è una cosa che preoccupa Gesù è la vita. Che sia abbondante: come è abbondante il vino, come è abbondante il pane…
La vita ha bisogno di spazi liberi, non di recinti. Il recinto è qualcosa che ti dà sicurezza, però ti toglie la libertà. Non siamo fatti per stare chiusi nel nostro recinto, ma per alzare lo sguardo, per guardare al di là del recinto. Non siamo fatti per alzare muri per non vedere, per mantenere le distanze, per non sentire. Siamo interpellati in prima persona da coloro che sono aldilà del recinto delle nostre case, delle nostre chiese, dei nostri gruppi.
Il pastore buono, bello, vero è l'uomo che riconosce l'assenza di cesura tra sé e il mondo. E' un uomo che sa la sua sorte essere strettamente legata alla sorte del mondo. Egli vive se le pecore vivono, egli riconosce questo ambiente come suo. Tra questo uomo e il mondo non c'è estraneità, ma reciproca conoscenza.
Il mercenario ha con il mondo(le pecore) un rapporto di estraneità. Il suo mondo è il mondo delle cose che si comprano e che si vendono. E' un mondo sfruttato e da cui si trae guadagno immediato, ma in questo guadagno è già iscritta la rovina sia del mercenario che del mondo. Arriva il lupo, irrompe la realtà, le pecore si disperdono, il mercenario fugge. Non c'è scampo né per il mercenario, né per le pecore. La reciproca estraneità porta alla distruzione e alla perdita di soggetto e contesto. Il rapporto originario, invece di pastore e pecore, di soggetto e ambiente consente l'apertura verso gli altri e anche verso l'Altro. Solo per l'uomo non separato dal mondo, per l'uomo non-merce, è possibile il rapporto con gli altri. Un rapporto basato sull'ascolto: "ascolteranno la mia voce". Ascoltare è la prima maniera di dire all'altro: "tu ci sei!".
Fuori dal mondo mercificato il dialogo tra diversi è possibile ed è possibile l'ascolto reciproco.. Un ascolto che si fa rapporto, ma mai conquista. Le cose veramente preziose non si possono comprare, rubare. Nessuno possiede mai quello che compra! I nostri desideri più profondi sono appesi alla libertà. Le cose che contano davvero sono poche, ma si riconoscono facilmente: sono quelle che rimettono al mondo, che fanno rinascere. Il gesto del pastore è il desiderio di un innamorato: entra nel recinto solo per spingere fuori il gregge. L'amore spinge fuori, partorisce vita…Ci sono altri recinti religiosi e non solo, dove sono racchiuse altre pecore. Il sogno di questo pastore, più forte di lui, è quello di liberare tutte queste potenzialità perché la vita sia buona, bella e vera per tutti!
E san Paolo: "Non per fare da padrone sulla vostra fede, ma per essere collaboratore della vostra gioia". (2Cor.1,24)
- OMAGGIO A GIOVANNI CATTI
- C’era un pastore, che aveva cento pecore’ Sono tante sono poche cento pecore? Sono tante? No, sono poche cento pecore. Perché? Eh, perché nel paese di Gesù i pastori ne avevano tante, di pecore: migliaia e migliaia. Abramo, che era un grande pastore del paese di Gesù, aveva trecentodiciotto uomini, a custodirgli tutte le sue pecore. Pensate, dunque, quante ne aveva! Invece questo pastore ne aveva cento, appena.
Poiché erano così poche, gli erano tutte care. Uno, che ha un milione di pecore, che se ne fa, se gliene muore una? Ma chi ne ha cento, ah, Vuol bene a tutte. Questo pastore voleva bene a tutte le sue; e le conosceva tutte, una per una; e le chiamava per nome: una era la Neretta, perché era tutta nera, come il carbone; l'altra la chiamava Ricciutella, perché aveva una lana ricciuta, bella bella. Ce n’era una, però, che era la più bella di tutte, proprio la più bella; bianca bianca come la neve, con una lana fina fina. La chiamava: la Bianchina.
Era bella, ma un po’ capricciosa. Ce ne sono tra voi, dei capricciosi? No, tra voi non ce ne sono... Le sue compagne dicevano: «Che cosa crede di essere? la regina?». E non la volevano neppure con loro; lei stava sempre vicina al pastore. Anche il pastore voleva bene alla Bianchina, e mangiava sempre vicino a lei; e le dava, a volte, un po’ del suo pane; ma la Bianchina era sempre più capricciosa e superba.
Un mattino, il pastore usci dal recinto. Perché su, sui monti, i pastori non hanno la casa: hanno un recinto, dove tengono le pecore la notte, perché non vadano i ladri a rubarle, o i lupi a mangiarle. C’erano, li vicino, tanti altri pastori, che avevano tutti il proprio recinto. Allora, apri il recinto, ne fece uscire le pecore, e le chiamava tutte per nome. Poi si mise avanti, col suo bastone, e cantava. Cantava e camminava: su per la collina, per i prati, finché trovò un bel posto, tutto pianeggiante, dove c’era tanta bella erba verde. Allora sedette li, e le pecore si sparsero a brucare tutto intorno, belando: beh, beh...
La Bianchina stette un po’ vicino al pastore, poi se ne andò; ma non voleva andare con le altre pecore: «tutte brutte», diceva lei, «sono brutte, non mi piacciono: io voglio star sola!». Vide un bel cespuglio di fiori, e camminò per brucarli; poi ancora ne vide uno più distante, e andò; poi avanti, e vai, e vai, si allontanò tanto dal gregge.
Intanto il pastore vedeva tutte le pecorelle d’intomo, e non pensava che quella scervellata se ne fosse andata così lontana. Venne la sera. La Bianchina era distante, distante, ormai era scesa in fondo a una valle, era risalita sul pendio di fronte, poi ancora era discesa. Quando s’accorse che il sole era scomparso, allora cominciò a batterle il cuore forte forte: puff, puff,... perché aveva sentito raccontare la storia dei lupi, che la notte escono a mangiare le pecore; e degli sciacalli, che sono dei cani feroci, i quali, se trovano una pecora, te ne fanno una colazione e una cena in quattro bocconi. Allora lei incominciò, poverina, ad andare piano piano, per non fare rumore. Ma, ad un tratto: «oh, povera me!». Che cos'ha sentito? L'ululo del lupo. «Si, questo è l’ululo del lupo... lontano lontano, ma è l’ululo del lupo... e poi... l’abbaìare dello sciacallo ... ». Che paura, povera Bianchina!
Fattasi sera, intanto, il pastore diede un fischio, che tutte le pecore conoscevano, e tutte: beh, beh,... si raccolsero intorno a lui. Lui si mise davanti, col suo bastone, e cantando se ne tornava verso il recinto, e le pecore dietro. Arrivato al recinto, si mette sulla porta, per farle entrare, e le pecore entrano, e lui le conta tutte: «Una, due, tre, quattro... avanti, Neretta... cinque, sei, sette... su Ricciutella... otto, nove, dieci, undici... venti... trenta... quaranta... cinquanta... sessanta... settanta... ottanta.... novanta, novantuna, novantadue, novantatré, novantaquattro, novantacinque, novantasei, novantasette, novantotto, novantanove... ; ne manca una!». Chiude, e guarda le pecore: «Ho bell’e capito, è quella scervellata della Bianchina. oh, povero me! Adesso mi è rimasta lassù, e Il lupo me la divora certamente... Ma no, no; io vado a cercarla!». Le pecorelle stavano zitte zitte, non osavano neppur belare, e lo videro, che prese il suo bastone e il suo cappellone, e andò dagli altri pastori, ad avvertirli: «fatemi un po’ la guardia anche al mio gregge». E parti.
«Ehm quella smorfiosetta», avranno pensato le altre pecore, «non vuoi mai stare con noi, e adesso la pagherà, una volta per tutte. Non vuoi stare in compagnia, perché lei è la più bella; vedrà che cosa le giova la sua bellezza ... ». «Mi rincrescerebbe», pensava un’altra, «se il lupo se la dovesse mangiare: mi rincrescerebbe, ma dopo tutto se l’è meritato, se l’è proprio voluto ... ».
Il pastore andava di corsa, e di tanto in tanto lanciava un fischio, e poi tendeva l’orecchio, se sentisse un belato. La povera Bianchina si era tutta nascosta, infilandosi dentro a un rovo, che le aveva strappato la lana bianca, e l’aveva tutta punta: ma lei se ne stava li quieta, quasi senza respirare, per paura che si avvicinassero un lupo o uno sciacallo. A un certo momento, le parve di sentire il fischio del pastore, e tese l’orecchio: il fischio si ripeté. «Oh è proprio il pastore, il mio buon pastore, che viene a cercarmi». Stette ancora in attesa, e il fischio si ripeté, più vicino. Allora fece un belato piccolo piccolo, e il pastore un altro fischio; lei un altro belato, lui un altro fischio; un altro belato, e il pastore si avvicinava, si avvicinava... «Eccolo, eccolo che arriva! Che gioia, che gioia sentirlo arrivare!».
«Ma adesso me le suona. Adesso me le dà», pensò la Bianchina, «oh, meglio le botte del pastore, che i denti del lupo o dello sciacallo». Invece il pastore, pungendosi le mani, allarga i rami del rovo, e: «Povera Bianchina», dice, «come ti sei ridotta! Ma guarda, quanta paura devi aver avuto! Ti sei tutta punta? Ma vieni, vieni, vieni, sarai stanca; vieni, che ti prendo in collo». La prende, se la mette in collo, e via cantando. Lei tutta felice: «Com'è buono, com'è buono!». Poi però pensava: «Adesso me le darà quando siamo a casa, in presenza di tutte le altre. Me le avesse date subito là, piuttosto che in presenza di tutte le altre... pazienza, meglio le botte in presenza delle altre che i denti del lupo o dello sciacallo!».
Le pecorine dormivano con un occhio solo, e stavano aspettando. A un certo punto sentono la voce del pastore, che canta. «Arriva, canta, vuoi dire che l'ha trovata». Stanno li, e chiudono allora tutt'e due gli occhi, e fanno finta di dormire tranquille. Pensano: «Adesso, almeno, una buona penitenza gliela darà, no?».
Il pastore arriva, posa la pecorina, l'accarezza e: «Va' Bianchina», le dice, «va' a far nanna, chissà come sei stanca, poverina; dormi tranquilla». Le altre non aprono neppure un occhio, e continuano a ruminare, come se dormissero tranquillamente. Il pastore prende due fiaschi, e va dagli amici, e dice: «Facciamo festa, avevo perduto la mia pecora e l'ho ritrovata!».
Sapete chi è la Bianchina?
(Racconto scritto da Giovanni Catti…diceva essere la storia che il cardinal Lercaro raccontava ai bambini)
III Domenica di Pasqua - 18.04.2021
Dal vangelo secondo Luca -24, 35-48
- In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».
- Il capitolo 24 conclude il vangelo di Luca.
Vengono riportati quattro momenti come fossero accaduti nello stesso giorno.
- Prima le donne vanno al sepolcro.
- Poi Gesù si fa incontro ai due discepoli che scendono da Gerusalemme ad Emmaus.
- Appare agli undici e a quelli che erano con loro.
- Alza le mani, li benedice, viene portato nel cielo.
- Più che da fatti in grado di dimostrare l'accaduto, ogni episodio è caratterizzato da sentimenti
ed emozioni…
- Le donne al sepolcro erano perplesse…non sapevano cosa fare, non vedevano una via
d'uscita… Erano impaurite…col volto a terra.
- Pietro è meravigliato.
- I due discepoli di Emmaus erano tristi… senza testa e senza cuore.
