Tutta colpa di Abramo - 13/11/2023

“Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Nel mondo avete delle

tribolazioni, ma abbiate coraggio : io ho vinto il mondo”. (Gv. 16,33).

Con queste parole il patriarca di Gerusalemme si rivolge alla sua Diocesi e alla

comunità cristiana di Gaza.

Questo ennesimo conflitto scoppiato in Israele, ha radici forse più profonde e

antiche di quanto si possa pensare. Radici di cui le religioni non sono esenti da

responsabilità , perlomeno in quanto le religioni che hanno in quella terra le loro

origini non hanno saputo comporre.

Verrebbe da dire: “Tutta colpa di Abramo!”.

Dio ha promesso quella terra ad Abramo e alla sua discendenza.

Abramo aveva una spasmodica preoccupazione di avere un erede. Allora prima

adotta un servo, poi concepisce un figlio da una schiava egiziana, infine ebbe un

figlio da sua moglie Sara. Da Ismaele, figlio della schiava discendono gli Arabi. Da

Isacco figlio di Sara discendono gli Ebrei e di conseguenza i Cristiani.

Da subito Ismaele e Isacco si contesero quella terra.

Se Abramo avesse saputo! Ma forse sognava e sogna ancora che questi due

popoli, culture e religioni possano vivere in pace.

Sembra che i conflitti siano frutto delle religioni!

Credo che le religioni abbiano un compito importante per la pace, credo sia l’unico

compito che sono chiamate ad assolvere.

Credo fosse questo che Abramo cercava quando partì da Ur, nel golfo persico per

cercare una terra dove potesse regnare la pace. La terra da cui è partito era molto

più fertile e bella della terra di Israele. Ma non cercava una terra bella o ricca, ma

dove si potesse costruire una comunità di fratelli, che, sia pur diversi, erano

accumunati da alcuni valori: la ricerca di una terra, che in fondo non era altro che

la ricerca di se stessi, e la voglia di interrogare le stelle e farsi interrogare dalle

stelle.

Forse anche generare due figli di razze diverse voleva esprimere il sogno di una

convivenza pacifica tra due popoli.

Molte volte Dio dice ad Abramo: guarda le stelle, contale, raccontale, ascolta il loro

racconto...

La tua discendenza dice ancora Dio sarà più numerosa della stelle del cielo.

Ma quella discendenza non è quella di Ismaele o Isacco. La discendenza di

Abramo e composta da tutte le persone che si mettono in viaggio verso se stessi o

verso il fratello rispondendo alle prime due domande che Dio pone all’uomo: “dove

sei?” e “dov’è tuo fratello?” .

Il 14 febbraio 1990 Carl Sagan, astronomo statunitense, si trovava in California,

dove era stata costruita la sonda spaziale Voyager 1.

Dopo 13 anni di attività aveva raggiunto una distanza di circa sei miliardi di

chilometri dalla terra e si stava dirigendo verso le regioni esterne del sistema

solare. Prima di spegnere le sue telecamere Sagan chiese ai tecnici di girare la

telecamera all’indietro, verso di noi, per fotografare la terra.


Il semplice gesto di cambiare il punto di vista ci ha regalato una immagine del

nostro pianeta inedita: un piccolissimo puntino blu di tantissimi altri puntini

luminosi.

A proposito di questa foto, Sagan nel 1994 scriverà queste parole:

“Da questo distante punto di osservazione, la terra può non sembrare di

particolare interesse. Ma per noi, è diverso. Guardate quel puntino. E’ qui. E’ casa.

E’ noi. Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di

cui avete sentito parlare, ogni essere umano che sia esistito, hanno vissuto la

propria vita. L’insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie,

ogni eroe e codardo, ogni madre e padre, figlio, ogni santo e peccatore nella storia

della nostra specie è vissuto lì, su quel minuscolo granello di polvere sospeso in

un raggio di sole. ...La terra è l’unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita.

Che ci piaccia o meno, per il momento la terra è dove ci giochiamo le nostre

carte...Noi umani siamo parte della terra, è la nostra casa madre. Abbiamo il

dovere come individui e come collettività di preservarla. E’ nostra responsabilità

occuparci più gentilmente l’uno dell’altro, e di preservare e proteggere il pallido

punto blu, l’unica casa che abbiamo mai conosciuto”.

E la discendenza di Abramo e fatta di tutti coloro che guardando le stelle hanno

compreso la loro piccolezza e sulla terra ci stanno con umiltà e mitezza.

E questo popolo non è fatto di Ebrei o Arabi, ma è trasversale ad ogni popolo,

razza, cultura e religione.

Che nessuno osi appellarsi alla religione come discendente di Abramo per fare

guerra.

Il Dio di Abramo ha chiamato lui e i suoi discendenti per fare della terra il luogo

della Pace. E non dimentichiamo mai che Abramo di quella terra non ne occupò

mai neppure un pezzo. Cercò sempre una pacifica convivenza coi popoli che vi

risiedevano. E prima di morire si preoccupò di comprarne quel tanto che bastava

per esservi sepolto, lui e sua moglie.

L'alluvione e le Frane - 21/05/2023

Delle persone che di solito salgono a Sorrivoli per la messa se ne presentano

poche, previa telefonata: “come sono messe le strade?”

C’era solo una strada percorribile, sia pure in mezzo al fango per raggiungere

Sorrivoli.

Era il giorno in cui 34 bambini avrebbero dovuto fare la prima comunione, ma

Sorrivoli era isolato. Dal martedì aveva iniziato a piovere, una pioggia che per 36

ore si sempre più intensificata.

Erano circa le 19,00 quando stavamo osservando una parte di mura del castello

che si stava sempre più inzuppando d’acqua, quando l’abbiamo vista crollare

sotto i nostri occhi. E’ stato il primo segnale. Tutta la notte la pioggia cadeva

incessante, non con quella dolcezza che accompagna il sonno, ma la sentivi

battere con violenza sui tetti, incutendo timore e impedendo di dormire.

Dopo una notte quasi insonne, la mattina ci troviamo presto a guardare fuori. Tutti

affacciati dalle proprie porte o finestre a dire: “guarda là ...guarda qua...”

Cominciavano a passare le notizie in cui ognuno riportava delle frane che erano

avvenute ovunque. In breve ci rendemmo conto che non c’era più una via d’uscita

dal paese. Buona parte del territorio era rimasto senza acqua, senza luce e più si

allargava il tam tam delle informazioni più ci si rendeva conto che tutte le frazioni

della collina erano isolate. Sono passati più di 20 giorni mentre scrivo e ci sono

ancora gruppi di case e famiglie che non hanno una via d’uscita.

Dove sulla strada si era riversato il fango si è potuto liberarle, ma molte strade

sono letteralmente franate.

l’immagine forse simbolo di quel che è successo è rappresentata dalla frana che

ha coinvolto il borgo di Sorrivoli. Le case che si trovano fra le due porte che

portano al castello sono come sospese nel vuoto! Dalla casa museo di Ilario

Fioravanti a quella del Maestro Bartoli, con la sua collezione di burattini e altro.

Di qui sono iniziati gli sgomberi, la chiusura alle auto di percorrere quel tratto di

strada...e si è fatto un grande silenzio.

Un silenzio interrotto quasi subito dal rumore delle motoseghe e dei trattori.

Tutti quelli che avevano dei mezzi si sono riversati sulle strade insieme a tutti i

ragazzi armati di badili e subito ci si è impegnati per andare ad aprire almeno un

varco perché si potesse uscire a piedi. “adesso andiamo a liberare quella famiglia,

poi l’altra...poi l’altra...” Tutti lavoravano fino a sera, quando ci si fermava e

qualcuno preparava un piatto di pasta per tutti. Stanchi, ma pronti a fare

programmi per il giorno successivo.

Era il sabato sera, 20 maggio quando arrivano un gruppo di ragazzi che erano

stati verso Monte Bora dove vivono numerose famiglie (ad oggi ancora isolate) e

dicono che quelle famiglie hanno avuto un generatore, ma hanno finito il gasolio...

bisogna portarglielo. Vedo partire questa squadra di ragazzi con taniche da 20 litri

piene di gasolio. Devono arrivare davanti alla frana, attraversare a piedi la

montagna di fango e consegnare alle persone che le aspettavano d’altra parte la

taniche di gasolio.

Sono tornati che era buio, ma quelli di monte Bora potevano avere la luce!


Il vangelo di quella domenica dopo l’alluvione diceva che Gesù si presenta ai

discepoli annunciando loro la pace e lo fa mostrando le mani e il fianco e i

discepoli gioirono al vederlo.

Mi chiedevo come era possibile gioire vedendo un uomo ferito a morte!

Ho pensato a questa terra che si mostrava a noi ferita a morte. Ho pensato come

avrebbe potuto trasmettere pace e gioia! Che cosa ha trasmesso Gesù mostrando

le sue ferite? come ha potuto attraverso quelle ferite comunicare pace e gioia?

C’è solo un particolare che forse ce lo spiega: il fatto che fosse in piedi!

Ferito, ma in piedi!

Questa terra è ferita, ma nei suoi giovani si sta rialzando...Le ferite non

spariranno, ma saranno memoria di una sapienza che abbiamo ancora bisogno di

apprendere, proprio come quei discepoli...

Domenica delle Palme - 10.04.2022

- Luca 2,34-35: “Egli è posto perché siano svelati i pensieri di molti cuori”.


- La vita è un consegnare o un consegnarsi.

Giuda consegna Gesù ai capi dei sacerdoti.

Pilato consegna Gesù ad Erode e poi alla folla.

Gesù nel pane e nel vino si consegna ai discepoli e sulla croce si consegna al Padre.

La vita è un dono e la meritiamo solo offrendola!

I sacerdoti ed Erode si rallegrarono di questa consegna.

Anche Maria si rallegrò quando l’angelo le portò l’annuncio di una vita dentro di lei.

Maria si rallegrò per l’annuncio della vita.

I sacerdoti ed Erode si rallegrano per l’annuncio della morte!

- Il centro della scena è la condanna di un innocente.

Se uno è povero, senza potere, anche se innocente, per interessi personali, per il

mantenimento di uno stato, viene sempre sacrificato. La giustificazione o la scusa si trova

sempre.

Sempre meglio che muoia uno solo piuttosto che tutto il popolo perisca!

Pilato e Erode , pur essendo nemici, su questa condanna si trovano d’accordo, addirittura

diventano amici.

- Ma quando si lascia morire un innocente, si fa buio su tutta la terra. E’ il momento più buio

dell’umanità!

- Ci sono sempre due categorie di persone:

- la folla e una moltitudine di popolo.

- due malfattori.

- i discepoli e le donne.

Sono due atteggiamenti diversi.

- Un uomo così, un Dio così o lo bestemmia o lo si ama!

- Vegliate e pregate: due atteggiamenti che potrebbero evitare la morte di un innocente!


- Gesù entra a Gerusalemme in groppa ad un asino

Se siedi in groppa a un asino,

sei il Dio della feria, del tempo ordinario, del daffare quotidiano, dell’anonimo

scorrere dei giorni.

Se siedi in groppa a un asino,

non hai guerre da combattere, teste da tagliare, città da espugnare, terre da

occupare.

Se siedi in groppa a un asino,

la tua è l’opera spoglia e discreta del nutrire, curare, vivificare, lenire, riconciliare,

sollevare, consolare, liberare, rialzare, guarire, rallegrare, armonizzare;

Se siedi in groppa a un asino,

il tuo è il mestiere sporco e nascosto del porre un limite al disordine, alla

menzogna, all’abbrutimento, alla divisione, all’ingiustizia, alla prevaricazione, allo

sfruttamento, alla schiavitù.


Se siedi in groppa a un asino,

il tuo è il volto di un Padre che misteriosamente opera a favore della vita bella,

buona e beata dei suoi figli, «finchè sia tutta lievitata».

Se siedi in groppa a un asino,

il Regno dei cieli è vicino e la sua porta spalancata.

E nessuna gamba sarà mai troppo corta da non poter compiere il passo.


Cristiano Mauri

Quinta domenica di quaresima - 03.04.2022

V domenica di quaresima - Giovanni 8,1-8


Se fermiamo l’attenzione sul peccato e sul pentimento non facciamo che il gioco degli scribi e dei farisei.


Gesù più coi gesti che con le parole cerca di distogliere lo sguardo dalla donna come caso di cui discutere.


Solo quando rimane solo con lei e può stabilire un dialogo personale e non strumentale allora alza lo sguardo e incrocia il suo.


Nella bibbia il rapporto tra un uomo e una donna resta sempre l’immagine più vera del rapporto tra Dio e l’umanità.


Ma in una società in cui i matrimoni erano combinati e la donna non aveva alcuna possibilità di scelta, l’adulterio era come una scelta obbligata per chi credeva nell’amore…


Quando una società non ti permette di fare una scelta importante come quella dell’amore in maniera libera, in qualche misura ti espone al peccato.


Questo vale per il nostro rapporto con Dio, la vita religiosa .


Se una società ti impone il dio in cui credere, il modo in cui amarlo: ti costringe ad adorare degli idoli.


E’ questo che Gesù rifiuta e alla fine sarà lui che rischierà la lapidazione, come adultero. Rifiuta il Dio imposto dagli uomini religiosi. (Gv.8,59)


Poi si fanno leggi che fanno apparire giusto ciò che è sbagliato nelle sue radici.


E le leggi diventano pietre e i difensori di un Dio solo maschile, i paladini di una giustizia letta solo al maschile.


Ma, come tutte le donne che presenti nel vangelo sono l’immagine più vera di ciò che era Gesù, anche questa vuole essere testimonianza del fatto che non si può praticare una religione , vivere un rapporto con Dio, partendo da degli obblighi.


Quando Dio ti viene imposto, come il marito ad una donna, a quel punto la religione ti induce all’adulterio, idolatria o al rifiuto di quel Dio. Le leggi di quel tipo di religiosità diventano pietre che vengono scagliate sempre sui più deboli.


Gesù non vuole smontare la religione, ma perché Dio non sia un marito violento, imposto, chiede di guardarlo partendo dai più fragili.


Oggi si giustifica l’aumento delle spese militari perché ci sono dei trattati da rispettare, ma se si partisse da chi, quelle spese se le vede ricadere come bombe sulla testa, forse si vedrebbe che è meglio guardare negli occhi una persona piuttosto che fare i moralisti.


“Vai, e non peccare più!”.


Queste parole concludono la scena.


Vai e cerca di essere la persona che sei!


Vai e sposa l’uomo che ami!


Vai e ama quel Dio che che ti è madre, padre, fratello, sorella e amante.


Vai e cerca di essere libera: che tu non provi l’amarezza della vittoria, né il rancore della sconfitta e nemmeno l’illusione della pace. Che tutti gli uomini siano per te padre, madre e figlio e il cuore il tuo maestro. Che il cielo e la terra siano per te: casa, patria e chiesa. Che l’immaginazione e il coraggio siano il tuo potere.


Vai e non farti buttare a terra mai più da nessuno!

Quarta domenica di quaresima - 27.03.2022

IV DOMENICA DI QUARESIMA - Luca 15,1-32

- Mosè era sul monte, trattava con Dio sulle regole da proporre a quel

popolo di dura cervice: i dieci comandamenti! Siccome tardava a

scendere, gli Israeliti, pensando fosse morto, si costruirono un vitello

d’oro. Ci fu allora un momento in cui Dio sembrava voler dare libero

sfogo alla sua collera e pensò di rinnegare il suo popolo e di distruggerlo

per farne nascere un altro. Fu la preghiera di Mosè a far desistere Dio

dal suo proposito.

Penso alla parabola di oggi: chissà se quel padre un giorno si dovesse

stancare di rincorrere i suoi figli per riportarli entrambi a casa. Quanto

resisterà a correre incontro all’uno poi all’altro, per andarli a cercare nei

posti più lontani? Fino a quando si affretterà a preparare feste, a ricucire

abiti nuovi?

Ci sono due sorelle, la chiesa Russa e quella Ucraina che in un

momento come questo dovrebbero solo mettersi attorno alla mensa

della parola del vangelo e farsi strumenti di pace.

Cosa altro possono fare le religioni se non promuovere il dialogo, la

giustizia e la pace rinunciando ai propri interessi particolari.

Balducci direbbe: liberarsi del proprio salvagente, perché mai come

oggi non ci si può salvare da soli.

L’immagine di questi figli che non riescono a parlare fra di loro, che

quando uno è in casa, l’altro è fuori mi da la sensazione della situazione

delle chiese e religioni oggi.

E poi ci sono i servi, anche questi divisi. Gli uni che collaborano in fretta,

“presto” alla realizzazione della festa, non aspettano neppure che torni a

casa il fratello maggiore. Altri invece che sembrano aspettare fuori e

insieme al fratello maggiore con occhio malizioso e invidioso

complottano con lui per boicottare la festa.

Sembrano gli operai della prima ora, gelosi del fatto che anche gli ultimi

possano usufruire del diritto a vivere una vita dignitosa!

E vengono fuori vecchi rancori, accuse interessate, un certo tipo di buon

senso che blocca ogni possibilità di dialogo.

Sembra che tutto parta dal bisogno di avere; l’eredità, un capretto. Un

diritto per meriti acquisiti. Anche il figlio più giovane quando torna,

chiede cosa deve fare per meritare qualcosa da mangiare. Non sono

degno di essere chiamato tuo figlio, trattami come un servo! Ma non c’è

nessun merito nel ricevere una eredità. E’ puro dono, libero e gratuito.

Tutto ci è dovuto! In realtà nulla ci è dovuto.

Ma fin dalle origini dell’umanità, l’uomo ha sempre fatto fatica a pensare

che Dio volesse dare loro tutto gratis. Non siamo capaci di pensare

come Dio, preferiamo sempre non sentirci in debito con nessuno. Pur di

non riconoscere che tutto è dono e che a noi basta dire grazie,

preferiamo rubare, prendere con la violenza ciò che sarebbe già

nostro...l’importante è illudersi di non dovere niente a nessuno! tanto

meno a Dio!

Ascoltando la preghiera del Papa ho pensato alla preghiera di Mosè!

Terza domenica di quaresima - 20.03.2022

Dal Vangelo secondo Luca

Lc 13,1-9

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui

sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la

parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i

Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete

tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe

e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?

No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua

vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco,

sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo

dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone,

lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il

concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

- Di fronte a disgrazie o tragedie si cerca sempre di trovare spiegazioni, cause.

Poi si finisce sempre col rischio di far ricadere la colpa o responsabilità su Dio,

perché non si comporta come Dio, o meglio come noi vorremmo che si dovrebbe

comportare Dio.

Di chi la colpa se Pilato ha fatto uccidere dei Galilei, mischiando il loro sangue con

quello delle vittime, facendo di quegli uomini delle vittime sacrificali, sull’altare dei

suoi interessi!

Per rispondere Gesù richiama un altro fatto: 18 persone schiacciate dal crollo di

una torre.

Di chi la colpa o la responsabilità?

Forse può sembrare troppo semplicistica la risposta, ma forse la colpa è di chi ha

costruito quella torre, usando materiale scadente. Così è di chi ha accettato

passivamente di mettere il potere nelle mani di chi vuole dominare e opprimere

facendosi passare per benefattore, per quella sorte di compromesso tra il male

minore e un pò di sicurezza e ordine.

Allora l’avvertimento: “se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo!”

sta a dirci che il problema è a monte...

Se vuoi costruire una torre devi usare materiali adatti, e se vuoi che qualcuno

domini su di te ricorda che la logica dei dominatori di questo mondo è quella di

opprimere.

Un casa si costruisce con un tipo di relazioni diverse, come aveva ricordato Luca

nel capitolo sesto, dove dopo aver parlato di beatitudini, parla di amore per i

nemici, di percorre due miglia con il tuo avversario, se uno non basta, per

raggiungere un dialogo.


Allora si può costruire una casa su fondamenta solide.

Abbiamo lasciato esistere, accettato persone che prendessero il potere e lo

esercitassero in modo violento e ingiusto per interessi planetari. Abbiamo

permesso che tutto ciò avvenisse silenzio dopo silenzio, compromesso dopo

compromesso...la nostra politica sapeva e lasciava fare...eravamo alla finestra a

vedere passare il presente e ora piangiamo sul sangue versato, cercando di

riparare i nostri errori.

Ha ragione Gesù, “morirete tutti allo stesso modo”. Non voglio morire “allo stesso

modo” di chi accusa il divino, ma nemmeno di chi pateticamente lo difende

sempre solo perché ha paura di stare solo. Dio non è nelle mie accuse e

nemmeno nelle mie difese.

“Un tale aveva piantato un albero di fichi...”

Il fico non è sterile perché non produce frutti, è il padrone ad essere sterile perché

vuole tagliarlo. Il fico non è sterile fino a quando ci sarà un fertile cuore di

contadino disposto a credere nel futuro: “lascialo ancora quest’anno”. Io non

voglio morire come tutti, io voglio morire da contadino, dopo aver imparato l’arte di

dilatare il tempo in nome della Speranza. Io voglio morire così, da contadino,

imparando l’arte della cura.