- Gli undici e gli altri sono sconvolti, pieni di paura, turbati e pieni di dubbi…
- L'ultimo sentimento è la gioia…
- C'è sempre: un richiamo alle scritture e il legame tra il Gesù della Galilea e il Gesù che
incontrano ora …
È lo stesso, ma anche totalmente diverso.
- "Sono proprio io…"
Eppure, tutte le volte c'è sempre una grande difficoltà a riconoscerlo.
- E' ciò che gli Ebrei hanno vissuto durante la Shoah.
La domanda che furono costretti a porsi fu: - E' possibile credere in Dio dopo aver
vissuto una esperienza come questa? In quale Dio poi? Non può certo essere lo stesso!
- Non credo sia stata molto diversa l'esperienza di quel gruppo di discepoli che avevano
conosciuto Gesù, poi l'hanno visto morire in quel modo…come potevano credere in lui e che
Dio fosse per lui come un padre…"…era un profeta potente in opere e parole, davanti a Dio
e a tutto il popolo…è stato consegnato perché fosse condannato a morte e crocifisso.
Noi speravamo fosse lui a liberare Israele…".
- Dopo la sua morte e quel tipo di morte, tutto sembrava essere smontato:
crollate tutte le speranze, tutti i progetti, tutti i sogni…
- Oggi forse ci troviamo in una situazione simile.
- Per molto tempo ci siamo aggrappati alle nostre radici cristiane, radici che avevano plasmato, formato, condizionato tutta la nostra cultura, di cui eravamo orgogliosi…poi è arrivata questa pandemia e ci ritroviamo che tutta una struttura religiosa è crollata. Anche molti dei nostri valori non trovano più spazio…
Cosa rimane della nostra impostazione religiosa, dei ritmi e tempi che scandivano le varie tappe ed età della vita? Sentiamo nostalgia delle folle che riempivano piazza san Pietro?
Aspettiamo che tutto torni come prima!?
Mai nulla è tornato come prima. Gesù è risorto, è vivo sì, ma non è più quello di prima…
- La fede dopo la Shoah sì, ma non poteva essere più quella di prima…
- La nostra religiosità sì…ma non potrà essere più quella di prima.
Ci sarà una continuità?
Nel capitolo 24 di Luca c'è una indicazione forte e chiara. "Aprì loro la mente all'intelligenza delle scritture…cominciando da Mosè, dai profeti e dai salmi…".
Credo che anche oggi dobbiamo riprendere in mano la scrittura e su questa rivedere il nostro modo di pensare Dio, la religione, i riti e i sacramenti…
Penso che volesse dire questo Luca quando mette in bocca a Gesù l'esigenza di convertirsi e di perdonare i peccati. Forse quando Gesù dice che non passerà una generazione prima che queste cose avvengano, voleva dire che ogni generazione deve fare i conti con un rinnovamento della propria fede! La storia è una serie infinita di crisi, ma riconoscere Gesù vivo, vuol dire anche fare della crisi una opportunità.
- La vita di Gesù: ciò che le sue mani hanno compiuto, le strade che i suoi piedi hanno percorso sono una lettura nuova della legge e dei profeti. Una antica preghiera del XIV secolo dice: "Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani per fare il suo lavoro oggi. Cristo non ha piedi, ha soltanto i nostri piedi per guidare gli uomini sui suoi sentieri".
- "toccatemi…" Gesù aveva toccato importi (Lc.7,14) i lebbrosi (Lc.5,13) e li aveva riportati alla vita…toccarlo per riportarlo alla vita, riconoscerlo ed essere a loro volta contagiati dalla sua vita. Gesù risorto restituisce la corporeità ai suoi discepoli, li coinvolge in una comunione che implica le mani e i piedi.
Nell'episodio di questa domenica, Gesù, non spezza il pane, ma condivide del pesce arrostito…Forse anche le nostre eucarestie potrebbero ritrovare lo spirito giusto…è un parlare e un mangiare condividendo paure e dubbi…gioie e meraviglie…che poi ci sia del pane o del pesce forse non è così importante…Chissà!!!
- Avete qualcosa da mangiare…? Questa domanda di Gesù non vuole tanto dimostrare la sua corporeità o identità, ma è la domanda che l'umanità di ogni tempo rivolge alla religione.
Gli evangelisti, e Luca in particolare, rimproverano a tutti l'ignoranza, la chiusura mentale e del cuore…Non possiamo far finta che questa ignoranza non ci riguardi!
- " …saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati…".
Qualcosa non solo superficialmente, ma radicalmente deve cambiare nella nostra cultura, vita e fede, a cominciare dal senso del peccato che non può essere il giudizio morale che la chiesa dà, secondo regole, spesso condizionate dal tempo e dallo spazio, ma va misurato in base alla coscienza.
"Di questo voi siete testimoni!".
Se non avremo questo coraggio, entusiasmo, rischiamo di vivere di nostalgia, ma senza speranza, senza voglia di rimettersi a correre…senza avere nulla da testimoniare!
Non serve a niente essere testimoni di cose morte…Gesù non voleva questo!
"Non ricordate più le cose passate,
non pensate più alle cose antiche!
Ecco, faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?". (Isaia 43,18-19)
" Ecco io faccio nuove tutte le cose!". (Apocalisse 21.9)
II Domenica di Pasqua - 11.04.2021
Bisogno - ferite - pace - perdono
Dagli Atti degli Apostoli -At 4, 32-35
La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.
Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore.
Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.
Dal vangelo secondo Giovanni - Gv 20, 19-31
- "La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome".
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù...
… quando il sole tramonta e accarezza di buio la valle, in punta di piedi, come se non volesse disturbare... la resurrezione è qualcosa di intimo, qualcosa che germoglia dentro, al buio, nel silenzio.
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.
- Dov'era Tommaso?
Io credo che Tommaso, lui che si era detto disposto a morire con Gesù, fosse là, dove c'era gente nel bisogno, gente ferita… era l'unico che non si era lasciato prendere dalla paura… Era là e non trovava la strada per portarequella pace che il maestro aveva promesso." Dove io vado voi conoscete la via!" -e Tommaso: "Signore, non sappiamo dove vai, come possiamo conoscerne la via?". Tommaso, voleva che le piaghe fossero prese sul serio. Non poteva credere che venissero dimenticate. Che la Resurrezione le avesse cancellate, sublimate.
- Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
- Gesù non si è mai tirato in disparte di fronte alle ferite, ha sempre cercato di toccarle.Toccava e si lasciava toccare…questo è quello che voleva fare Tommaso.
In nome di questa vita, in nome del miracolo del nascere e del morire, in nome di chi ci ha creduto, in nome di ogni lacrima versata, di ogni violenza subita, di ogni ingiustizia… ma anche solo per me,che mi sono affezionato alle persone, che mi sono emozionato, che ho preso sul serio il compito di comprendere il dramma umano, anche solo per me: io non posso accontentarmi di una chiesa che dice “abbiamo visto il Signore”.
- Io ho visto, come tutti, le piaghe e il sangue. Io ho creduto, come tanti, che forse sarebbe stato meglio non nascere perché il dolore è davvero qualcosa di insostenibile e ingiusto. Io alla vita terrena ci credo, con atto di fede totale, ma non me ne faccio nulla di un Dio che abita un altro luogo, di uno che si dimentica del sangue e del dramma a cui siamo immersi. Ha ragione Tommaso! A cosa serve la ripetizione di parole di speranza che non hanno il coraggio di entrare nelle ferite del mondo? A cosa serve una fede che davanti al mio sepolcro, al mio dolore, che è sacro (e che non dovete mai osare mettere a confronto con il dolore di altri!) ripete con fastidiosa sicurezza che Dio esiste?
- Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!».
Gesù le ferite se le è portate con sé. Anche oltre la morte. Io alle ferite ci credo, nel dolore ho una fede incrollabile, ho solo bisogno di trovare la via per entrarci e portare pace e perdono.
Tommaso cerca la strada per curare le ferite, vuole portare pace dove c'è solo sofferenza e miseria. Chiede a Dio che mostri le ferite non guarite, ma valorizzate.
In alcune culture orientali quando un oggetto si rompe, lo si ripara con l'oro. L'esito finale è un vaso con striature d'oro che lo rendono nuovo, diverso, unico. Valorizzare le ferite senza nasconderle può rendere l'oggetto ancora più bello e prezioso. Come le stelle che rendono più bello e prezioso il cielo, se è vero che le stelle sono le cicatrici dell'universo.
Il perdono è questo grande dono, curare con l'oro le ferite!
La fede è un atto di immersione nel vivere quotidiano. Alla luce di questo Vangelo, posso dire che il mio dolore non è dimenticato, che è preso sul serio, che Qualcuno non lo dimentica, lo custodisce. Ci soffia sopra, come una mamma. E come una madre mi dice di riprendere a camminare, e come una mamma mi dona la pace e il perdono per non vivere da risentito. Io mi fido solo di chi prende sul serio le ferite, di chi prende sul serio i bisogni! Le ferite ti diranno che hai veramente vissuto, sono segno prezioso di rinascita. La vita più vera è quella cosparsa di cicatrici!
“Mio Signore e mio Dio” non saresti “mio” se non abitassi il mio dolore, i miei drammi, le mie angosce. Non saresti “mio” senza memoria della mia vita, di chi ho amato, di ciò che ho perduto. A me non interessa che altri ti abbiano visto, io voglio imparare a sentirti mio. Come ferita incisa per sempre nella mia carne. Mio non di possesso, ma di appartenenza: stringimi in te, stringiti a me. Mio, come lo è il cuore. E, senza, non sarei. Mio, come lo è il respiro. E, senza, non vivrei.
Allora: "beati quelli che non hanno visto, toccato e hanno creduto".
Le ferite, sembrano essere la prova che la religione non è capace di produrre salvezza. Ma nessuno che abbia lottato per la pace è stato esente da persecuzioni e spesso non ha visto o toccato i risultati sperati. Ma non si può credere nella risurrezione senza far coincidere questa fede con la speranza della pace, del perdono!
Beati, non sono quelli che hanno creduto senza aver visto, toccato Gesù, ma quelli che senza aver visto/toccato con mano i risultati di tante fatiche, lotte e croci, hanno continuato a credere che quella fosse la vita.
Queste cose sono state scritte perché abbiate la vita…
Pasqua - 04.04.2021
Marco 16,1-8
- "Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?». Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero spavento. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto». Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura".
- "Tre donne …" sono quelle che avevano seguito Gesù dalla Galilea, lo avevano servito ed erano slitte con lui fin sul calvario…
- "Portavano con sé oli aromatici…"potrà un profumo spostare una pietra!?…ma non sarà la bellezza a salvare il mondo, piuttosto siamo noi che dobbiamo salvare la bellezza…come non siamo noi cercare la felicità, ma solo proteggerla…
- "Di buon mattino, il primo giorno, al levar del sole…" anche troppe indicazioni di tempo…non sembrano persone tristi, disperate …vanno incontro alla luce… c'è speranza in loro, si lasciano avvolgere dalla luce, dal nuovo giorno…
- "la pietra…"pasqua è la festa di pietre che rotolano, spostate!
- "Guardando" in alto, attraverso e dentro…videro!…E' un guardare la croce e vedere oltre…
- "Entrare nel sepolcro"…senza profanarlo…con mitezza, senza violenza...