Voglio morire imparando a zappare intorno a ciò che sembra morto, e dare

nutrimento alla terra anche quando sembra esausta. Se muoiono i Galilei nel

Tempio io non voglio chiedermi perché Dio non è intervenuto ma voglio fare

silenzio e cercare le vedove lasciate sole nel dolore e abbracciare i figli

sopravvissuti a tanta violenza. Voglio zappare intorno al mondo che vede cadere

le torri cercando gli occhi di diciotto donne senza marito, di madri senza figli, di

padri schiacciati dal dolore. Non ti chiederò più “Dio dove sei?” ma ogni giorno

voglio chiedermi “io dove sono?”. Io non voglio “morire allo stesso modo”, io

voglio sentirti nelle mani che spostano le macerie, nelle dita che asciugano

lacrime, tra le urla delle vite spezzate, tra i cuori infranti delle donne sole. Il

miracolo vero è il gesto di cura. Io voglio, prima di morire, aver imparato lo

sguardo del contadino, che vede vita nel tempo da concedere, perché il tempo è

più grande di noi. Che vede vita nei tre anni passati dal fico a non dare frutti

perché non sono tre anni di fallimento ma tre anni di tentativi. Voglio imparare a

potare, che non è tagliare, perché chi taglia uccide, chi pota libera. Voglio

imparare a lasciare, “lascialo ancora”, che non è abbandonare ma affidare al

futuro. Voglio imparare a zappare, che non è ferire il suolo ma dare aria alla


terra. E’ ciò

che Dio dice a Mosè: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito

il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono

sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso

una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele».

Seconda domenica di quaresima - 13.03.2022

LUCI E OMBRE


- La seconda domenica di quaresima è quella della trasfigurazione: quest’anno

nella versione di Luca.

L’episodio è centrale in tutto il vangelo e nel capitolo 9.

Non è un momento esaltante, mi sembra piuttosto drammatico, tanto è vero che

quando Pietro dice: “è bello essere qui”, l’evangelista annota: “non sapeva quel

che diceva!”.

Sullo sfondo c’è la morte di Giovanni Battista fatto decapitare da Erode.

Le domande, i dubbi agitano il cuore di Gesù.

Non sa più cosa veramente egli possa e debba essere e cerca risposte dalla

gente e da coloro che lo conoscono meglio, i suoi amici.

Sente esserci una forte contraddizione tra ciò che vorrebbe essere e fare per

trasformare la realtà e il contesto che lo avvolge come un’ombra.

Come è possibile conciliare ciò che nella vita sarebbe bello e gli ostacoli che la

vita stessa ti fa incontrare? Perché per incarnare ciò che di più umano esiste, si

deve rischiare di essere ripudiati, oltraggiati, e persino uccisi?

A questo punto affronta una montagna, luogo di preghiera. Vorrebbe una risposta

da Dio. La scalata del monte come tentativo di uscire da tutto ciò che è piatto, che

soffoca, da tutto ciò che restringe la visione...

Avvenne otto giorni dopo questi discorsi...Otto giorni di silenzio!

I giorni della creazione sono sette: c’è come una rottura con la normalità, un

uscire da uno schema chiuso, finito, dove tutto sembra si concluda col settimo

giorno. C’è qualcosa di nuovo da scoprire...C’è una identità altra, non ancora

rivelata, un volto altro, una storia altra.

Il volto di Gesù cambia d’aspetto, emerge la luce profonda che lo abita,

esperienza di spoliazione, di deposizione delle apparenze. Trasfigurare la vita è

perdere ogni maschera, lasciar cadere ogni ruolo, ogni immagine che ci siamo

costruita. E’ come lasciarsi travolgere dall’urto della luce che spinge da dentro.

Pietro Giacomo e Giovanni, non reggono, chiudono gli occhi, si difendono

affidandosi al buio, cercando di restare aggrappati al reale(tre tende!).

Alla fine resta una nube, molta paura, e una voce, come se la luce implorasse

libertà.

E poi la solitudine di Gesù e il silenzio dei discepoli.

Di fronte alle contraddizioni della vita spesso le parole sono solo vuote, dicono

cose insensate, senza senso. Vale anche oggi: abbiamo sempre bisogno di dare

spiegazioni, interpretazioni, pensando di capire tutto. Sarebbe più opportuno fare

silenzio e accompagnare in silenzio questi drammi che ci sono.

Forse il silenzio, il rispetto della solitudine altrui e nostra può creare uno spazio più

opportuno per aprirsi all’ascolto, per ascoltare una parola altra, dare un volto

nuovo alla realtà.

La solitudine, il silenzio, la preghiera possono impedirci di renderci cattivi, per

avere speranza, credere in noi stessi, e avere fiducia negli altri.

Vivere la solitudine nostra e di altri in silenzio, in ascolto, come dimensione più

vera di solidarietà...

La trasfigurazione, dramma tra luci e ombre, impone il silenzio!

Gesù, dopo questa esperienza riprenderà il suo viaggio verso Gerusalemme, città


della pace...un’utopia, più che un luogo! E chi vuole seguirlo lo farà in silenzio

rispettando il dramma che stava vivendo senza mai capirlo fino in fondo.

Prima domenica di quaresima - 06.03.2022

LUCA 4,1-13

- Comincia così la quaresima: Gesù viene spinto nel deserto e

lì sembra essere in balia dello Spirito e del Diavolo che se lo

contendono. E lui che non si sottrae a questo confronto!

Il confronto è su cose semplici, riguardano ciò che nella vita è

essenziale: il pane - il potere - la religione. Dal significato e

valore che si dà a queste cose dipende la convivenza tra gli

uomini.

Di fatto le guerre si fanno tutte o per il pane o per il potere o

per la religione. Tutti ci scandalizziamo sull’assurdità di

scatenare una guerra, ma questa non scoppia all’improvviso o

per caso, ma perché c‘è un terreno favorevole che la coltiva

fino a farla scoppiare. E questo terreno è concimato dai nostri

compromessi con questi tre dimensioni della vita.

- Per il pane accettiamo qualunque compromesso. Gesù non

mangia un pane che possa essere un atto di violenza nei

confronti della natura. Il pane è frutto di relazioni, di rispetto

dei tempi e ritmi della natura, va mangiato in compagnia

cominciando col darlo al più piccolo.

“Aria, acqua, fuoco, terra: gli elementi primari della fabbrica,

secondo i Greci antichi, concorrono alla formula del pane. La

terra accoglie il seme e le radici del grano, l’acqua nutre la

pianta in primavera, l’aria calda la matura in spiga e il fuoco

ne trasforma la farina in forno. Il pane, oltre che opera delle

maestranze dell’umanità, è impasto di grandiose forze di

natura, ognuna catastrofica di suo, per potenza distruttiva.

Allora il pane è il loro trattato di pace, la riuscita alleanza tra

energie di natura e braccia umane. Il suo profumo di pagnotta

calda, pure in mezzo a una guerra, impone una tregua alle

armi”.(Erri De Luca)


- Pur di avere un pò di ordine e di sicurezza accettiamo

qualunque forma di potere! Gesù rifiuta un potere che si

imponga dall’alto. Il potere non può essere in mano ad uomo

solo, ma si deve costruire a partire dal basso, dai piedi, come

quelli che lui laverà durante l’ultima cena!

- Dio non è il rimedio dei nostri fallimenti, della nostra pigrizia,

la scusa per non assumerci le nostre responsabilità. Pur di

salvare una religiosità superficiale e formale, soltanto

istituzionale, accettiamo qualunque immagine di Dio. Quello

che Gesù sembra dire è che Dio ha più fiducia nell’uomo di

quanto non ne abbia l’uomo stesso. Dio crede che l’umanità

possa crescere nella giustizia, nella pace, attraverso relazioni

vere con tutti i suoi membri, con la natura e con un Dio che

come padre ha fiducia nei suoi figli lasciandoli liberi di

sbagliare e correggersi fino a fare delle loro vita e del mondo

un pane di cui ogni persona divenuta fratello e sorella possa

nutrirsi ...

Luce da lanterna - Natale 2021

- “Il popolo che camminava nelle tenebre...”

Comincia con queste parole la liturgia della notte di natale.

E’ bello sentire i rumori di un popolo che nella notte, comunque cammina!

Immagino il buio, immagino l’assenza della luna, sento i passi incerti dei piedi,

le frasi smozzicate per farsi coraggio, qualche nome lanciato per aria in attesa di

risposta per vedere se chi si ama è ancora nella carovana. Il popolo nelle

tenebre, si da la mano. Si stringono forte, qualcuno piange...Ci si passa

dell’acqua, qualcuno racconta della luce, qualcuno promette un fuoco, il sudore

è freddo, qualcuno vorrebbe fermarsi, qualcuno si è fermato e non è più. I

vecchi si chiedono se vedranno ancora la luce, i giovani non sanno di cosa

parlano i vecchi, i bambini giocano a nascondersi, le donne sognano futuri

generativi, i padri hanno paura e non osano dirlo.

- “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce...”

Il pensiero va alle migliaia di profughi nei boschi ai confini tra Bielorussia e

Polonia...

Le tenebre non hanno impedito di camminare le notti del mondo, la notte della

malattia, della morte, dell’errore, della solitudine, della depressione...Natale è

camminarci dentro, è camminare chiamati da una luce.

“Vedo queste persone come avanguardie del presente in corso.

Lo sperimentano, lo esplorano con scarsità di mezzi e attaccamento alla vita

stremata.

Se fossero naufraghi su un’isola disabitata, li chiameremmo resto salvato e

primizia di nuovo insediamento.

Le loro baracche, i loro accampamenti sono avamposti nelle intemperie, prove

di sopravvivenza.

Le persone definite dalle cronache: ultime, seminano invece campi e tempi

difficili, dissodano il tempo futuro.

Chi vuole conoscere i prossimi della specie umana, li trova presso di loro.

Sono caparra e anticipo, del futuro! Profezia dell’umanità futura! (Erri de Luca)

Forse non sarà mai una grande luce a guidarli, ma una luce di lanterna, come

quella delle lanterne verdi. E’ il modo con cui le famiglie di polacchi lungo il

confine hanno scelto di aiutare i migranti sfidando i divieti imposti da Varsavia.

Un sì spontaneo agli appelli alla solidarietà.

È il segnale per indicare a chi riuscisse ad attraversare la frontiera che in quella

casa troverà un pasto caldo, coperte, braccia aperte e nessuno spione pronto a

chiamare la polizia.

«Non ti aiuteremo a nasconderti o a viaggiare oltre. Ti aiuteremo solo a


sopravvivere, come parte della solidarietà con una persona bisognosa».

Questi abitanti della terra di confine, che vedono il dramma e la sofferenza

umana, non fanno calcoli, semplicemente testimoniano il dovere di restare

umani, di fronte a un Dio che si è fatto umano per insegnarci, come dice san

Paolo, a vivere in questo mondo con “sobrietà, giustizia e pietà”.

Nel presepe a testimoniare questo modo di vivere sono i pastori con le loro

lanterne. Certe volte la luce arriva nella vita, ma spesso è lampo, intuizione,

consolazione di un momento...La luce è brivido di un istante! Ma prima e dopo

è tempo delle lanterne! Senza lanterne quei pastori non sarebbero arrivati alla

mangiatoia, non avrebbero illuminato nella notte il volto di quel bambino.

La nostra fede, umile lanterna per le nostre notti.

“Era buio nel campo, come oggi è buio in campi a non finire del mondo.

Vegliavano i pastori: ascoltavano paure, ascoltavano sogni,

e noi a tendere l’orecchio con loro al respiro di donne e uomini

che non prendono sonno nelle notti del mondo

per fame, per viaggi senza speranza.

Eppure qua e là nel campo un pulsare di lanterne.

So che tu aggiungeresti una beatitudine per chi tiene le lanterne del mondo,

perché il buio, tu lo sai, tu che hai creato la luce,

il buio senza stelle e senza lanterne genera sospetti, reclama distanziamenti.

Angeli ci hanno detto che è nato per noi un Salvatore.

Con una fede da lanterna veniamo a te così come siamo.

Forse basta per resuscitare un viso dalla tomba del buio,

per dare un nome ai senza nome.

Non una parola...troppe ne abbiamo sprecate...

Lo diremo solo con la luce di una lanterna, rischiarando ogni volto”. (Angelo

Casati)

In questo tempo sento più che mai vero che la nostra è una "fede da lanterna”.

Piccola, umile, per molti insignificante. Ma ha di bello che ti può seguire

ovunque. Si trasporta facilmente. A differenza di un lampione o di un riflettore,

che sono troppo ingombranti e dunque utili a illuminare solo i palcoscenici, non

i cuori. Sì, la "fede da lanterna" ci segue e ci consola là dove noi siamo, come il

piccolo Dio che nasce per noi, ancora...

XI domenica del tempo ordinario - 13.06.2021

Dal Vangelo secondo Marco


In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».

Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa. (Mc 4,26-34)

 

Con il quarto capitolo inizia in Marco una sezione molto intensa e densa di parole, in una forma che è quella parabolica e che solo ingenuamente può essere interpretata come il modo semplice e universale di parlare di Gesù per tutti , affinché sia facilmente compreso. Proprio qui si dice che il parlare in parabole è quasi, paradossalmente un velamento del regno, qualcosa per quelli di fuori, ben diverso dall'insegnamento privato ai discepoli.

Che Gesù fosse uno strano personaggio, vi sono vari indizi a suggerirlo: "con la gente parlava in parabole, ma in privato ai suoi discepoli spiegava ogni cosa".

Sembra un fare da cospiratore che avvalora l'ipotesi che Gesù, consapevole di quanto la buona novella avesse un che di sovversivo, in pubblico non parlava chiaro. Non a caso aggiungeva: "chi ha orecchie per intendere, intenda".

Il cambiamento dello stato presente delle cose, che pare non dovesse piacergli, lo chiamava Regno di Dio!

La parabola, quindi, non va liquidata come un racconto sempliciotto e accessibile per la gente umile, essa è piuttosto un modo per dire il mistero del regno di Dio. Due piccole parabole (il grano che spunta da solo, il seme di senape): storie di terra che Gesù fa diventare storie di Dio. Con parole che sanno di casa, di orto, di campo, ci porta alla scuola dei semi e di madre terra, cancella la distanza tra Dio e la vita. Siamo convocati davanti al mistero del germoglio e delle cose che nascono, chiamati «a decifrare la nostra sacralità, esplorando quella del mondo» (P. Ricoeur). Nel Vangelo, la puntina verde di un germoglio di grano e un minuscolo semino diventano personaggi di un annuncio, una rivelazione del divino (Laudato si’). Chi ha occhi puri, come quelli di un bambino, può vedere il divino che traspare dal fondo di ogni essere (T. De Chardin).

È commovente e affascinante leggere il mondo con lo sguardo di Gesù, a partire non da un cedro gigante sulla cima del monte (come Ezechiele nella prima lettura) ma dall’orto di casa. Leggero e liberatorio leggere il Regno dei cieli dal basso, da dove il germoglio che spunta guarda il mondo, raso terra, anzi: «raso le margherite» come mi correggeva un bambino. Il terreno produce da sé, che tu dorma o vegli: le cose più importanti non vanno cercate, vanno attese (S. Weil), non dipendono da noi, non le devi forzare. Perché Dio è all’opera, e tutto il mondo è un grembo, un fiume di vita che scorre verso la pienezza.

Da sempre le scritture raccontano come un popolo poteva essere sovversivo, come rialzava la testa, nonostante l'oppressione.

- La sovversione, a Gesù, è stata insegnata da sua madre: "l'anima mia magnifica il Signore…perché è stata considerata la bassezza della sua serva, con il suo braccio ha disperso quelli che erano superbi ha detronizzato i potenti, e ha innalzato gli umili; ha colmato di beni gli affamati e ha rimandato a mani vuote i ricchi…"

Si tratta di un vero e proprio rovesciamento: le categorie bibliche dell'ultimo che sarà primo e viceversa; del più piccolo che sarà grande; di un granello di senape che diventa albero in grado di ospitare tutti. E' logica di totale rovesciamento: il nascosto che diventa un paradigma rivoluzionario, cioè capace di rovesciare la vita e i suoi idoli. E' la logica delle beatitudini: i poveri che portano avanti il progetto del Regno di Dio …i miti, gli unici ad avere diritto alla terra, per la loro leggerezza e per il loro non occupare posto…

Allora vivere rovesciati significa vivere nelle profondità della vita, là dove la realtà si sente palpitare, dove ha il suo senso più bello più vero, dove tutto può nascere e rinascere ancora. Il rovescio è il dentro, il contrario di ogni superficialità della vita.

il piccolo granello di senape è la coscienza. Chi vive secondo coscienza, questi sta preparando il futuro. Nessuno può pretendere di cambiare la situazione se non intraprende un viaggio interiore nel rovesciamento della propria mentalità, nel modo di stare al mondo e di immaginarlo. Ciascuno sovverta l'ordine  e lo renda ordito! ( A. Potente)

La incrollabile fiducia del Creatore nei piccoli segni di vita ci chiama a prendere sul serio l’economia della piccolezza ci porta a guardare il mondo, e le nostre ferite, in altro modo. A cercare i re di domani tra gli scartati e i poveri di oggi, a prendere molto sul serio i giovani e i bambini, ad aver cura dell’anello debole della catena sociale, a trovare meriti là dove l’economia della grandezza sa vedere solo demeriti.  Il Vangelo sogna mietiture fiduciose, frutto pronto, pane sulla tavola. Positività. Gioia del raccolto.

"Il rovesciamento del pensiero si compie con l'esperienza.

Il rovesciamento della visione si compie con il riconoscimento delle differenze.

Il rovesciamento della retorica politica si compie con la poesia.

Il rovesciamento del monopolio della parola si compie con la narrazione di tutti.

Il rovesciamento della superficialità si compie ostinandoci in direzione contraria verso il dentro.

Il rovesciamento dell'immagine divina si compie nei corpi". (Antonietta Potente)

Pentecoste - 23.05.2021

Dagli Atti degli Apostoli - At 2, 1-11

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.

Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio». Tutti erano stupefatti e perplessi e si chiedevano l'un l'altro: "che cosa significa questo?". Altri invece li deridevano e dicevano:"si sono ubriacati di vino dolce!".

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 15, 26-27; 16, 12-15

 - In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.

Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

 

 - "Stava compendiosi il giorno di pentecoste… un vento riempì tutta la casa".

C'è in questa festa un senso di compimento, di pienezza. Pentecoste: festa del raccolto! E' il raccolto di una vita.

Una vita che riempie la casa, come il profumo che una donna versò sul capo di Gesù e "riempì tutta la casa". Come quelle giare al matrimonio di Cana  riempite fino all'orlo, come la vita di Gesù quando sulla croce raggiunse il suo compimento: "tutto è compiuto" e da lui uscì lo Spirito, una vita donata completamente e "riempì tutta la faccia della terra!".

E tutti coloro che erano nella casa sono scaraventati fuori, come Gesù fu scaraventato fuori dal sepolcro dal profumo che le donne portarono il mattino di pasqua per ungerlo. E' il tempo del raccolto, del parto, una vita che spinge per uscire!

- Ci sono venti di violenza, di ingiustizia, che dovrebbero spingerci ad uscire nelle piazze e gridare, come ubriachi le grandi opere di Dio: e l'opera di Dio è la pace, è la relazione, è il dialogo, è  la festa: una festa che nasce dal capirsi…

Ma invece che andare in piazza, abbiamo blindato ancora di più le nostre case, impedendo a questi venti di entrare. Bisogna dare aria alle nostre case, alle nostre vite…solo un vento impetuoso può togliere la polvere dalle nostre parole ormai vuote, stanche, sterili…Le nostre parole non danno più respiro,  e la vita di tante persone non respira…"non posso respirare", son state le ultime parole di George Floyd.

"La più amara inondazione della terra sono le lacrime della povera gente,

lacrime silenziose e segrete.

Acqua e sangue che gonfiano i fiumi di tutti i paesi.

Impossibile che non succeda l'evento, impossibile che non debba accadere!

Fede è ribellarsi, fede è rompere le catene, credere è fare giustizia".

(Davide Maria Turoldo)

- C'è solo una cosa che oggi fa respirare la vita sulla terra:

la speranza dei poveri e dei miti : il loro respiro! Questo è il respiro del mondo!

Sono loro la spinta più grande verso un continuo rinnovarsi della terra e dell'umanità.

"Apparvero lingue come di fuoco…". E il primo effetto fu di "cominciare a parlare…" ciascuno comprendeva la lingua dell'altro, frutto di un nuovo modo di guardare l'altro, di affacciarsi alla vita dell'altro, di rispetto di fronte all'altro. La lingua di Pentecoste è parola di libertà; non ci appartiene, come il vento!

 - Quante lingue si parlano!? Ci sono una infinità di idiomi; c'è la lingua del corpo, dei segni, della fantasia, del cuore; c'è la lingua delle religioni, delle culture, dell'arte: teatro, pittura, poesia; c'è la lingua dell'amore, del dolore; c'è la lingua della natura, dell'universo…c'è la lingua di Dio!

Perché queste lingue possano parlare, bisogna fare silenzio, dare loro respiro. Respirare e far respirare sembra essere uno degli esercizi più urgenti e insieme meno praticati. Le nostre parole, le nostre istituzioni, le nostre iniziative, danno o tolgono respiro?

Se c'è rispetto di ogni lingua ci si capisce. Ci si capisce quando ognuno ha la possibilità e la libertà di esprimersi con la propria lingua. Non ci si capisce quando si vuole imporre a tutti una sola lingua, come successe a Babele! Se vogliamo creare paura, confusione, la strada è quella dell'imposizione di un'unica lingua, di un'unica fede, di un'unica cultura.

Una parola, poi, per essere capita deve essere viva, non basta che sia vera. "E' vero che Dio ha detto…" dice il serpente ad Adamo ed Eva! "Che cos'è la verità",  chiede Pilato a Gesù, quando bastava guardarla, non cercarla. Il serpente e Pilato, con la scusa della verità generano morte!

Un parola comunica se è viva, una verità senza essere viva non parla. Io posso non capire un linguaggio, ma sento pienamente se è vivo o vuoto. Tanto che coloro che parlavano sembravano ubriachi, cioè parlavano con tutto il corpo. Spesso facciamo  le cose per inerzia, senza metterci il cuore, senza passione, senza anima...In questo senso il teatro, in cui protagonista è il corpo, potrebbe essere il linguaggio più vivo...