- "Un giovane…"il mondo intero è nuovo fresco, giovane…sono belli i sogni dei dei giovani…mai come oggi abbiamo bisogno dei loro sogni, che illuminino le nostre vite…Ricorda quel giovane che ha seguito Gesù avvolto in un lenzuolo e che una volto preso lascia il lenzuolo e fugge via nudo, libero…è la libertà dei giovani che può portare nuova luce a questo tempo…
- "Turbamento - timore - stupore - paura …"Si passa da chi resta a bocca aperta come un bambino che guarda attonito davanti ad una visione inaspettata a chi è preso da una potentissima emozione o rapimento/estasi ad una paura dovuta forse alla troppa emozione ….forse gli ingredienti di quei profumi, forse ciò che caratterizza la vita di chi cerca con amore, di chi sa che il tempo dell'amore è più lungo del tempo della vita…
- "Voi cercate…"inadeguatezza delle nostre ricerche…ad accogliere tutte le manifestazioni della vita.
- "E' risorto…non è qui…" la morte non ha alcun potere…e noi non lasciamoci prendere dalla tentazione di riempire quel vuoto… "Non c’è nulla che possa sostituire l’assenza di una persona a noi cara…
Ciò può sembrare a prima vista molto difficile, ma è al tempo stesso una grande consolazione, perché finché il vuoto resta aperto si rimane legati l’un l’altro per suo mezzo.
È falso dire che Dio riempie il vuoto; Egli non lo riempie affatto, ma lo tiene espressamente aperto, aiutandoci in tal modo a conservare la nostra antica reciproca comunione, sia pure nel dolore.
Ma la gratitudine trasforma il tormento del ricordo in una gioia silenziosa.
I bei tempi passati si portano in sé non come una spina, ma come un dono prezioso.
Bisogna evitare di avvoltolarsi nei ricordi, di consegnarci ad essi; così come non si resta a contemplare di continuo un dono prezioso, ma lo si osserva in momenti particolari e per il resto lo si conserva come un tesoro nascosto di cui si ha la certezza.
Allora sì che dal passato emanano una gioia e una forza durevoli". Dietrich Bonhoeffer
- "Andate dite…vi precede…"la vita è sempre oltre…Vi precede: avanza alla testa della lunga carovana dell'umanità incamminata verso la vita; cammina davanti, ad aprire l'immensa migrazione verso la terra promessa...in Galilea…che non è un ritorno al passato, ma una terra che Dio volta per volta indicherà come ad Abramo…ditelo in silenzio!
- "Ed esse, uscite, fuggirono, e non dissero niente a nessuno…"strana conclusione…fragilità della resurrezione! Ma se credo nella resurrezione è solo perché persone piene di "turbamento-timore-stupore e paura" hanno lottato, amato, gioito per la vita senza clamore fuggendo dai "sepolcri". C'è, ma va cercato fuori dal territorio delle tombe, in giro per le strade, per le case, dovunque, eccetto che fra le cose morte: "lui è in ogni scelta per un più grande amore, è nella fame di pace, negli abbracci degli amanti, nel grido vittorioso del bambino che nasce, nell'ultimo respiro del morente" (G. Vannucci).
"Il Vangelo di Pasqua ci racconta che nella vita è nascosto un segreto che Cristo è venuto a sussurrarci amorosamente all'orecchio. Il segreto è questo: c'è un movimento d'amore dentro la vita che non le permette mai di restare ferma, che la rimette in moto dopo ogni morte, che la rilancia dopo ogni scacco, che per ogni uomo che uccide cento ce ne sono che curano le ferite, e mille ciliegi che continuano ostinatamente a fiorire. Un movimento d'amore che non ha mai fine, che nessuna violenza umana potrà mai arrestare, un flusso vitale dentro al quale è presa ogni cosa che vive, e che rivela il nome ultimo di Dio: Risurrezione". (Ermes Ronchi)
Domenica delle Palme - 28.03.2021
Lettura della passione secondo Marco 14,1-15,47
SE FOSSI…
- Se io fossi una pietra…
potrei essere una pietra della strada che porta a Gerusalemme. Sentii un gran tumulto di passi, tutti accorrevano e volevano vederlo da vicino. Non sapevo chi fosse, ma capii subito che si trattava di una personalità. C'era molta eccitazione, le donne portavano anche i bambini. Sembrava una grande festa. Qualcuno ebbe l'idea di prendere delle fronde e di sventolarle in segno di benvenuto e subito tutti imitarono e il passaggio divenne tutto una palma.
Le grida diventarono sempre più gioiose e presto si tramutarono in canti: "Osanna! Osanna! Benedetto!"
Quando fu vicino a me e finalmente lo vidi, rimasi stupita: mi sarei aspettata di essere calpestata dalle ruote di una carrozza o dagli zoccoli di un cavallo…invece si presentò in tutto un altro modo. Le autorità erano infastidite dall'affetto che riceveva e gli chiesero di mettere fine agli schiamazzi. Ma lui rispose che sarebbe stato inutile. Mi piacque come lo disse! E anch'io cominciai a cantare.."Osanna! Benedetto!".
- Se io fossi un capello…
Potrei essere un capello di Gesù.Troppo facile essere il profumo! No, io sono un capello. Il capello unto, sudato, appiccicoso di uno che non ha dove posare il capo spesso dorme in ripari polverosi. Il capello di uno che ha fatto molta strada e ora è ospite di un lebbroso. Non credo si aspettasse il gesto di quella donna , ma era proprio quello che ci voleva! Fu una cosa così affettuosa, così gratuita… il profumo certo si dissolve in fretta, ma la dolcezza di quell'attenzione premurosa rimase nel suo cuore.
- Se io fossi una stanza…
Potrei essere quella al piano superiore. arrivarono per la Pasqua, ma fu una cena strana. Il maestro disse delle frasi che i suoi non capirono. A un certo punto discussero e un paio anche gridarono! Ma prima di uscire cantarono insieme, per la tradizione certo, ma anche per sentirsi ancora uniti e in pace. Cantare insieme agli amici fu il suo ultimo gesto da uomo libero.
- Se io fossi erba…
Potrei essere l'erba del Getsemani. Stanchi e appesantiti dalla cena, si sedettero appoggiandosi agli ulivi e quasi subito si addormentarono, dimenticando le parole udite poco prima. Lui no. Si appartò per pregare, ma fu una cosa molto sofferta. Sconvolto, tornò dai suoi amici in cerca di conforto…dormivano. Pregò ancora. Pregò con tutto se stesso. Si tormentò. Pianse. Mi afferrò fino a stritolarmi. Su me caddero gocce di sudore e anche di sangue.
- Se io fossi un filo…
Potrei essere un filo della tunica di Pietro. Era seduto vicino a un fuoco e sentivo il suo corpo scaldarsi. Poi qualcuno lo riconobbe e lui si spaventò. Lo sentii diventare gelido. Negò. Ma quelli insistevano. Negò ancora e ancora. Quando sentì il canto del gallo, capì. Un caos di pensieri e sentimenti lo attraversò da capo a piedi…ne avverto ancora il fremito. Poi incrociò lo sguardo del suo amico e maestro e sentì che lui lo amava ancora. Lo amava lo stesso. Ora sono un filo impregnato di terrore, vergogna e dolore.
- Se io fossi una spina…
potrei essere una spina della corona di Gesù. Sono nata per difendere una rosa. Invece mi hanno strappata e mi usano per ferire. Con noi si costruiscono con cattiveria fili spinati per tenere rinchiuse e separate le persone. Vorrei tornare a difendere le rose. il loro colore e profumo, la loro delicatezza e bellezza.
Ma quel giorno mi hanno intrecciata insieme ad altre spine e ci hanno spinto sul suo capo. Spinto fino in fondo, fino a conficcarsi facendolo sanguinare. Tutti intorno ridevano, , urlavano, travolti e sostenuti da un delirio collettivo. Poi le percosse gli sputi… in tutto quell'orrore pensai che gli uomini hanno proprio bisogno delle rose e non dovrebbero buttarle per tenere le spine.
Infine la croce, i chiodi, le derisioni… tirai un sospiro di sollievo quando, finalmente, morì.
- Se io fossi un masso…
Potrei essere il masso che chiude il sepolcro. Ho custodito il suo corpo, nel buio e nel silenzio. Non sapevo che stessi custodendo anche l'attesa.
Poi un'improvvisa luce e io, non so come. rotolai.E l'attesa si aprì a una vita nuova, una vita oltre. Occasione di speranza e libertà. Per tutti.
- Roberta Marsiglia
La fedeltà che rende davvero liberi
Quando la vita di Gesù si trasforma in tragedia, un giovane osservava, di nascosto, tutto quello che stava accadendo. Vide quell'uomo, solo, triste da morire. Vide arrivare "uno dei dodici, accompagnato da una folla con spade e bastoni". Vide quando lo presero, lo legarono e lo conducevano ai capi religiosi, suoi nemici dichiarati
"Tutti allora, abbandonandolo, fuggirono. Un giovanetto però lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo, e lo fermarono. Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo"mino. (Marco 14, 51-52).
Quante congetture su questo personaggio senza nome, che simpaticamente si insinua nel dramma della cattura del Signore! Ognuno può ricostruire, con la propria immaginazione, i motivi che lo portano a seguire Gesù, mentre gli apostoli lo abbandonano alla sua sorte. Penso che se Marco gli fa posto nel suo Vangelo, non lo fa soltanto per esattezza di cronista. Infatti, l’episodio viene dopo le paurose parole, che concordemente si leggono sulla bocca dei quattro evangelisti: «allora tutti, abbandonandolo, fuggirono» (Marco 14,50). Quel giovane, invece, continua a seguirlo. Curiosità, bravura, o coraggio vero? Nell’animo di un giovane non è facile far la cernita dei sentimenti. D’altronde, certe analisi non giovano né alla conoscenza, né all’azione. È onorevole per lui e mortificante per noi se egli continua a tener dietro all’Arrestato, senza badare agli apostoli che lo abbandonano e al pericolo cui va incontro dimostrandosi solidale con chi, secondo la legge, non ha più diritto a solidarietà alcuna. Il Signore non può neppure ringraziarlo con uno sguardo, perché la notte inghiotte le ombre e confonde il passo degli amici nel rumore della masnada; ma il suo Cuore divino, che avverte ogni più tenue devozione, trepida e gode di questa fedeltà senza nome. La fretta gli ha persino fatto dimenticare di vestirsi. Si era buttato addosso un lenzuolo e senza badare a convenienze, si era messo sulla strada, dietro il Maestro. Chi vuol bene non cura il decoro, e capisce l’urgenza senza molte descrizioni o incitamenti. Il cuore lo porta all’azione e allo sbaraglio, senza chiedersi se l’intervento sia utile o meno. Vi sono attestazioni che valgono indipendentemente da ogni considerazione di utilità pratica.– Stupido, non puoi salvare il Maestro! E poi, che bella figura! Non sei nemmeno vestito. Se i suoi seguaci sono così equipaggiati! … Questo è il buon senso che parla, e come dargli torto se, un attimo dopo, il giovane sconsigliato lascia il lenzuolo nelle mani delle guardie, che l’avevano agguantato, e scappa nudo? – Bel coraggio! Avete ragione, troppa ragione. Però gli altri, gli apostoli, per scappare non hanno neppure atteso che li agguantassero. Lui, almeno, ha dato ai nemici del Signore l’impressione inquietante che qualcuno gli volesse ancora bene e fosse disposto a tentare qualcosa per salvarlo. E ciò che li deve avere ancora più sconcertati, fu il trovarsi in mano, invece di un uomo, un lenzuolo. Anche la beffa ha la sua morale, come la favola. E la morale è questa: che quando un cristiano non ha che un lenzuolo, è inafferrabile; mentre i cristiani benestanti fanno fatica a disimpegnarsi e restano facile preda dei più abili, che finiscono per comprometterli ovunque. Quel giovane se ne va nudo nella notte. Non ha salvato il proprio decoro, ha però salvato la propria libertà, il suo impegno con Cristo. L’indomani, ai piedi della Croce, vicino alla Madre, alle donne e al Discepolo prediletto, egli sarà presente, primizia di quei cristiani generosi che, in ogni tempo, hanno reso a Cristo e alla sua Chiesa la più inquietante testimonianza.