E allora tutti in piazza per una festa abitata da un'ebbrezza, da colori, da canti, da danze e ogni uomo, ogni donna, ma anche tutto il creato parli nella propria lingua, nella sua irriducibile diversità…"del tuo Spirito Signore è piena la terra!".

Festa dell'Ascensione - 16.05.2021

Dagli Atti degli Apostoli

Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.

Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».

Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».

Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

 

Dal Vangelo secondo Marco

 - In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.

Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

 

 - Dopo aver parlato, Gesù fu elevato in alto, in cielo, sedette alla destra di Dio, e una nuvola lo sottrasse al loro sguardo…

Con queste parole viene descritta quella che noi chiamiamo ascensione di Gesù al cielo…Luca la colloca 40 giorni dopo la pasqua, numero e tempo simbolico per indicare come questo fatto implichi un passaggio: si passa da una vita ad un'altra vita, da una dimensione ad una dimensione diversa. Occorre distinguere quello che l'evangelista dice da come lo dice. Quello che dice è parola di Dio e  questa è valida sempre; come lo dice dipende dallo stile dell'epoca.

In questo brano si vede chiaramente la distinzione tra quello che l'autore vuol dire e come lo dice. Dice che " fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio". Quell'uomo condannato come bestemmiatore è stato da Dio elevato alla sua stessa condizione, stessa dignità!

 E lo dice usando un linguaggio congeniale a quel tempo.

Il cielo , non significa l'atmosfera, ma la dimora di Dio e "sedere alla destra" vuol dire essere sullo stesso piano. Quel Gesù condannato e ucciso, Dio non lo ha lasciato cadere nel vuoto, ma lo ha accolto fra le sue braccia conferendogli gli stessi suoi poteri.

Il cielo è quel respiro, quel soffio che Dio donò all'uomo, quando questi divenne una persona vivente. Il cielo è la parte più profonda di ogni essere vivente, è quel luogo dove vorremmo far posto alle persone che amiamo…è quel luogo nel cuore delle persone dove vorremmo trovare posto per noi.

Per tutta la vita, Gesù, ha cercato di trovare un posto nel cuore delle persone e fare un posto nel suo cuore perché tutti potessero trovare pace.

La strada che ha percorso è stata quella della povertà. Non si può essere elevati al cielo se si è troppo pesanti. Per salire al cielo occorre essere liberi e leggeri, poveri di tutto tranne che dell'amicizia. Un povertà che ha visto la sua massima espressione quando fu elevato sulla croce. La croce fu il vero momento della sua ascensione. Luogo sul quale fu elevato "dopo aver parlato".

"Beati i poveri, perché di essi è il regno dei cieli".

Allora una nuvola lo sottrasse al loro sguardo! Ricorda quella nube luminosa che avvolse con la sua ombra Pietro, Giacomo e Giovanni sul Tabor il giorno della trasfigurazione, come anche la nube che guidava gli ebrei nel deserto o che coprì con  la sua ombra, Maria,li alle parole dell'angelo. Quella nube è il simbolo della difficoltà a conciliare le parole con la realtà, il Regno di Dio con la croce. Dalla nube esce sempre una voce: la nube parla, la nube è la parola difficile da credere…"come è possibile…" dirà Maria…Come è possibile - continuiamo a pensare noi - una vita oltre la morte?

La nuvola rappresenta tutta la difficoltà che siamo chiamati a compiere per vedere al di là di quella povertà con la quale Gesù si è manifestato e ha rivelato il volto di Dio, la dimensione più profonda della vita.

"Questi saranno i segni che accompagneranno coloro che credono: Scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti, se berranno qualche veleno non recherà loro danno, imporranno le mani e questi staranno bene…" Tutte immagini delle forze che ci assediano, delle difficoltà che ostacolano il nostro cammino. Non sono tanto i segni che fanno accedere alla fede, ma il contrario: è la fede che dona di vedere la Parola che si compie e opera cose incredibili.

Se vi coinvolgerete sul sentiero di Gesù, potrete cacciare il demone dell'angoscia, prendere in mano i serpenti, cioè guardare in faccia le vostre paure, i vostri sensi di colpa, potrete guardare senza panico i poteri che mordono e avvelenano, senza diventarne vittime, senza soccombere.

 - La partenza di Gesù porta alla partenza dei discepoli a predicare il vangelo a tutte le creature, annunciare la verità di ogni cosa. Dio non si allontana dalla vita degli uomini, ma li accompagna sempre, così il Signore Gesù "agiva insieme a coloro che predicavano", confermava la parola con i segni che l'accompagnavano.

 - "Tutte le cose dell'universo hanno il loro Spirito. Quante cose ci sono nell'universo? tante, ma proprio tante. ci sono le montagne, ci sono i vulcani, ci sono i fiumi e le fonti, le piante e  la sabbia del mare e ogni goccia delle acque del mare...

Quante cose ci sono nell'universo!

Allora dovete sapere che ogni cosa ha il suo Spirito. Lo Spirito dell'universo scivola tra le foglie del bosco, si fa largo fra le acque, vola nel vento... in tutte le cose della natura c'è lui... a volte appare, ma non ha forma... quando qualcuno viola le leggi della natura, quando qualcuno abusa delle cose, quando qualcuno taglia gli alberi per rubare l'ossigeno, quando qualcuno brucia piante e cespugli sulle montagne per farle franare, quando qualcuno non ha compassione del fratello...allora appare lo Spirito delle cose, il custode della vita, colui che giudica la condotta degli esseri umani..." (Rigoberta Menchu)

La misura della verità, identità di ogni cosa è colui che sta alla destra di Dio. Quell'uomo, elevato sulla croce che tornerà sempre allo stesso modo, si ripresenterà sempre avvolto da quella nube, la sua parola si scontrerà sempre con la realtà…si tratta di vivere l'attesa…attendere l'adempimento della promessa del Padre. A volte abbiamo più l'aria di chi possiede che lo sguardo di chi attende.

"Penso al teologo che non aspetta Dio, perché lo possiede rinchiuso in un edificio dottrinale. Penso all'uomo di chiesa, che non aspetta Dio, perché lo possiede rinchiuso in una istituzione. penso al credente che non aspetta Dio perché rinchiuso nella propria esperienza.Non è facile sopportare questo non avere Dio, questo aspettare Dio…" (P.Tillich)

Resta il fatto di trovare una lingua nuova con la quale esprimere questa verità.

VI Domenica di Pasqua - 09.05.2021

Dal Vangelo secondo Giovanni - 15,9-17

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi.

Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

- Era l'ultima cena. Aveva appena finito di lavare i piedi dei discepoli, aveva detto loro: "vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi". Dopo queste cose "si commosse profondamente".

Le parole che oggi ascoltiamo sono dentro questa commozione, la commozione di chi sta per passare da questo mondo al Padre e ha bisogno di lasciare un esempio, un ricordo, qualcosa di sé che rimanga.                                                                                                                   Non vuole che questa separazione lasci uno strascico di tristezza, ma il ricordo di lui sia sempre motivo di gioia, di una gioia piena, che neppure la morte può offuscare. Una gioia del genere è solo frutto dell'amore, di una vita che si è sempre sentita amata e che ha sempre fatto dell'amore la sua dimora, la sua linfa vitale.                                                                                                                  "Questo è il mio comandamento", Questo è proprio il suo di comandamento, "amatevi gli uni gli altri", è il suo perché il suo amore è soltanto il suo, non è un amore generico, ma il suo modo di amare:"amatevi come io ho amato…" Il suo amore non è paragonabile , riducibile a qualunque amore. Si tratta di rimanere in quell'amore, in quell'esempio, entrarci e starci sempre più dentro: dentro le sue parole, i gesti delle sue mani, lo sguardo con cui guardava le persone e le cose, quell'osservare con attenzione, come lui guardava. Guardare, osservare le sue parole , come si guardano i fiori del campo, gli uccelli del cielo. Purtroppo abbiamo costruito, elaborato tutta una serie di precetti da osservare, e abbiamo dimenticato o ridotto ad un precetto come un altro, questo "suo" comandamento dell'amore. Credo che Gesù di proposito abbia voluto usare il termine comandamento, che di per sé, è in contraddizione con l'amore: non si può comandare a nessuno di amare! Ma se Gesù ha usato questo termine, lo ha fatto per riportare la religione a quello che dovrebbe essere: rapporto di amicizia con Dio. Tutte le religioni propongono un rapporto con Dio, basato sull'obbedienza a dei precetti, su un servire Dio. Allora Gesù ci riporta a un rapporto con Dio, basato sull'amore e pertanto sulla libertà. L'amore senza libertà è pura finzione, come la libertà senza amore diventa presunzione e arroganza.                                              "Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamato amici".  Solo questo può dare gioia! Uno cresce solo se amato e capace di amare!

" Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici".  Eppure sembra che ci sia un amore ancora più grande di questo: dare la vita per i propri nemici. "Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete?…Amate i vostri nemici!2. (Lc.6,32.35). Forse il motivo per cui parla di amici è questo: chi ama non ha più nemici! Gesù, quando Giuda accompagna le guardie per arrestarlo, non lo chiama traditore, ma "amico". Giuda rimane un amico anche se si comporta da nemico. A volte andiamo dietro alla mentalità che vede un nemico semplicemente nella persona diversa per appartenenza religiosa, etnica, o politica. Siamo debitori di un clima di paura, che identifica la diversità con il pericolo. Anche Pietro, come sentiamo nella prima lettura, identifica Cornelio come un pericolo, un nemico, ma una volta entrato in casa sua, nella sua vita, dirà:"veramente mi sto rendendo conto che Dio non fa preferenza di persone…". (Atti 10,34) Entrare e rimanere in una casa è il primo passo per superare l'idea del nemico. Il primo passo è resuscitare la parola "amico". Non vi chiamo più servi, ma amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio ve l'ho fatto conoscere. Resuscitare la parola amico allude alla libertà, alla fiducia, alla trasparenza…purtroppo nella chiesa non mi sembra che predomini la parola "amico", ma piuttosto la figura del superiore e del dipendente, chi comanda e chi deve obbedire.

Dare la vita, Gesù lo definisce un atto di amore e non un sacrificio. Chissà perché nella liturgia al "dare la vita" si è preferito "questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi!".

Motivo di gioia è solo l'amore, non il sacrificio.

 ...Come il Padre ha amato me… perché l’ Amore abita alle nostre spalle, costruisce soffi di vita, e permette alla nostra vita di respirare. L’amore abita sempre alle nostre spalle, noi viviamo perché abbiamo Amore alle spalle. Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi.  E l’uomo nasce e si sostiene proprio perché può fare continuamente memoria di tutto l’amore che ha ricevuto, di tutti quei gesti che sono diventati strada, percorso, di tutta quella vita che lo ha spinto fuori dalla solitudine, unica forza capace di esporci al futuro.                   

Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore. Poi nell’Amore occorre rimanerci, prenderci casa, spesso anche imparare a resisterci, l'amore non è scontato. Come se la vita si divertisse a soffiare, vento contrario, contro i sogni e le speranze che ci hanno messo al mondo. Come se la vita soffiasse forte a voler portare via le speranze, i sogni, la semplicità, la gioia dell’infanzia… Rimanere chiede resistenza e esercizio di memoria.                                                                                                  

Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la mia gioia sia piena. In gioco non c’è altro che la gioia. Che non è certo la pretesa di non soffrire ma il desiderio di sentire che la fede profonda nella vita è una fede ben riposta.

V Domenica di Pasqua - 02.05.2021

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 15,1-8

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.

Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.

Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

 

 Gesù aveva appena detto:"alzatevi, partiamo di qui!". Sta per avvenire una separazione, una partenza, ma sente il bisogno di mantenere un legame.

E Gesù a dire che non avviene una separazione o meglio che la vera separazione non è questa, non è quella della morte. Sembra di riascoltare la sfida del Cantico dei Cantici: "più forte della morte è l'amore". Sembra il massimo della separazione la morte. Ma Gesù, con l'allegoria della vite e dei tralci paradossalmente parla di vicinanza, d'intimità: l'uno nell'altro, i tralci nella vite. Sembra di riudire la prima pagina della Bibbia: ".....e i due -è scritto- uomo e donna, saranno una carne sola".  Questa intimità che è superamento della distanza. "rimanete in me ed io in voi". Sono le parole che usa anche l'amore umano, parole che vanno a sottolineare l'importanza della relazione: al di là di tutto, al di là di ogni distanza. Non basta abitare sotto lo stesso tetto, così come non basta celebrare riti nella casa di Dio, l'importante è la cura della relazione, di questa dimora del cuore che ci permette di essere vivi e non rami secchi; i rami vivi li vedi germogliare e fiorire. Quei germogli e quei fiori dicono che sono inseriti in qualcosa di vivo. Ma se siamo secchi, avvizziti, senza cuore, senza pulsioni, senza dilatazione, se siamo secchi e diciamo di essere uniti a Dio, facciamo come se Dio fosse lui pure avvizzito, rinsecchito, inerte. "Rimanete in me ed io in voi". E alla fine: "se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi porterete molto frutto". Gesù ha la sua dimora in noi, se le sue parole hanno una dimora dentro di noi. Metti a dimora nella tua vita, nel tuo cuore le parole di Gesù e ci saranno germogli, e anche frutti, molti frutti.

 - Rimanere: sette volte viene ripetuto.

All'inizio della primavera sui tralci potati affiora una goccia di linfa che luccica sulla punta del ramo. I contadini dicevano essere la vite  che va in amore! Quella goccia di linfa mi parla di me e di Dio, dice che c'è un amore che sale dalla radice del mondo e mi attraversa, una vita che viene da Dio e sfocia in frutti d'amore.

Il vangelo di Giovanni era cominciato con due discepoli che cominciarono a seguirlo e dopo un breve, ma intenso dialogo: "che cosa cercate?" - "dove abiti?". - "venite e vedete". - andarono , videro e "rimasero" con lui.

Dimorare vuol dire entrare nella casa, nella vita di una persona.

Dimorare vuol dire accettare, amare una persona, ascoltarla, accogliere la sua storia, il suo modo di agire, di pensare. Forse possono raccontare questo solo coloro che fanno una esperienza di amore. Dimorare è più che abitare. si può abitare una casa come spazio esteriore, o come spazio di relazioni, di un intimo comunicare, un abitare pensieri, emozioni, sogni.

Quando hai dentro i sogni di una persona non te ne liberi più, e questi ti fanno vivere:"Ciascuno cresce solo se sognato!".

Primo modo di dimorare è ascoltare, accettare. Quello che l'altro dice per me diventa importante: vuol dire andare incontro alle sue esigenze, domande, richieste.

 - "Se rimanete e le mie parole rimangono in voi, chiedete e vi sarà fatto…".

Se uno sa ascoltare, chiede all'altro, ciò che sa essere in suo potere dare.

Ma bisogna chiedere non pretendere e neppure aspettarsi di ricevere senza chiedere. Il desiderio di un dono si esprime col chiedere.

Allora si porta frutto: sei volte si parla del frutto.

Siamo al mondo non per mettere radici, ma per portare frutto.

 - Preghiera di Oscar Romero

 "Signore, per ogni uomo hai fissato un appuntamento d’amore.

Rendimi capace di non perderlo, di non rimandarlo,

di non arrivare in ritardo, di non renderlo vano.

Che io sia giovane o adulto, uomo o donna, poco importa.

Donami la misura del “come”.

Donami di amare senza misura.

Fa’ che io sappia mettermi in ascolto della tua Parola e della voce dei poveri,

perché possa uscire dal mio piccolo mondo e farmi dono per tutti.

Sono solo un filo d’erba tremante,

ma soffia sulla mia vita e strappami alla terra.

Non metterò radici, ma porterò frutti:

come te, come i martiri, come l’amore".

 Per dare frutto bisogna rimanere, aderire fedelmente al Signore, alla sua parola. Restare, rimanere, perseverare, sono immagini estranee al nostro mondo in cui si fanno le cose per un momento, per un attimo, finché c'é la novità…nella parabola del seminatore, per indicare quelli che alla prima difficoltà si abbattono, si dice che sono quelli che vivono nel momento…

L'amore non è esperienza di un momento!

Il frutto della vite è il vino, un vino vero, capace di dare gioia, non un vino menzognero che ubriaca, senza dare gioia.

Il rimanere, l'ascoltare porta alla potatura, che è una liberazione da tutto ciò che non porta frutto. Nell'amore, nella relazione, ci si aiuta a tagliare ciò che è inutile e superfluo! Potare non significa amputare, significa dare vita. Rinunciare al superfluo equivale a fiorire! Il sogno di Dio non è la sofferenza, ma il molto frutto. Nessuna pianta sofferente porta buon frutto. Portare buon frutto con dentro il sapore di Dio, che ha il gusto di tre cose: amore, coraggio e libertà. Non c'é amore senza libertà, libertà senza coraggio. E amore, libertà e coraggio sona la linfa e i frutti di Dio in noi.

- "Se rimanete nella mia parola, siete veramente miei discepoli, e conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi". (Gv.8,31-32)

IV Domenica di Pasqua - 25.04.2021

Vangelo  Gv 10, 11-18

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.

Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

 

 - Se c'è una cosa che preoccupa Gesù è la vita. Che sia abbondante: come è abbondante il vino, come è abbondante il pane…

La vita ha bisogno di spazi liberi, non di recinti.  Il recinto è qualcosa che ti dà sicurezza,  però ti toglie la libertà. Non siamo fatti per stare chiusi nel nostro recinto, ma per alzare lo sguardo, per guardare al di là del recinto. Non siamo fatti per alzare muri per non vedere, per mantenere le distanze, per non sentire. Siamo interpellati in prima persona da coloro che sono aldilà del recinto delle nostre case, delle nostre chiese, dei nostri gruppi.

Il pastore buono, bello, vero è l'uomo che riconosce l'assenza di cesura tra sé e il mondo. E' un uomo che sa la sua sorte essere strettamente legata alla sorte del mondo. Egli vive se le pecore vivono, egli riconosce questo ambiente come suo. Tra questo uomo e il mondo non c'è estraneità, ma reciproca conoscenza.

Il mercenario ha con il mondo(le pecore) un rapporto di estraneità. Il suo mondo è il mondo delle cose che si comprano e che si vendono. E' un mondo sfruttato e da cui si trae guadagno immediato, ma in questo guadagno è già iscritta la rovina sia del mercenario che del mondo. Arriva il lupo, irrompe la realtà, le pecore si disperdono, il mercenario fugge. Non c'è scampo né per il mercenario, né per le pecore. La reciproca estraneità porta alla distruzione e alla perdita di soggetto e contesto. Il rapporto originario, invece di pastore e pecore, di soggetto e ambiente consente l'apertura verso gli altri e anche verso l'Altro. Solo per l'uomo non separato dal mondo, per l'uomo non-merce, è possibile il rapporto con gli altri. Un rapporto basato sull'ascolto: "ascolteranno la mia voce". Ascoltare è la prima maniera di dire all'altro: "tu ci sei!".

Fuori dal mondo mercificato il dialogo tra diversi è possibile ed è possibile l'ascolto reciproco.. Un ascolto che si fa rapporto, ma mai conquista. Le cose veramente preziose non si possono comprare, rubare. Nessuno possiede mai quello che compra! I nostri desideri più profondi sono appesi alla libertà. Le cose che contano davvero sono poche, ma si riconoscono facilmente: sono quelle che rimettono al mondo, che fanno rinascere. Il gesto del pastore è il desiderio di un innamorato: entra nel recinto solo per spingere fuori il gregge. L'amore spinge fuori, partorisce vita…Ci sono altri recinti religiosi e non solo, dove sono racchiuse altre pecore. Il sogno di questo pastore, più forte di lui, è quello di liberare tutte queste potenzialità perché la vita sia buona, bella e vera per tutti!

E san Paolo: "Non per fare da padrone sulla vostra fede, ma per essere collaboratore della vostra gioia". (2Cor.1,24)

 

 

 - OMAGGIO  A  GIOVANNI   CATTI

 - C’era un pastore, che aveva cento pecore’ Sono tante sono poche cento pecore? Sono tante? No, sono poche cento pecore. Perché? Eh, perché nel paese di Gesù i pastori ne avevano tante, di pecore: migliaia e migliaia. Abramo, che era un grande pastore del paese di Gesù, aveva trecentodiciotto uomini, a custodirgli tutte le sue pecore. Pensate, dunque, quante ne aveva! Invece questo pastore ne aveva cento, appena.

Poiché erano così poche, gli erano tutte care. Uno, che ha un milione di pecore, che se ne fa, se gliene muore una? Ma chi ne ha cento, ah, Vuol bene a tutte. Questo pastore voleva bene a tutte le sue; e le conosceva tutte, una per una; e le chiamava per nome: una era la Neretta, perché era tutta nera, come il carbone; l'altra la chiamava Ricciutella, perché aveva una lana ricciuta, bella bella. Ce n’era una, però, che era la più bella di tutte, proprio la più bella; bianca bianca come la neve, con una lana fina fina. La chiamava: la Bianchina.

Era bella, ma un po’ capricciosa. Ce ne sono tra voi, dei capricciosi? No, tra voi non ce ne sono... Le sue compagne dicevano: «Che cosa crede di essere? la regina?». E non la volevano neppure con loro; lei stava sempre vicina al pastore. Anche il pastore voleva bene alla Bianchina, e mangiava sempre vicino a lei; e le dava, a volte, un po’ del suo pane; ma la Bianchina era sempre più capricciosa e superba.

Un mattino, il pastore usci dal recinto. Perché su, sui monti, i pastori non hanno la casa: hanno un recinto, dove tengono le pecore la notte, perché non vadano i ladri a rubarle, o i lupi a mangiarle. C’erano, li vicino, tanti altri pastori, che avevano tutti il proprio recinto. Allora, apri il recinto, ne fece uscire le pecore, e le chiamava tutte per nome. Poi si mise avanti, col suo bastone, e cantava. Cantava e camminava: su per la collina, per i prati, finché trovò un bel posto, tutto pianeggiante, dove c’era tanta bella erba verde. Allora sedette li, e le pecore si sparsero a brucare tutto intorno, belando: beh, beh...

La Bianchina stette un po’ vicino al pastore, poi se ne andò; ma non voleva andare con le altre pecore: «tutte brutte», diceva lei, «sono brutte, non mi piacciono: io voglio star sola!». Vide un bel cespuglio di fiori, e camminò per brucarli; poi ancora ne vide uno più distante, e andò; poi avanti, e vai, e vai, si allontanò tanto dal gregge.

Intanto il pastore vedeva tutte le pecorelle d’intomo, e non pensava che quella scervellata se ne fosse andata così lontana. Venne la sera. La Bianchina era distante, distante, ormai era scesa in fondo a una valle, era risalita sul pendio di fronte, poi ancora era discesa. Quando s’accorse che il sole era scomparso, allora cominciò a batterle il cuore forte forte: puff, puff,... perché aveva sentito raccontare la storia dei lupi, che la notte escono a mangiare le pecore; e degli sciacalli, che sono dei cani feroci, i quali, se trovano una pecora, te ne fanno una colazione e una cena in quattro bocconi. Allora lei incominciò, poverina, ad andare piano piano, per non fare rumore. Ma, ad un tratto: «oh, povera me!». Che cos'ha sentito? L'ululo del lupo. «Si, questo è l’ululo del lupo... lontano lontano, ma è l’ululo del lupo... e poi... l’abbaìare dello sciacallo ... ». Che paura, povera Bianchina!

Fattasi sera, intanto, il pastore diede un fischio, che tutte le pecore conoscevano, e tutte: beh, beh,... si raccolsero intorno a lui. Lui si mise davanti, col suo bastone, e cantando se ne tornava verso il recinto, e le pecore dietro. Arrivato al recinto, si mette sulla porta, per farle entrare, e le pecore entrano, e lui le conta tutte: «Una, due, tre, quattro... avanti, Neretta... cinque, sei, sette... su Ricciutella... otto, nove, dieci, undici... venti... trenta... quaranta... cinquanta... sessanta... settanta... ottanta.... novanta, novantuna, novantadue, novantatré, novantaquattro, novantacinque, novantasei, novantasette, novantotto, novantanove... ; ne manca una!». Chiude, e guarda le pecore: «Ho bell’e capito, è quella scervellata della Bianchina. oh, povero me! Adesso mi è rimasta lassù, e Il lupo me la divora certamente... Ma no, no; io vado a cercarla!». Le pecorelle stavano zitte zitte, non osavano neppur belare, e lo videro, che prese il suo bastone e il suo cappellone, e andò dagli altri pastori, ad avvertirli: «fatemi un po’ la guardia anche al mio gregge». E parti.

«Ehm  quella smorfiosetta», avranno pensato le altre pecore, «non vuoi mai stare con noi, e adesso la pagherà, una volta per tutte. Non vuoi stare in compagnia, perché lei è la più bella; vedrà che cosa le giova la sua bellezza ... ». «Mi rincrescerebbe», pensava un’altra, «se il lupo se la dovesse mangiare: mi rincrescerebbe, ma dopo tutto se l’è meritato, se l’è proprio voluto ... ».

Il pastore andava di corsa, e di tanto in tanto lanciava un fischio, e poi tendeva l’orecchio, se sentisse un belato. La povera Bianchina si era tutta nascosta, infilandosi dentro a un rovo, che le aveva strappato la lana bianca, e l’aveva tutta punta: ma lei se ne stava li quieta, quasi senza respirare, per paura che si avvicinassero un lupo o uno sciacallo. A un certo momento, le parve di sentire il fischio del pastore, e tese l’orecchio: il fischio si ripeté. «Oh è proprio il pastore, il mio buon pastore, che viene a cercarmi». Stette ancora in attesa, e il fischio si ripeté, più vicino. Allora fece un belato piccolo piccolo, e il pastore un altro fischio; lei un altro belato, lui un altro fischio; un altro belato, e il pastore si avvicinava, si avvicinava... «Eccolo, eccolo che arriva! Che gioia, che gioia sentirlo arrivare!».

«Ma adesso me le suona. Adesso me le dà», pensò la Bianchina, «oh, meglio le botte del pastore, che i denti del lupo o dello sciacallo». Invece il pastore, pungendosi le mani, allarga i rami del rovo, e: «Povera Bianchina», dice, «come ti sei ridotta! Ma guarda, quanta paura devi aver avuto! Ti sei tutta punta? Ma vieni, vieni, vieni, sarai stanca; vieni, che ti prendo in collo». La prende, se la mette in collo, e via cantando. Lei tutta felice: «Com'è buono, com'è buono!». Poi però pensava: «Adesso me le darà quando siamo a casa, in presenza di tutte le altre. Me le avesse date subito là, piuttosto che in presenza di tutte le altre... pazienza, meglio le botte in presenza delle altre che i denti del lupo o dello sciacallo!».

Le pecorine dormivano con un occhio solo, e stavano aspettando. A un certo punto sentono la voce del pastore, che canta. «Arriva, canta, vuoi dire che l'ha trovata». Stanno li, e chiudono allora tutt'e due gli occhi, e fanno finta di dormire tranquille. Pensano: «Adesso, almeno, una buona penitenza gliela darà, no?».

Il pastore arriva, posa la pecorina, l'accarezza e: «Va' Bianchina», le dice, «va' a far nanna, chissà come sei stanca, poverina; dormi tranquilla». Le altre non aprono neppure un occhio, e continuano a ruminare, come se dormissero tranquillamente. Il pastore prende due fiaschi, e va dagli amici, e dice: «Facciamo festa, avevo perduto la mia pecora e l'ho ritrovata!».

Sapete chi è la Bianchina?

 

(Racconto scritto da Giovanni Catti…diceva essere la storia che il cardinal Lercaro raccontava ai bambini)


III Domenica di Pasqua - 18.04.2021

Dal vangelo secondo Luca -24, 35-48

 - In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.

Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.

Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

 

- Il capitolo 24 conclude il vangelo di Luca.

  Vengono riportati quattro momenti come fossero accaduti nello stesso giorno.

- Prima le donne vanno al sepolcro.

- Poi Gesù si fa incontro ai due discepoli che scendono da Gerusalemme ad Emmaus.

- Appare agli undici e a quelli che erano con loro.

- Alza le mani, li benedice, viene portato nel cielo.

- Più che da fatti in grado di dimostrare l'accaduto, ogni episodio è caratterizzato da sentimenti

  ed emozioni…

- Le donne al sepolcro erano perplesse…non sapevano cosa fare, non vedevano una via

  d'uscita… Erano impaurite…col volto a terra.

- Pietro è meravigliato.

- I due discepoli di Emmaus erano tristi… senza testa e senza cuore.

- Gli undici e gli altri sono sconvolti, pieni di paura, turbati e pieni di dubbi…

- L'ultimo sentimento è la gioia…

- C'è sempre: un richiamo alle scritture e il legame tra il Gesù della Galilea e il Gesù che

  incontrano ora …

  È lo stesso, ma anche totalmente diverso.

- "Sono proprio io…"

  Eppure, tutte le volte c'è sempre una grande difficoltà a riconoscerlo.

- E' ciò che gli Ebrei hanno vissuto durante la Shoah. 

  La domanda che furono costretti a porsi fu: - E' possibile credere in Dio dopo aver

  vissuto una esperienza come questa? In quale Dio poi? Non può certo essere lo stesso!

- Non credo sia stata molto diversa l'esperienza di quel gruppo di discepoli che avevano

  conosciuto Gesù, poi l'hanno visto morire in quel modo…come potevano credere in lui e che

  Dio fosse per lui come un padre…"…era un profeta potente in opere e parole, davanti a Dio

  e a tutto il popolo…è stato consegnato perché fosse condannato a morte e crocifisso.

  Noi speravamo fosse lui a liberare Israele…".

- Dopo la sua morte e quel tipo di morte, tutto sembrava essere smontato:

  crollate tutte le speranze, tutti i progetti, tutti i sogni…

- Oggi forse ci troviamo in una situazione simile.

- Per molto tempo ci siamo aggrappati alle nostre radici cristiane, radici che avevano plasmato, formato, condizionato tutta la nostra cultura, di cui eravamo orgogliosi…poi è arrivata questa pandemia e ci ritroviamo che tutta una struttura religiosa è crollata. Anche molti dei nostri valori non trovano più spazio…

Cosa rimane della nostra impostazione religiosa, dei ritmi e tempi che scandivano le varie tappe ed età della vita? Sentiamo nostalgia delle folle che riempivano piazza san Pietro?

Aspettiamo che tutto torni come prima!?

Mai nulla è tornato come prima. Gesù è risorto, è vivo sì, ma non è più quello di prima…

- La fede dopo la Shoah sì, ma non poteva essere più quella di prima…

- La nostra religiosità sì…ma non potrà essere più quella di prima.

Ci sarà una continuità?

Nel capitolo 24 di Luca c'è una indicazione forte e chiara. "Aprì loro la mente all'intelligenza delle scritture…cominciando da Mosè, dai profeti e dai salmi…".

Credo che anche oggi dobbiamo riprendere in mano la scrittura e su questa rivedere il nostro modo di pensare Dio, la religione, i riti e i sacramenti…

Penso che volesse dire questo Luca quando mette in bocca a Gesù l'esigenza di convertirsi e di perdonare i peccati. Forse quando Gesù dice che non passerà una generazione prima che queste cose avvengano, voleva dire che ogni generazione deve fare i conti con un rinnovamento della propria fede! La storia è una serie infinita di crisi, ma riconoscere Gesù vivo, vuol dire anche fare della crisi una opportunità.

- La vita di Gesù: ciò che le sue mani hanno compiuto, le strade che i suoi piedi hanno percorso sono una lettura nuova della legge e dei profeti. Una antica preghiera del XIV secolo dice: "Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani per fare il suo lavoro oggi. Cristo non ha piedi, ha soltanto i nostri piedi per guidare gli uomini sui suoi sentieri".

 - "toccatemi…" Gesù aveva toccato importi (Lc.7,14) i lebbrosi (Lc.5,13) e li aveva riportati alla vita…toccarlo per riportarlo alla vita, riconoscerlo ed essere a loro volta contagiati dalla sua vita. Gesù risorto restituisce la corporeità ai suoi discepoli, li coinvolge in una comunione che implica le mani e i piedi.

Nell'episodio di questa domenica, Gesù, non spezza il pane, ma condivide del pesce arrostito…Forse anche le nostre eucarestie potrebbero ritrovare lo spirito giusto…è un parlare e un mangiare condividendo paure e dubbi…gioie e meraviglie…che poi ci sia del pane o del pesce forse non è così importante…Chissà!!!

- Avete qualcosa da mangiare…? Questa domanda di Gesù non vuole tanto dimostrare la sua corporeità o identità, ma è la domanda che l'umanità di ogni tempo rivolge alla religione.