Don Primo Mazzolari
V domenica di Quaresima - 21.03.2021
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità,
in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome».
Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire. Allora la folla gli rispose: «Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno; come dunque tu dici che il Figlio dell'uomo deve essere elevato? Chi è questo Figlio dell'uomo?». Gesù allora disse loro: «Ancora per poco tempo la luce è con voi. Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce credete nella luce, per diventare figli della luce».
Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose da loro.
Parola del Signore
- Era vicina la Pasqua. alcuni greci, saliti a Gerusalemme chiedono di vedere Gesù.
Vedere, uno dei verbi che ritorna più spesso, nel vangelo di Giovanni.
Vedere è conoscere, è credere.
All'inizio si era detto: "Dio, nessuno l'ha mai visto, Gesù ne è l'immagine più vera". Lo stesso si potrebbe dire dell'uomo: nessuno lo ha mai visto, Gesù ne è l'immagine più vera! - Poi quando i primi due discepoli vanno dietro a Gesù e gli chiedono dove abita: lui risponde venite e vedete. Andarono e videro. Giovanni al sepolcro vide e credette.
Vedere Gesù, vedere Dio, vedere l'umano più umano, è la domanda di sempre.
L'evangelista impiega più verbi per esprimere livelli sempre più profondi di un vedere che conduce alla fede.
BLEPO: che indica la vista fisica: vedere una pietra, un telo, un sudario.
ORAO: che indica la vista interiore, quella della fede, di colui che afferra un fatto e lo comprende.
TEOREO: significa percepire, comprendere a fondo una realtà, contemplare.
Un po' come viso-volto-faccia indicano la stessa cosa, ma con sfumature molto diverse: il vedere, il voltarsi, cambiare direzione, convertirsi e il fare.
Tutti potevano vedere Gesù, ma c'è un vedere e vedere. L'innamorato del Cantico dei Cantici dice all'amata: "mostrami il tuo volto, fammi sentire la tua voce!".
C'è un viso più segreto, una voce più segreta da scoprire.
C'è un po' di tutto questo nel desiderio di vedere di questi greci.
- Gesù risponde con una piccola parabola: vedranno solo un chicco di grano caduto in terra! Ogni uomo, e donna sono chicchi di grano seminati nei solchi della storia, nella terra arida del proprio lavoro, nella terra amara delle domande senza risposta. Stare nel buio e poi risvegliarsi, uscire dalle zolle, nella luce. Gesù racconta la parabola come la verità della sua vita, il segreto della vita.
Io sono questo chicco di grano, anche tu sei come un chicco di grano.
Fa' della tua vita un dono, perché chi la vita se la tiene stretta, la perde, chi invece la dona, la ritrova. La persona si realizza nella misura in cui ha la capacità di donarsi. Chi non dà niente vuol dire che non ha niente. Vivere è dare, spendere, consumare la vita. - "Cosummatum est" - sono le ultime parole di Gesù sulla croce! Tuo è solo ciò che hai donato. Come accade per l'amore: è tuo solo se è per qualcuno. Nella terra ciò che accade non è la morte del seme, ma un lavorio infaticabile e meraviglioso, una donazione continua e ininterrotta, vero dono di sé: la terra dona al chicco i suoi elementi minerali, il chicco offre al germe se stesso in nutrimento, come una madre offre al bimbo il suo seno. E quando il chicco ha dato tutto, il germe si lancia all’intorno con le sue radici affamate di vita, si lancia verso l’alto con la punta fragile e potentissima delle sue foglioline. Allora il chicco muore sì, ma nel senso che la vita non gli è tolta ma trasformata. “Quello che il bruco chiama fine del mondo tutti gli altri chiamano farfalla” (Lao Tze) Il verbo principale che regge la parabola del seme è «produce frutto». La chiave di volta che regge il mondo, dal chicco a Cristo, non è la vittoria del più forte ma il dono.
- Poi dalla parabola passa alla realtà: il chicco di grano caduto in terra è come quell'uomo sulla croce piantata in terra. Quest'uomo sulla croce è il centro di gravità in cui è svelato il senso ultimo della vita e il senso vero di Dio. " Veramente quest'uomo era giusto…veramente quest'uomo era figlio di Dio…!".Tutti quelli che cercano di vedere, dovrebbero essere attratti da quest'uomo!
Da qui nasce un modo di vedere la vita che non è scritto in nessuna legge, in nessun codice, perché il codice in cui è scritta è il cuore dell'uomo, la sua coscienza. E' qualcosa di nuovo e che si rinnova di continuo, come ogni relazione ha bisogno, per restare viva di rinnovarsi continuamente.
La prima lettura di questa domenica riporta queste parole del profeta Geremia: "Ecco, verranno giorni nei quali con la casa d’Israele concluderò un’alleanza nuova… porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: «Conoscete il Signore», perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande".
La legge iscritta nel cuore di ogni essere è che tutto è in relazione. La vita non è un bene di consumo, ma un servizio. C'è un legame, tra tutte le cose, e tutti gli esseri viventi: ciascuno è a servizio dell'altro. C'è una legge interiore, una forza intrinseca al seme, da seguire, da servire, accessibile a tutti: ai poveri, ai miti, agli operatori di pace, agli afflitti…
Questa alleanza fra tutte le creature non è scritta in un libro, neppure nella bibbia o nel vangelo, tanto meno nei dogmi: questa parola è stata consegnata agli analfabeti. C'è una legge, non scritta, insita nel cuore di ogni essere vivente o inanimato: tutto è relazione! E' una specie di codice genetico scritto nel cuore, nella coscienza.
Questa alleanza ha il suo sigillo nella croce: la morte ingiusta del Figlio dell'uomo: "in quel momento attirerò tutti a me".
Quando avremo superato tutti i nostri schemi, le nostre convinzioni ideologiche, i nostri dogmi, le nostre raffigurazioni emotive di Dio, i nostri principi morali allora potremmo essere attratti da questa specie di centro di gravità che è il figlio dell'uomo senza etichette, l'uomo concreto che ha paura della morte, di fronte alla quale grida, piange, la rifiuta!
La sofferenza ingiusta di un innocente è il centro di gravità, dove chi vuol vedere la vita, conoscere Dio, capire il senso dell'esistenza viene attratto. Se non si è attratti da questo centro, se non ci si lascia giudicare da questo fatto, si resta fuori dall'essere.
L'episodio finisce con Gesù che "se ne andò e si nascose da loro!". Come il chicco di grano nella terra, come l'uomo sulla croce, il cui volto-viso-faccia è irriconoscibile!
L'essenziale è invisibile agli occhi!
C'è sempre un infinito da scoprire! "Se uno vuol servire, mi segua
mio caro bambù
leggenda cinese
C'era una volta un bellissimo, un meraviglioso giardino. Era situato ad ovest del paese, in mezzo al grande regno. Il Signore di questo giardino aveva l'abitudine di farvi una passeggiata ogni giorno, quando il caldo della giornata era più forte.
C'era in questo giardino un bambù di aspetto nobile. Era il più bello di tutti gli alberi del giardino e il Signore amava questo bambù più di tutte le altre piante. Anno dopo anno, questo bambù cresceva e diventava sempre più bello e più grazioso. Il bambù sapeva bene che il Signore lo amava e ne godeva.
Un bel giorno, il Signore. molto in pensiero, si avvicinò al suo albero amato e l'albero, in grande venerazione, chinò la sua testa. Il Signore gli disse: "Caro Bambù, ho bisogno di te". Sembrò al bambù che fosse venuto il giorno di tutti i giorni, il giorno per cui era nato. Con grande gioia, ma a bassa voce, il bambù rispose: "O Signore, sono pronto. Fa di me l'uso che vuoi".
"Bambù", la voce del Signore era seria, "perchè tu possa servire, devo abbatterti". Il bambù fu spaventato, molto spaventato: "Abbatterrni, Signore, me che hai fatto diventare il più bell'albero del tuo giardino?". "No, per favore, no! Fa uso di me per la Tua gioia, Signore, ma per favore, non abbattermi".
"Mio caro bambù" disse il Signore, e la sua voce era più seria. "se non posso abbatterti, non puoi servire". Nel giardino, ci fu allora un gran silenzio. Il vento non tirava più. gli uccelli non cantavano più. Lentamente, molto lentamente, il bambù chinò ancora di più la sua testa meravigliosa. Poi sussurrò: "Signore. se non puoi usarmi senza abbattermi, fa di me quello che vuoi e abbattimi".
"Mio caro bambù", disse di nuovo il Signore,'.non devo solo abbatterti, ma anche tagliarti le foglie e i rami. '.0 Signore".disse il bambù, "Non farmi questo. Lasciami almeno le foglie e i miei rami". "Se non posso tagliarti, non puoi servire".
Allora il sole si nascose e gli uccelli ansiosi volarono via. Il bambù tremò e disse appena udibile: "Signore, tagliali!"
"Mio caro bambù, devo farti ancora di più. Devo spaccarti in due e strapparti il cuore. Se non posso fare questo non posso usarti". Il bambù non poté più parlare. Si chinò fino a terra.
Così il Signore del giardino abbattè il bambù. tagliò i rami, levò le foglie, lo spaccò in due e ne estirpò il cuore. Poi portò il bambù alla fonte di acqua fresca vicino ai suoi campi inariditi. Là, delicatamente, il Signore dispose l'amato bambù a terra; un'estremità del tronco la collegò alla fonte; I'altra la diresse verso il suo campo arido.
La fonte dava l'acqua, l'acqua si riversava sul campo che aveva tanto aspettato. Poi fu piantato il riso, i giorni passarono, la semenza crebbe e il tempo della raccolta venne. Così il meraviglioso bambù divenne realmente una grande benedizione in tutta la sua povertà e umiltà. Quando era ancora grande e bello e grazioso, viveva e cresceva solo per sé stesso e amava la propria bellezza. Al contrario. nel suo stato povero e distrutto, era diventato un canale. che il Signore usava per rendere fecondo il suo regno.
IV domenica di Quaresima - 14.03.2021
Giovanni 3,1-21
C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio». Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito». Replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose? In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.
- Un uomo, di nome Nicodemo, capo dei farisei viene da Gesù di notte.
Forse era timido, forse si vergognava…un capo non deve avere dubbi!
Forse, mischiato tra la folla, aveva ascoltato quel giovane maestro e il suo entusiasmo lo aveva colpito. Forse aveva risvegliato i suoi sogni di quando era ragazzo!
Da quanto tempo non faceva più qualcosa con entusiasmo?
Quel maestro parlava con entusiasmo!
Forse questo lo spinse ad andare a cercarlo, di notte. Una notte più interiore che esteriore.
- Ogni ricerca vera parte dalla consapevolezza dei propri limiti, delle proprie paure, del buio che ci portiamo dentro. Avrebbe potuto ascoltarlo in pubblico, avrebbe potuto raccogliere informazioni su di lui e sulle dottrine che insegnava, avrebbe potuto convocarlo per un confronto insieme ad altri maestri.
Nella sua «ricerca» Nicodemo vuole invece un incontro senza mediazioni, libero dai condizionamenti. Sceglie il sentiero dell’incontro, la via del dialogo e del confronto, della relazione personale.
Nicodemo, uomo di paure, scivola da Gesù furtivo tra le ombre della sera. E Gesù non giudica, non condanna, rispetta la paura di Nicodemo, paziente con le sue lentezze. È un germoglio, un timido avvio, il preludio o la promessa di qualcosa che potrebbe nascere.
- Inizia il dialogo: Nicodemo parte dalla sua posizione legato ai suoi schemi interpretativi. Gesù sembra scuotere Nicodemo con una forte provocazione: «Cosa sei venuto a fare? Cosa ti interessa davvero? Vuoi o non vuoi puntare a ciò che è essenziale?»
Perché ciò si realizzi deve però accadere una rottura. C’è un radicale ricominciamento da operare, anzi, da lasciare che accada perché esso è tutta opera di un Altro.
Gesù annuncia a Nicodemo che c’è un nuovo inizio da accogliere. L'obiezione di Nicodemo è carica di ironia ma anche tipica del gioco di fraintendimenti con cui Giovanni spesso fa procedere i suoi discorsi.
Emerge però con chiarezza qual' è l’orizzonte nel quale Nicodemo è abituato a muoversi: quello meramente terreno. Nei ristretti confini di ciò che è visibile e tangibile, in effetti, non è plausibile alcuna rinascita.
La risposta di Gesù lo spinge a credere a un’esistenza più vasta, a un’offerta di vita più ampia e profonda, a credere a desideri, bisogni, passioni, speranze, sogni, progetti… che abbiano il coraggio di sconfinare oltre la misura sempre limitata dei nostri mezzi, delle nostre mediocrità, delle nostre fragilità.
È disposto a credere che si può cercare dove mai avrebbe pensato si potesse?
L’immagine del vento che gioca sulla sovrapposizione con lo Spirito ci fa avvertire l’intenzione di Gesù di liberare Nicodemo dai legacci che imbrigliano la sua ricerca.
- Come Mosè innalzò il serpente…
Tra gli animali della bibbia, il serpente occupa un posto di rilievo. È un animale con una forte carica simbolica anche in antiche civiltà. La terra è sacra e quindi l'animale che più di ogni altro è a contatto con la terra in qualche modo è sacro. Cambia pelle ogni anno quindi è segno di una vita che si rinnova, ha due occhi penetranti capaci di ipnotizzare la preda, con il suo rapidissimo strisciare rappresenta la rapidità, la sveltezza e anche l'astuzia. Gesù dirà «Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt.10,16). È un animale per così dire ambivalente, vita e morte nel serpente si intrecciano, si fondono.
Non è quindi un caso che sia diventato simbolo della medicina. Esculapio, il prototipo del medico, è ritratto nella mitologia greca con un serpente perchè simbolo di vita e di morte.
C'è quel verbo ebraico "nabat" che significa alzare lo sguardo! E' lo stesso che troviamo nel famoso episodio, in cui Dio disse ad Abramo :«Guarda il cielo e conta le stelle se le puoi contare...». Un commento rabbinico, traduce il verbo "nabat" con trasportare in alto. Ovvero Dio avrebbe portato Abramo su in alto, permettendogli così di guardare al suo passato, alla sua storia da un nuovo punto di vista.
Potremmo quindi dire che quel guardare in alto dirigendo lo sguardo al serpente di rame ritto sull'asta significa assumere un nuovo punto di vista.
Il serpente è l'immagine di ciò che ci tiene legati alla terra, ciò che spinge l'uomo verso la rinuncia ai suoi sogni, aspirazioni della sua coscienza. Spinge a vivere una vita nella sua dimensione solo orizzontale, terrena. Cristo sulla croce ci spinge ad alzare lo sguardo, a non abdicare alla nostra verità di figli di Dio e di figli dell'uomo, innalzando la terra al cielo.
Nicodemo ha speso la sua vita, sino a questo momento, nel contesto culturale della legge, ora è chiamato a fare un salto di qualità, nell'orizzonte della gratuità.
Non basta dire: "siamo troppo vecchi…troppo giovani", l'umanità è vecchia…la chiesa è vecchia!
E' tempo di fare i conti con questa nostra paura di nascere, ri-nascere, ri-sorgere.
E' tempo di avere il coraggio di spingere i nostri desideri oltre i confini della "carne", al di là degli orizzonti del visibile, delle logiche dal basso in cui è facile invischiarsi.
Quella notte, Gesù, forse indicò a Nicodemo una via di liberazione, di una possibile pasqua. Tentò di convincerlo che noi siamo desiderio di pace, di benevolenza, di amicizia e di schietta umanità. Siamo condivisione e accoglienza, "casa" gli uni degli altri.
"Chi fa la verità, viene alla luce…"
La verità è silenziosa, non ha parole. La parola può essere un tramite, ma la verità si coglie solo se noi apriamo la parola che ascoltiamo, come si apre un frutto e ci entriamo dentro. La verità istituzionale, non può fare ombra alla verità primordiale che, cioè, ogni creatura che è nell'universo è fratello e sorella.
- "Dio ha tanto amato il mondo da dare la vita…"
Non solo l'uomo, ma è il mondo che è amato, la terra è amata, e gli animali e le piante e la creazione intera. E se egli ha amato la terra, anch'io la devo amare, con i suoi spazi, i suoi figli, il suo verde, i suoi fiori.. E se Egli ha amato il mondo e la sua bellezza fragile, allora anche tu amerai il creato come te stesso, lo amerai come il prossimo tuo: «mio prossimo è tutto ciò che vive» (Gandhi).
Tutta la storia biblica inizia con un “sei amato” e termina con un “amerai” (P. Beauchamp).
Dio non ha mandato il Figlio per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato, perché chi crede abbia la vita. A Dio non interessa istruire processi, Dio non è a misura di tribunale, ma a misura di fioritura e di abbracci.
"Se potrò impedire a un cuore di spezzarsi, non avrò vissuto invano. Se potrò alleviare il dolore di una vita o lenire una pena, o aiutare un pettirosso caduto a rientrare nel suo nido non avrò vissuto invano". (Emily Dickinson)
- Lentamente muore
Lentamente muore
chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marca,
chi non rischia di vestire un colore nuovo,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce solo nero su bianco
e i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi e' infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza
per inseguire un sogno,
chi non si permette
almeno una volta nella vita
di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in sé stesso.
Muore lentamente,
chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare.
Muore lentamente,
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore,
chi abbandona un progetto
prima di iniziarlo,
chi non fa domande
sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde
quando gli chiedono
qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo
di gran lunga maggiore
del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà
al raggiungimento
di una splendida felicità.
Martha Medeiros
III domenica di Quaresima - 07.03.2021
Dal Vangelo secondo Giovanni - 2,13-25
"Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo".
-Il tempio in tutte le culture rappresenta il centro della vita. Al centro di una città, paese ci sta il tempio. Il tempio non è solo luogo di culto, ma rappresenta il mondo dei valori attorno ai quali si struttura la vita di una comunità.
Gesù incomincia dal tempio, dal mondo dei valori per i quali noi viviamo.
Al suo primo impatto con i suoi discepoli gli viene chiesto:"dove abiti?".
Prima li conduce ad una festa di nozze e poi nel tempio di Gerusalemme e lì cerca di cacciare fuori, di condurre fuori tutti, come fa il pastore con le pecore, o come farà alla fine con Lazzaro.
Si parla di zelo, di gelosia, di un Gesù che sembra violento, ma la sua è più una passione d'amore che un gesto di violenza…solo l'amore giustifica una reazione del genere!
"Non fate della casa del Padre mio un mercato!"
- Ma le case del Padre di Gesù sono diverse: prima di tutto il creato - la nostra casa comune -.
Quando l'uomo sfrutta in modo sconsiderato le risorse della natura; quando ne provoca la ribellione violentando i ritmi; quando produce un inquinamento che l'atmosfera non è più in grado di assorbire: questa casa diventa un mercato, che rischia di distruggere la casa!
- C'è poi un'altra abitazione che è il corpo di Gesù, un corpo che si identifica col pane: frutto, figlio della terra e del lavoro dell'uomo che tutti hanno il diritto di mangiare, senza che questo diventi il prezzo della schiavitù. "Prendete e mangiatene TUTTI".
Il Pane non può essere oggetto di mercato!
- E poi c'è il nostro stesso corpo - Noi siamo dimora di Dio. Ogni attentato alla vita trasforma questa casa in un mercato. Quante vite accantonate e soppresse per esigenze di mercato, per motivi di guadagno e di convenienza!
Nel tempio si è insediato il mercato e il denaro ne è diventato l'idolo da adorare!
Il gesto di Gesù ha rotto un sistema in maniera irreversibile. Il fatto che oggi le chiese siano vuote di giovani, di poveri, di chi porta sulle sue spalle il peso di vivere, indica che queste categorie di persone non si identificano più in quel Dio, in quel sistema di valori che fanno sentire l'uomo schiavo e escono da quel luogo, la cui porta è stata forzata con violenza.
- Oggi viviamo come in esilio. Esilio significa perdita di un luogo dove abitare, dove, celebrare i nostri valori, esprimere la nostra identità. Cerchiamo un tempio dove ri-nascere.
Ma questo non significa ricostruire dei luoghi sacri, ma costruire dei luoghi dove tutti possano stare. Gesù caccia fuori dal tempio, perché il tempio non può essere un luogo ristretto, chiuso…
Un luogo sacro non si deve inventare, ma scoprire, deve essere un luogo abitato non solo da noi, ma da altri…da altro!
Il tempio siamo noi nella capacità di incontro.
Prima del tempio in Israele esisteva la "tenda dell'incontro."
E' l'incontro e non la struttura, che fa di un luogo un tempio che trasforma la vita.
Il luogo, senza "l'incontro" resta vuoto anche se ci siamo noi dentro!
Nella nuova Gerusalemme descritta nell'Apocalisse non c'è tempio, ma un Agnello, come nelle nostre chiese il Pane: simboli che richiamano la vita di chi ha portato su di sé la fatica di nascere e di vivere.
Allora il tempio è il luogo dei legami, non solo quelli tra di noi, ma di quei legami aperti a questo ambiente grande che è tutto l'ecosistema.
Legame è sinonimo di relazione, di trasmissione. Il legame ha bisogno del corpo. Creare dei legami è un lavoro di tessitura. Tutto l'universo ha bisogno di tessere dei legami. Il corpo è il telaio…
E questo non deve avere limiti…il nuovo tempio che si dovrà creare dopo questo esilio non sarà di un popolo, di una religione, ma di una moltitudine immensa che nessuno potrà contare…
Abramo fu benedetto da Dio perché diventasse Padre di una moltitudine…non solo di un popolo!
"La mia parola è come le stelle, esse non impallidiscono.
Come potete comprare o vendere il cielo, il calore della terra? Quest’idea ci è estranea. Noi non siamo padroni della purezza dell’aria o dello splendore dell’acqua. Come potete allora comprarli da noi? Questa terra è sacra per il mio popolo. Ogni foglia rilucente, tutte le spiagge di fine sabbia, ogni velo di nebbia nelle foreste scure, ogni bagliore di luce e tutti gli insetti che vibrano sono sacri nelle tradizioni e nella coscienza del mio popolo. Che specie di vita è quella in cui l’uomo non può udire la voce del corvo notturno o il dialogare dei rospi di notte? Che luogo è quello dove non si possa udire lo sbocciare delle foglie in primavera o il tintinnare delle ali degli insetti, il soave sussurro della brezza sullo specchio d’acqua ed il proprio odore del vento, purificato dalla pioggia di mezzogiorno e dall’aroma dei pini. L’aria è preziosa perché tutti gli esseri viventi respirano la stessa aria: animali, alberi, uomini. Il nostro Dio è lo stesso Dio. Non si può possedere Dio alla stessa maniera di come non si può possedere la terra.
La terra è amata da Lui. E causare danno alla terra significa dimostrare disprezzo al suo Creatore. La terra non appartiene all'uomo, è l'uomo che appartiene alla terra. Tutte le cose sono collegate, come il sangue che unisce una famiglia. Non è stato l'uomo a tessere la tela della vita, egli ne è soltanto un filo. Qualunque cosa faccia alla tela, lo fa a se stesso!". (LETTERA DEL CAPO INDIANO SEATL AL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA 1854)
Non vivere su questa terra come un estraneo
e come un vagabondo sognatore. Vivi in questo mondo come nella casa di tuo padre…( Nazim Hikmet)
Tu sei preghiera di Enrico Peyretti
-Quando la luce del tramonto scende là dietro e ti strugge la malinconia, è preghiera.
Quando ti commuove l'alba, piccola e fragile come il sorriso di un bimbo, è preghiera.
Quando un gesto gentile, un sorriso sconosciuto, ti raggiunge nella folla, quell'istante di gratitudine alla vita è preghiera.
Quando un abbraccio risponde per un momento alle attese del tuo cuore e del tuo corpo, gioisce esaudita la tua nativa preghiera.
Quando una lettura tramite i tuoi occhi ti tocca l'anima, è l'umanità che risponde alla tua antica preghiera.
Quando ascolti una musica che danza nel tuo petto,
quella ti è data come preghiera.
Quando il dolore ti tocca, ti ferisce, ti priva di una presenza, il tuo pianto silenzioso è preghiera. Quando il fiorire di un bimbo, la primavera sul prato, ti danno delizia, questo è tua preghiera.
E quando la forza della montagna, o quella del mare, o la bellezza dell'immaginazione, prendono la tua attenzione ammirata, è tua preghiera.
Quando ti assedia la solitudine, e nessuna voce ti risponde, il tuo silenzio attonito è preghiera. Quando il tuo cuore canta, quel canto è preghiera.
Quando ti chiedi perché — perché la volontà di vita, perché l'amore e perché l'odio, o la fredda indifferenza — la tua domanda muta è preghiera.
Quando in un volto e in un ascolto appare l'amicizia,
la pace che senti è preghiera.
Quando finirà il tuo tempo, quell'ultimo respiro sarà l'estrema preghiera.
Tu preghi sempre, cosí come respiri, come i tuoi occhi cercano, come il tuo cuore attende: tu sei preghiera.
Anche se non sai chi preghi, ora sai che sempre preghi, perché desiderare e attendere è preghiera. Noi desideriamo perché siamo misteriosamente chiamati: è questo l'inizio di ogni preghiera.
Alle religioni maestre, a chi ignora una vita attorno a questa, a chi ti offre formule e ricette, e santi e altari da pregare, rispondi che, di là da tutto questo, tu sei la tua preghiera, tu sei nell'universale preghiera.
È una vita, anima della tua vita, la tua preghiera.
II domenica di Quaresima - 28.02.2021
Marco 9,2-10
Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo, Giovanni e li condusse soli, in disparte, sopra un alto monte. E fu trasfigurato in loro presenza; le sue vesti divennero sfolgoranti, candidissime, di un tal candore che nessun lavandaio sulla terra può dare. E apparve loro Elia con Mosè, i quali stavano conversando con Gesù. Pietro, rivoltosi a Gesù, disse: «Rabbì, è bello essere qua; facciamo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia». Infatti non sapeva che cosa dire, perché erano stati presi da spavento. Poi venne una nuvola che li coprì con la sua ombra; e dalla nuvola una voce: «Questo è il mio diletto Figlio; ascoltatelo». E a un tratto, guardatisi attorno, non videro più nessuno con loro, se non Gesù solo.
Poi, mentre scendevano dal monte, egli ordinò loro di non raccontare a nessuno le cose che avevano viste, se non quando il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti. Essi tennero per sé la cosa, domandandosi tra di loro che significasse quel risuscitare dai morti.
- "E' bello essere qua!" Pietro dice: Rabbì è bello! Il bello è molto più del bene, perché il bene spesso è noioso. Quando il bene diventerà bello allora sarà bello! Anche la verità senza bellezza è gelida, non fa trasalire il cuore! Siamo fatti per questa bellezza.
È bello essere qui, altrove è brutto. Siamo fatti per questo. Altrove siamo come fuori posto… stiamo male.
Gesù usa la parola bello soltanto una volta in senso ironico, quando dice: “Bello quello che fate, siete bravissimi nell’imbrogliare Dio con le leggi che vi fate, eludendo il suo comandamento dell’amore”.
Poi dirà della donna di Betania: Ha fatto una cosa bella! Che richiama esattamente quando Dio fece il mondo, dopo ogni opera, vide che era bella, non buona. E quando fece l’uomo: vide che era molto bello. E noi siamo fatti per questa bellezza.
E' bello vivere insieme da fratelli! (salmo 133)
Ed è bello essere, non stare. Tra l’essere e lo stare c’è differenza. Lo stare lo cambi facilmente, l’essere no. È lì che siamo noi stessi. E tutto ciò che noi cerchiamo nella vita è sempre arrivare a quella pienezza, bellezza.
Il troppo bello, genera anche timore, da non saper cosa dire, esiste anche questo! È lo spavento del troppo bello!
- "E venne una nuvola che li copriva con la sua ombra!"
Ombra è una parola che nel suo significato originale vuol dire "nube carica d'acqua".
Ombra non come qualcosa di negativo, ma come occasione di fecondità e di vita. Tutto ciò che esiste porta con sé l'ombra. Non ci si può staccare dalla propria ombra.
L'ombra, è vero, ci intimorisce perché apre all'oscurità, eppure all'ombra si trova riparo. Dio stesso , lui la luce, ama rivelarsi attraverso l'ombra. L'angelo dirà a Maria: "la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra…"
Nessuno può toglierci di dosso la nostra ombra, né quella che altri allungano su di noi. Non la si può combattere…E' la luce che crea l'ombra, non ci fosse l'ombra non ci sarebbe la luce!
- "E dalla nube uscì una voce!"
Dalla nube esce una voce. Dio non ha volto, ma è Parola.
Qui è l’unica volta in cui il Padre si rivolge a noi.
E cosa dice? È un verbo, è un imperativo è un pronome: Ascoltate Lui. L’unico comando di Dio Padre è: ascolta Lui. Vuoi vedere il mio volto? Ascolta Lui! Se ascolti Lui, vedrai il mio volto, è il tuo volto che diventa uguale al suo. Trasfigurato come il suo. Non so bene cosa sia la trasfigurazione, ma so come ci si arriva. Noi diventiamo la Parola che ascoltiamo. Ed è la Parola che ci trasfigura o ci sfigura.
La parola ha un potere enorme sull’uomo, perché gli dà modo di capire, di sentire, di agire e di essere: siamo la parola. Se ascoltiamo la parola del Figlio, diventiamo figli, siamo il volto del Padre.
Ecco allora qual è il cammino della trasfigurazione: questo ascolto che, giorno dopo giorno, ti cambia.
Tra l’altro è interessante: l’occhio reagisce immediatamente, però superficialmente. Mentre la parola è un seme che entra, magari non ci fai caso e ti viene in mente dopo vent’anni: “Mi ha detto quella cosa importante!”. Mentre il vedere scompare subito e si sovrappone un altro vedere, le parole sono dei semi. Per questo è importante la lettura del Vangelo in una certa quotidianità. Perche davvero ti dà un modo di pensare diverso e un modo di agire diverso, un’opinione di te diversa.
Vi sarete accorti che leggendo il Vangelo, in realtà, non è che lo leggiamo, è il Vangelo che legge noi e ci dà una lettura di noi così bella che alla fine diciamo: “Che bello vivere!” e allora andiamo avanti giorno dopo giorno, ma si cresce sempre.
- La vita di Cenerentola è tutta giocata su questi due piani di luce e ombra, di paura di vivere e bellezza della vita.
L'essere umano è colui che fa continuamente esperienza del limite, dell'ombra, ma nello stesso tempo tende inesorabilmente alla bellezza.
Ci sono persone che si considerano semplicemente cenere e, sentendosi trattare come tali, finiscono col crederci. Eppure nel profondo intuiscono che sono fatte per altro. Sanno che c'è un fuoco che brucia sotto quella grigia coltre di polvere: è la brace del desiderio di sapere che la bellezza è un dovere da compiere. Rischiamo di pensare di non meritarci tutto questo, di non sentirci mai all'altezza.
Cenerentola siamo tutti noi quando sentiamo come colpa il desiderio di vivere pienamente. Ma Cenerentola sa, di essere di stirpe regale e non smette di credere alla propria bellezza interiore. E questo non è frutto di uno sforzo della propria volontà. Non si deve far nulla per diventare veramente se stessi. La vita non si guadagna, non si merita: non sarà mai il potere, l'avere, il successo a dirci chi siamo. Si tratta di una lenta trasfigurazione, un lasciare sbocciare, fiorire la vera forma del proprio essere attraverso l'intervento di qualcuno che ci ama, che ci sogna, che ci rivolge la parola.
Alla fine Cenerentola non fugge, si lava accuratamente il volto e comprende che è possibile togliersi di dosso finalmente l'inferiorità di cui si sentiva ricoperta, e si accorge di essere amabile con le sue ombre e col suo essere avvolta nella cenere.
Questo messaggio è semplicemente Vangelo: bella notizia!
L'uomo religioso è convinto che mostrare il proprio limite sia meritevole di castigo. Per questo Adamo si nasconde all'avvicinarsi di Dio.
Gesù insegna che proprio la nostra miseria, limite, fragilità, peccato diventano il luogo dell'incontro, dell'abbraccio e della festa.
Finchè Cenerentola resterà nascosta per paura, non potrà mai essere amata. Diventerà regina solo se si riconcilierà con la ragazza della cenere.
La nostra verità è data dall'abbracciare la nostra cenere e dal non calpestare la propria ombra.
"La bellezza risplende nel cuore di colui che ad essa aspira, più che negli occhi di colui che la vede." (Gibran)
Non si tratta più solo di dire: "La bellezza salverà il mondo" - ma "noi dobbiamo salvare la bellezza!".
I domenica di Quaresima- 21.02.2021
Dal Vangelo secondo Marco -
- "Subito dopo lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano". (Mc 1, 12)
-Mercoledì è iniziato il tempo di quaresima: tempo di 40 giorni che precede la pasqua.
Il richiamo va ai 40 giorni che Gesù visse nel deserto prima di iniziare la sua missione, ma il ricordo va anche ai 40 giorni del diluvio ai tempi di Noè e ai 40 anni che gli Ebrei trascorsero nel deserto dopo essere fuggiti dall'Egitto.
Nel deserto vi si rifugiavano le persone senza radici, senza identità.
-Il deserto è un luogo di nessuno, dove si sta tra terra e cielo, senza l'ombra di un muro o di un recinto. Un luogo dove tutte le strade si perdono , ma anche dove tutte le strade potrebbero aprirsi. E' luogo di rottura ma anche di scelte. Nel deserto ci si entra condotti, quasi obbligati: dal deserto si esce con le proprie gambe.
Israele uscito dall'Egitto entra nel deserto come una accozzaglia di schiavi, vi esce una volta diventato popolo.
- La favola di Cappuccetto Rosso è la storia di un viaggio. All'inizio del viaggio è solo una bambina spensierata, legata alla figura materna: vive, agisce, compie azioni obbedendo a degli ordini. Non proferisce parole. Ma ad un certo punto è chiamata a lasciare la casa, al fine di intraprendere quel viaggio che la renderà donna, in grado , con la propria vita di essere autonoma, di dire qualcosa. A Cappuccetto Rosso viene richiesto solo di obbedire: deve portare il cibo alla nonna! Chissà quante volte l'avrà fatto! Certo si può vivere una vita intera accontentandosi solo di obbedire, di compiere sempre le cose per dovere, ma senza crescere mai. La vita non è semplicemente obbedienza a comandi che provengono da altrove, lasciando che la vita ci scorra a fianco, illudendoci di poter diventare adulti senza deciderlo o sceglierlo. Occorre invece intraprendere un viaggio, rischiare l'ignoto, per diventare ciò che si è chiamati ad essere. Non si cresce se non vivendo fuori e una volta fuori occorrerà mettercela tutta per ritrovarsi e non uscire di strada col rischio di smarrirsi.
- "Noi nasciamo a metà. Tutta la vita serve per nascere del tutto". (Maria Zambrano)
- Il bosco rappresenta il mondo, spesso oscuro, dove è facile perdersi, essere divorati, luogo in cui si vivono incontri drammatici; ma è anche luogo dove è dato diventare adulti. In ogni caso il bosco o lo si attraversa tutto o non si cresce affatto, ed è necessario attraversarlo da soli. Una volta usciti dal bosco si saprà che il coraggio non è il contrario della paura, bensì una paura attraversata.
- Il bosco di Gesù si chiama deserto. Il deserto diventa il luogo privilegiato della decisione. Gesù, nel suo bosco-deserto ha dovuto decidere se fare sua la logica del diavolo basata sul potere, l'avere, lo straordinario o la logica dell'amore , del dono di sé, della cura: quella logica di bene che richiede tempi molto lunghi e molta fatica per realizzarsi.
- Tentare viene da "peirazo" - sperimentare e da "peron" - punta. Tentare vuol dire allora: passare attraverso, attraversare tutto lo spessore della realtà. Nella tentazione o si diventa periti-esperti o si perisce!
Il lupo, le bestie selvatiche, il diavolo vorrebbero raggiungere gli stessi obiettivi di Dio: spingere l'uomo ad essere se stesso a realizzarsi, ma gli uni senza i tempi e la fatica del parto, mentre Gesù sceglie l'amore che non conosce scorciatoie.
- " Il deserto è bello!
- Mi è sempre piaciuto il deserto. Ci si siede su una duna di sabbia, non si vede nulla, non si sente nulla, tuttavia qualcosa risplende nel silenzio…
- Ciò che abbellisce il deserto è che nasconde un pozzo in qualche luogo…"( piccolo principe)
- "Quanti deserti l'essere umano deve attraversare! E soprattutto il deserto che c'è dentro di lui".
IV domenica di Avvento - 20.12.2020
Un bambino, a cui fu chiesto, cosa disse l'angelo a Maria, scrisse: Dio chiese a Maria, "facciamo un figlio tutto mio e tutto tuo!"
E l'eccomi, il fiat di Maria sta per: "magari avvenisse quello che hai detto!".
Quante volte forse anche noi abbiamo desiderato che i progetti di Dio coincidessero coi nostri!
Quel "non conosco uomo" sembra ricordare come, umanamente parlando, i sogni più belli e più veri non si realizzano mai.
Questo incontro, dialogo attira tutta la nostra attenzione , interesse, fascino per cercare di carpire qualche spiraglio per questa nostra vita povera di speranza.
E' inquadrato all'interno di una visita, gesto molto amato da Gesù, soprattutto nel vangelo di Luca! E ringrazio le donne, teologhe, che hanno aperto prospettive inedite leggendo questi racconti in cui loro sono protagoniste. Mai Dio nella bibbia si era rivolto a delle donne! Qui emerge anche la natura dell'angelo. Ho letto una volta: "la differenza tra un uomo e un angelo è facile. La maggior parte di un angelo è dentro, la maggior parte di un uomo è fuori."
Inizia col dire che l'angelo entrò da lei, finisce col dire che uscì, partì da lei.
Scopo di quella visita: gioisci! E' quasi un comando! Quella visita vuole prendere per mano per andare insieme (com-andare) verso la gioia.
E' una visita, non sappiamo quanto sia durata. La visita di Maria ad Elisabetta si dice che sia durata tre mesi, un tempo determinato. Sembra anche che Maria sia partita prima che Elisabetta partorisse. La sapienza della visita non occupa l'intero spazio, non presume di esserci come presenza indispensabile.
Visitare è più leggero di abitare. La visita ha un tempo prestabilito. Inizia e finisce. Può sembrare un non volersi impegnare in maniera totalitaria, il non volersi coinvolgere fino in fondo, ma fino ad un certo punto. Ma se pensiamo all'incarnazione, quando nella pienezza dei tempi, la parola si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, si dice che pose la sua tenda tra di noi. La tenda rimanda a quell'abitare nomade, a quel dimorare inquieto di un Dio che si avvicina ma non si lascia possedere. La leggerezza della visita è portatrice di quel rispetto che non vuole riempire lo spazio dell'altro.
"Se uno si mette nei panni dell'altro, l'altro dove si mette?". (Lacan)
Il visitare non comporta solo il gesto dell'entrare, è necessario anche accogliere. Scelta impegnativa e faticosa accogliere corpi che invadono lo spazio intimo della casa e con essi, le storie di cui sono portatori. Aprire le porte di casa senza neppure avere l'autorità di farlo: Maria entra nella casa di Zaccaria , ma chi apre è Elisabetta! Penso a chi apre e accoglie lo straniero senza avere l'autorità di farlo!
Il visitare è legato al verbo vedere. La visita è un incontro di volti che sperimentano il movimento del volgersi gli uni verso gli altri, senza assorbirsi; visi che vedono e si lasciano vedere, senza mangiarsi cogli occhi.
Volti che si aprono al dialogo. Un dialogo vero che apre prospettive inedite: si tratta di fare una cosa che nessun uomo è mai stato in grado di compiere: dare all'umanità un volto nuovo che coincide con quello che Dio ha sempre sognato. Maria si domandava cosa volesse dire, come fosse possibile… vuole capire…
Troppe donne sono state piegate, ammutolite da una fede che asservisce senza liberare, che mette a tacere ogni dubbio e censura le domande. La fede richiede intelligenza e libertà. Chiede, si chiede: come portare avanti un simile progetto. Pur vedendone la bellezza si riconosce inadeguata. Dio risponde non con delle spiegazioni, e non è neanche questo che Maria chiede: lei chiede piuttosto a Dio che non la lasci sola, ma l'accompagni nel percorso.
E Dio promette di non perderla di vista, di essere la sua ombra. "Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio! Si rifugiano gli uomini all'ombra delle tue ali". (sal.36) L'ombra è lo spazio dell'amore: l'amore richiede l'intimità dell'ombra! La sua ombra coprirà Maria di Nazareth come un manto e quel gesto farà nascere qualcuno molto atteso da tutti: Gesù di Nazareth, il poeta increato, come ama chiamarlo Antonietta Potente, è nato nell'ombra. A Maria è chiesto di "non calpestare la sua ombra!".
Come unico segno viene dato Elisabetta che nella sua vecchiaia ha concepito un figlio!
Ogni generazione sembra non avere futuro, non essere in grado di generare e portare avanti progetti.
Maria ed Elisabetta sono a dirci che Dio apre la storia quando sembra che ormai non ci sia più niente da fare, ma non solo apre la storia quando ormai sembra essere troppo tardi, ma anche quando sembra essere troppo presto.
Oso pensare che il nostro vivere sia una visita che facciamo alla terra e mi piacerebbe che i modi e i tempi fossero scanditi su quelli di Maria.
Gli esseri umani e anche Dio sono fatti per visitarsi e accogliersi guidati da una sapienza relazionale, oggi più che mai necessaria, che insegna a riconoscere Dio, al di là dell'idolo, e i volti di uomini e donne oltre la strumentalità.
Se la visita é - alla lettera - incinta di Dio, l'accoglienza è la levatrice necessaria per mettere al mondo l'inedito di Dio, l'inedito dell'uomo. Con Simone Weil credo che «la vita del credente è comprensibile solo se in lui c'è qualcosa di incomprensibile», solo se in noi c'è un di più di ciò che è l'uomo: un sogno, un angelo, Dio, un amore e una gioia immotivati, una vita da altrove, come nel grembo di Maria; solo se in noi c'è qualcosa di cui dichiararci "servi".
III domenica di Avvento - 13.12.2020
Dal libro del profeta Isaìa
Is 61,1-2.10-11
Lo spirito del Signore Dio è su di me…
mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri...
Salmo Responsoriale - Lc 1,46-50.53-54
L'anima mia magnifica il Signore…
perché ha guardato l'umiltà della sua serva.
Seconda Lettura.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési - 1Ts 5,16-24
Fratelli, siate sempre lieti… Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie...
Vangelo
Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 1,6-8.19-28
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni,
quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo:
«Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?».
Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei.
Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell'acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
- A NATALE NON SI FANNO CATTIVI PENSIERI,
MA CHI E' SOLO LO VORREBBE SALTARE QUESTO GIORNO.
A TUTTI LORO AUGURO DI VIVERE UN NATALE IN COMPAGNIA.
UN PENSIERO LO RIVOLGO A TUTTI QUELLI
CHE SOFFRONO PER UNA MALATTIA.
A LORO AUGURO UN NATALE DI SPERANZA E DI LETIZIA.
MA QUELLI CHE IN QUESTO GIORNO HANNO UN POSTO
PRIVILEGIATO NEL MIO CUORE,
SONO I PICCOLI MOCCIOSI CHE VEDONO IL NATALE
ATTRAVERSO LE CONFEZIONI DEI REGALI.
AGLI ADULTI AUGURO DI ESAUDIRE TUTTE LE LORO ASPETTATIVE.
PER I BAMBINI POVERI
CHE NON VIVONO NEL PAESE DEI BALOCCHI
AUGURO CHE IL NATALE PORTI UNA FAMIGLIA CHE LI ADOTTI
PER FARLI USCIRE DALLA LORO CONDIZIONE
FATTA DI MISERIA E DISPERAZIONE.
A TUTTI VOI
AUGURO UN NATALE CON POCHI REGALI
MA CON TUTTI GLI IDEALI REALIZZATI.
alda merini
- Le parole dei profeti e dei poeti non hanno età. Si richiamano e si incontrano aldilà del tempo e dello spazio. Così è per le parole di Isaia, Alle parole di Isaia e di Alda Merini fa eco la testimonianza del Battista quando gli chiedono : "chi sei?"- Domanda che potrebbe essere tradotta oggi con: "che cosa è il natale?"
E il Battista smentisce tutte le risposte scontate, perché contraddette dalla realtà!
E' un po' come quel rabbino che alla notizia della nascita del messia, si affacciò alla finestra che dava sul mondo e disse che non era possibile, visto che nulla era cambiato. Il sogno di Isaia è sempre più sfumato!
I carcerati sono ancora in carcere, gli schiavi ancora schiavi, i cuori spezzati ancora spezzati, per i poveri un messaggio di gioia è sempre più e solo un miraggio.
Il messia: il sogno di Dio e dell'uomo, è qualcosa di insito nella storia, ma che deve ancora e sempre emergere, venir fuori.
Gesù, resta il messia sconosciuto: recuperare la parte sconosciuta di lui, il suo mistero è il primo passo. Quel Gesù che conosciamo, non turba più le nostre coscienze: gli abbiamo dato una identità, lo abbiamo collocato al suo posto fra i beni di consumo, nelle radici stesse della nostra cultura, numeriamo persino gli anni a partire da lui.
Dobbiamo fare come il battista, figlio di un sacerdote, che ha lasciato il tempio e il ruolo ed è tornato al Giordano e al deserto, là dove tutto ha avuto inizio.
Io non sono l'uomo prestigioso che vorrei essere, né l'insignificante che temo di essere. Non sono ciò che gli altri credono di me: né santo, né solo peccatore.
Questa dovrebbe essere la presa di coscienza oggi di ciascuna persona , della chiesa, ma anche dell'umanità intera: rinunciare a ciò che pensiamo di essere o che gli altri vogliono che siamo. Occorre andare al di là dei nostri nomi, dei nostri desideri, dei nostri sogni.
Le tante contraddizioni che i profeti fanno emergere non sono effetti marginali della nostra esistenza, sono un effetto diretto del nostro modo di vivere, di impostare l'esistenza, del nostro sistema di valori. Tentiamo di illuderci col dirci che se esiste ancora la povertà è solo perché ci sono popoli che non hanno raggiunto il nostro livello di civiltà, ma sappiamo che non è vero: se noi vogliamo mantenere il nostro livello di vita, questi popoli devono rimanere nella loro condizione di povertà.
Dobbiamo ricominciare da capo. Non possiamo correggere il processo lasciando intatti modi, le strutture, le ideologie con cui abbiamo proceduto, dobbiamo riprendere in mano il filo del tessuto della storia.
Milioni di persone sono entrate nella zona della fame inevitabile perché le piccole economie di sopravvivenza elementare sono state distrutte.
Sono queste persone che che oggi ci costringono a cercare risposte non scontate alla domanda: chi sei? Cosa è il natale? cosa è la vita?
Allora ritrovare il senso del messia come sconosciuto, vuol dire ritrovare il senso di noi come sconosciuti.
Abbiamo bisogno di liberarci delle nostre identità. Siamo degni di vivere con la capacità di cogliere il nuovo e di farlo crescere, solo se , alla domanda: "chi sei?" non sappiamo rispondere, riconosciamo il nostro limite, la nostra parzialità. Non mentire su se stessi permette di aprirci allo sconosciuto che è dentro di noi, in mezzo a noi. E' il contrario di ciò che fece Pietro dopo l'arresto di Gesù!
A scuola, dopo aver sbagliato un problema, la maestra ci diceva che dovevamo ripartire dall'inizio, perché sbagliando la prima operazione tutto viene distorto. E' quello che i profeti di ogni tempo ci continuano a ripetere e come il Battista sono voce e testimoni della luce. E' profetico il linguaggio che ci mostra che cosa non torna nel nostro modo di vivere, qual'è la cifra sbagliata, che cosa si dovrebbe fare per dare al mondo una misura umana o messianica, che è lo stesso! E la prima operazione è che i nostri rapporti devono essere rapporti di fraternità, di solidarietà. Siamo arrivati ad essere sul pianeta terra come dentro la stessa cinta di mura, cittadini dello stesso villaggio, dove ogni uomo è fratello dell'altro uomo e la vita dell'uno e inscindibile dall'altra. Non si può costruire nessuna civiltà se non si parte da questo principio. E' ciò che ribadisce, con voce profetica papa Francesco nella sua ultima enciclica "fratelli tutti": "solidarietà è pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti, sull'appropriazione dei beni da parte di alcuni. E' lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro…la solidarietà è un modo di fare la storia. Il mondo esiste per tutti, perché noi tutti esseri umani, nasciamo su questa terra con la stessa dignità. Le differenze di colore, religione, capacità, luogo di origine, luogo di residenza e tante altre cose non si possono anteporre o utilizzare per giustificare i privilegi di alcuni a scapito dei diritti di tutti. Il diritto alla proprietà privata non va riconosciuto come assoluto, ma secondario rispetto al principio della destinazione universale dei beni creati…"
Gesù è quell'uomo sconosciuto, inedito che deve ancora venire! Quello che si sa è niente di fronte a quello che ancora si dovrebbe sapere di fronte alle domande che emergono dalla realtà in cui siamo immersi.
Ma i profeti debbono dare voce e un po' di luce a questa speranza: sono testimoni della luce, non del degrado, del peccato che pure assedia il mondo, ma testimone di speranza e di futuro, di un Dio e di un uomo sconosciuti ma che sono in mezzo a noi portatori di vita.
"Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie"
Laicizzando la profezia, riconducendola alla dimensione del vivere quotidiano, è un appello ad un futuro umano di cui il magnificat di Maria diventa il canto dei poveri.
"Il profeta è colui che guida l'umanità a pensare in altra luce" (Maria Zambrano)
II domenica di Avvento - 06.12.2020
Isaia 40,1-5.9-11
"- dice il vostro Dio -
Parlate al cuore di Gerusalemme…"
- Salmo 84
- "Giustizia e pace si baceranno…"
- 2 Pietro 3,8-14
- "Noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia"
- Marco 1,1-8
- Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaìa:
«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri»,
vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
- Inizio del vangelo…Vangelo vuol dire "buona - bella notizia".
C'è bisogno di belle notizie! Solo a partire da una bella notizia, da uno straccio di speranza, almeno intravista, si può ricominciare a vivere, a progettare, a stringere legami. Inizia così la bibbia: Dio guardò e vide che che era cosa buona, bella! A fondamento della vita c'è una cosa buona!Questa buona notizia, per Marco, è un uomo che si chiama Gesù.
A quei tempi "buona notizia" era una grande vittoria in battaglia o la nascita del figlio dell'imperatore.
Come può, l'uomo Gesù, essere una buona notizia? Portatrice di grande gioia, diranno gli angeli ai pastori. Un uomo la cui vita si è sviluppata su circa sessanta chilometri di lunghezza e trenta di larghezza, in una terra povera e insignificante. Un uomo che non ha fatto nessuna impresa straordinaria, neppure miracoli! figlio di gente povera e semplice! Eppure la bella notizia è proprio questa: la vita fiorisce nella quotidianità, nella bontà delle creature, nei sogni coltivati insieme, nella bellezza seminata nel mondo, negli occhi che accarezzano e guariscono quando guardano, nella voce che incanta i bambini e dona perdono e pace, che disegna un altro mondo possibile, un altro cuore possibile.
Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento. Più che di crescita, abbiamo bisogno di attenzione: attenzione a chi cade, al sole che sorge e muore, ai ragazzi che crescono… dare valore a un muro scrostato, al silenzio, alla fragilità, alla dolcezza.
Questa buona notizia è un inizio da cui fioriscono altri vangeli, altre buone notizie che ogni giorno aiutano a far ripartire la vita.
Antonietta Potente ama chiamare l'uomo Gesù: il poeta increato. "Il poeta trae dal non essere ciò che in esso geme, dandogli nome e volto. Colui che fa sì che l'umano non si addormenti (la figlia di Giairo, il figlio della vedova di Naim, Lazzaro…) I suoi gesti sono estrazione di voci e volti, là dove tutto sembrava muto o senza forma. Gesù aveva già visto che il paralitico poteva camminare, mentre i suoi amici lo calavano dal tetto; aveva già colto la possibilità di strappare dal giudizio quella donna sorpresa in adulterio. Non è un sapere onnisciente, è un sapere da poeta. Non è la sua divinità che gli suggerisce che l'altro può camminare, può vedere, può rialzarsi, può imparare a vivere in pienezza, ma è il suo sogno originario che vede l'umano nella sua origine più profonda: bello, libero, vero, luminoso, che non provoca morte attorno a sè. Il suo dolore è vedere che la realtà non è in sintonia con la sua poetica. Comunicando, al di là di ogni credo o appartenenza, sul piano dello spirito, del cuore, di quella parte più profonda di noi, quel "deserto" dove si è soli con se stessi e che ciascuno possiede: lui riesce a leggere l'infinito desiderio delle persone, il loro sogno nascosto. Ripeteva sempre:"la tua fede, la tua profonda sete di essere, ti ha salvato". (A. Potente)
- Questi sono miracoli! Io credo.
Questo è l'inizio di una nuova storia, un inizio che chiede di essere portato a compimento…
Inizio del VANGELO di una notizia capace di cambiare la storia guardandola con gli occhi di un poeta.
Questo voleva dire Isaia, altro poeta, di cui Gesù ha ripreso i sogni, quando dice "parla la cuore di Gerusalemme…" E Gesù parlava al cuore.
- Il deserto, dove riparte tutto, è il luogo incontaminato della vita, è il luogo dove la vita ritrova la sua origine, il deserto è il cuore della vita, della terra. Non è un luogo fuori dal mondo, è il cuore del mondo, il luogo dove la vita della gente semplice e umile lotta e prega continuamente per dare un volto alla vita, dove uomini e donne sognano di poter vivere in piedi, dove ogni parola, ritrova il suo significato, scacciando paure e demoni.
Se la parola non raggiunge queste persone non è "vangelo".
E' nel deserto che risuona una voce, che la Parola trova voce per esprimersi e farsi accogliere, perché "l'essenziale è invisibile agli occhi, si coglie solo col cuore…".
Le parole ci sono sempre, il vangelo è sempre lì con la sua forza, ma ciò che manca è una voce che lo dica, che sappia ridargli quella vita che Gesù sapeva tirar fuori da ogni cosa: dall'acqua, dal pane tanto da farli diventare acqua viva e pane vivo. Se una parola non parte dal cuore e non arriva al cuore non porta nessun "vangelo".
Oggi la chiesa possiede quelle parole, continua a dirle, sono sempre parole vere, non sono sbagliate, ma risuonano logore, vuote, utili solo all'auto-conservazione di sè. Non basta parlare di vangelo, occorre far parlare il Vangelo. Ma il vangelo è vita, è la vita di uomini e donne senza storia, ma che fanno la storia. Occorre dare voce a chi parla con la vita.
Occorre ritornare nel deserto a ritrovare il significato originale - verginale di quelle parole antiche, metterle in bocca ad una voce che sappia vibrare e trasmettere emozioni, parlare al cuore. "Ecco la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore" dice il profeta Osea.
Di Gesù, anche i suoi avversari dicevano"nessun uomo ha mai parlato come lui". (Gv.7,47)
Dare vita alle parole perché le parole diano vita a noi. E' un viaggio di resurrezione! E bello pensare che in latino per la parola libro e la parola libero si usi lo stesso termine "LIBER". Il libro mi rende libero. Non è un caso che i detentori del pensiero unico , esclusivo ed escludente la prima cosa che fanno è bruciare i libri, bruciare il pensare perché hanno paura degli uomini liberi e di chi e che cosa li rende liberi.
La parola, se liberata, libera!
Bisogna diffidare delle parole che non hanno più la vibrazione dei sogni. E' solo con i sogni - se poi sono anche i sogni di Dio! - che si va avanti.
La chiesa, noi, siamo chianti a continuare a proclamare a vivere questa bella notizia di Gesù, il Cristo, il poeta increato, in cui anche Dio si è rispecchiato e lo ha riconosciuto come figlio.
E se nel deserto tutte le vie si perdono, dal deserto tutte le vie possono ripartire.
E' desiderio di tanti quello di aprire una via, di trovare una via d'uscita che non si riveli una strada senza sbocchi per questa terra che amiamo, una via per tutta l'umanità, una via che porti all'incontro tra la giustizia e la pace.
Due valori che sembrano essere in contraddizione: chi lotta per la giustizia non ha pace e chi vuole la pace rischia di sacrificare la giustizia. Occorre
abbassare i monti, colmare le valli perché giustizia e pace si incontrino.
"Amore e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno.
Verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo.
Certo, il Signore donerà il suo bene e la nostra terra darà il suo frutto;
giustizia camminerà davanti a lui: i suoi passi tracceranno il cammino. (Salmo 84)
- Che sia sempre e solo l'inizio!