Gli evangelisti, e Luca in particolare, rimproverano a tutti l'ignoranza, la chiusura mentale e del cuore…Non possiamo far finta che questa ignoranza non ci riguardi!

 - " …saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati…".

Qualcosa non solo superficialmente, ma radicalmente deve cambiare nella nostra cultura, vita e fede, a cominciare dal senso del peccato che non può essere il giudizio morale che la chiesa dà, secondo regole, spesso condizionate dal tempo e dallo spazio, ma va misurato in base alla coscienza.

"Di questo voi siete testimoni!".

Se non avremo questo coraggio, entusiasmo, rischiamo di vivere di nostalgia, ma senza speranza, senza voglia di rimettersi a correre…senza avere nulla da testimoniare!

Non serve a niente essere testimoni di cose morte…Gesù non voleva questo!

"Non ricordate più le cose passate,

non pensate più alle cose antiche!

Ecco, faccio una cosa nuova:

proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?". (Isaia 43,18-19)

" Ecco io faccio nuove tutte le cose!". (Apocalisse 21.9)

II Domenica di Pasqua - 11.04.2021

Bisogno - ferite - pace - perdono


 Dagli Atti degli Apostoli  -At 4, 32-35 

La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. 

Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. 

Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.



Dal vangelo secondo Giovanni  - Gv 20, 19-31

- "La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome". 




La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù...


… quando il sole tramonta e accarezza di buio la valle, in punta di piedi, come se non volesse disturbare... la resurrezione è qualcosa di intimo, qualcosa che germoglia dentro, al buio, nel silenzio.


Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.


- Dov'era Tommaso?


Io credo che Tommaso, lui che si era detto disposto a morire con Gesù, fosse là, dove c'era gente nel bisogno, gente ferita… era l'unico che non si era lasciato prendere dalla paura… Era là e non trovava la strada per portarequella pace che il maestro aveva promesso." Dove io vado voi conoscete la via!" -e Tommaso: "Signore, non sappiamo dove vai, come possiamo conoscerne la via?". Tommaso, voleva che le piaghe fossero prese sul serio. Non poteva credere che venissero dimenticate. Che la Resurrezione le avesse cancellate, sublimate.


- Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».


- Gesù non si è mai tirato in disparte di fronte alle ferite, ha sempre cercato di toccarle.Toccava e si lasciava toccare…questo è quello che voleva fare Tommaso.


In nome di questa vita, in nome del miracolo del nascere e del morire, in nome di chi ci ha creduto, in nome di ogni lacrima versata, di ogni violenza subita, di ogni ingiustizia… ma anche solo per me,che mi sono affezionato alle persone, che mi sono emozionato, che ho preso sul serio il compito di comprendere il dramma umano, anche solo per me: io non posso accontentarmi di una chiesa che dice “abbiamo visto il Signore”.


- Io ho visto, come tutti, le piaghe e il sangue. Io ho creduto, come tanti, che forse sarebbe stato meglio non nascere perché il dolore è davvero qualcosa di insostenibile e ingiusto. Io alla vita terrena ci credo, con atto di fede totale, ma non me ne faccio nulla di un Dio che abita un altro luogo, di uno che si dimentica del sangue e del dramma a cui siamo immersi. Ha ragione Tommaso! A cosa serve la ripetizione di parole di speranza che non hanno il coraggio di entrare nelle ferite del mondo? A cosa serve una fede che davanti al mio sepolcro, al mio dolore, che è sacro (e che non dovete mai osare mettere a confronto con il dolore di altri!) ripete con fastidiosa sicurezza che Dio esiste?


- Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 


Gesù le ferite se le è portate con sé. Anche oltre la morte. Io alle ferite ci credo, nel dolore ho una fede incrollabile, ho solo bisogno di trovare la via per entrarci e portare pace e perdono.


Tommaso cerca la strada per curare le ferite, vuole portare pace dove c'è solo sofferenza e miseria. Chiede a Dio che mostri le ferite non guarite, ma valorizzate.


In alcune culture orientali quando un oggetto si rompe, lo si ripara con l'oro. L'esito finale è un vaso con striature d'oro che lo rendono nuovo, diverso, unico. Valorizzare le ferite senza nasconderle può rendere l'oggetto ancora più bello e prezioso. Come le stelle che rendono più bello e prezioso il cielo, se è vero che le stelle sono le cicatrici dell'universo.


Il perdono è questo grande dono, curare con l'oro le ferite!


La fede è un atto di immersione nel vivere quotidiano. Alla luce di questo Vangelo, posso dire che il mio dolore non è dimenticato, che è preso sul serio, che Qualcuno non lo dimentica, lo custodisce. Ci soffia sopra, come una mamma. E come una madre mi dice di riprendere a camminare, e come una mamma mi dona la pace e il perdono per non vivere da risentito. Io mi fido solo di chi prende sul serio le ferite, di chi prende sul serio i bisogni! Le ferite ti diranno che hai veramente vissuto, sono segno prezioso di rinascita. La vita più vera è quella cosparsa di cicatrici!




Mio Signore e mio Dio” non saresti “mio” se non abitassi il mio dolore, i miei drammi, le mie angosce. Non saresti “mio” senza memoria della mia vita, di chi ho amato, di ciò che ho perduto. A me non interessa che altri ti abbiano visto, io voglio imparare a sentirti mio. Come ferita incisa per sempre nella mia carne. Mio non di possesso, ma di appartenenza: stringimi in te, stringiti a me. Mio, come lo è il cuore. E, senza, non sarei. Mio, come lo è il respiro. E, senza, non vivrei.


Allora: "beati quelli che non hanno visto, toccato e hanno creduto".


Le ferite, sembrano essere la prova che la religione non è capace di produrre salvezza. Ma nessuno che abbia lottato per la pace è stato esente da persecuzioni e spesso non ha visto o toccato i risultati sperati. Ma non si può credere nella risurrezione senza far coincidere questa fede con la speranza della pace, del perdono!


Beati, non sono quelli che hanno creduto senza aver visto, toccato Gesù, ma quelli che senza aver visto/toccato con mano i risultati di tante fatiche, lotte e croci, hanno continuato a credere che quella fosse la vita.


Queste cose sono state scritte perché abbiate la vita…

Pasqua - 04.04.2021

Marco 16,1-8

 - "Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù.  Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?».  Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande.  Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero spavento.  Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto.  Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto».  Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura".

 - "Tre donne …" sono quelle che avevano seguito Gesù dalla Galilea, lo avevano servito ed erano slitte con lui fin sul calvario…

 - "Portavano con sé oli aromatici…"potrà un profumo spostare una pietra!?…ma non sarà la bellezza a salvare il mondo, piuttosto siamo noi che dobbiamo salvare la bellezza…come non siamo noi  cercare la felicità, ma solo proteggerla…

 - "Di buon mattino, il primo giorno, al levar del sole…" anche troppe indicazioni di tempo…non sembrano persone tristi, disperate …vanno incontro alla luce… c'è speranza in loro, si lasciano avvolgere dalla luce, dal nuovo giorno…

 - "la pietra…"pasqua è la festa di pietre che rotolano, spostate!

 - "Guardando" in alto, attraverso e dentro…videro!…E' un guardare la croce e vedere oltre…

 - "Entrare nel sepolcro"…senza profanarlo…con mitezza, senza violenza...

 - "Un giovane…"il mondo intero è nuovo fresco, giovane…sono belli i sogni dei dei giovani…mai come oggi abbiamo bisogno dei loro sogni, che illuminino le nostre vite…Ricorda quel giovane che ha seguito Gesù avvolto in un lenzuolo e che una volto preso lascia il lenzuolo e fugge via nudo, libero…è la libertà dei giovani che può portare nuova luce a questo tempo…

 - "Turbamento - timore - stupore - paura …"Si passa da chi resta a bocca aperta come un bambino che guarda attonito davanti ad una visione inaspettata a chi è preso da una potentissima emozione o rapimento/estasi ad una paura dovuta forse alla troppa emozione ….forse gli ingredienti di quei profumi, forse ciò che caratterizza la vita di chi cerca con amore, di chi sa che il tempo dell'amore è più lungo del tempo della vita…

 - "Voi cercate…"inadeguatezza delle nostre ricerche…ad accogliere tutte le manifestazioni della vita.

 - "E' risorto…non è qui…" la morte non ha alcun potere…e noi non lasciamoci prendere dalla tentazione di riempire quel vuoto…          "Non c’è nulla che possa sostituire l’assenza di una persona a noi cara…

Ciò può sembrare a prima vista molto difficile, ma è al tempo stesso una grande consolazione, perché finché il vuoto resta aperto si rimane legati l’un l’altro per suo mezzo.

È falso dire che Dio riempie il vuoto; Egli non lo riempie affatto, ma lo tiene espressamente aperto, aiutandoci in tal modo a conservare la nostra antica reciproca comunione, sia pure nel dolore.

Ma la gratitudine trasforma il tormento del ricordo in una gioia silenziosa.

I bei tempi passati si portano in sé non come una spina, ma come un dono prezioso.

Bisogna evitare di avvoltolarsi nei ricordi, di consegnarci ad essi; così come non si resta a contemplare di continuo un dono prezioso, ma lo si osserva in momenti particolari e per il resto lo si conserva come un tesoro nascosto di cui si ha la certezza.

Allora sì che dal passato emanano una gioia e una forza durevoli".  Dietrich Bonhoeffer

- "Andate   dite…vi precede…"la vita è sempre oltre…Vi precede: avanza alla testa della lunga carovana dell'umanità incamminata verso la vita; cammina davanti, ad aprire l'immensa migrazione verso la terra promessa...in Galilea…che non è un ritorno al passato, ma una terra che Dio volta per volta indicherà come ad Abramo…ditelo in silenzio!

 - "Ed esse, uscite, fuggirono, e non dissero niente a nessuno…"strana conclusione…fragilità della resurrezione! Ma se credo nella resurrezione è solo perché persone piene di "turbamento-timore-stupore e paura" hanno lottato, amato, gioito per la vita senza clamore fuggendo dai "sepolcri". C'è, ma va cercato fuori dal territorio delle tombe, in giro per le strade, per le case, dovunque, eccetto che fra le cose morte: "lui è in ogni scelta per un più grande amore, è nella fame di pace, negli abbracci degli amanti, nel grido vittorioso del bambino che nasce, nell'ultimo respiro del morente" (G. Vannucci).

 "Il Vangelo di Pasqua ci racconta che nella vita è nascosto un segreto che Cristo è venuto a sussurrarci amorosamente all'orecchio. Il segreto è questo: c'è un movimento d'amore dentro la vita che non le permette mai di restare ferma, che la rimette in moto dopo ogni morte, che la rilancia dopo ogni scacco, che per ogni uomo che uccide cento ce ne sono che curano le ferite, e mille ciliegi che continuano ostinatamente a fiorire. Un movimento d'amore che non ha mai fine, che nessuna violenza umana potrà mai arrestare, un flusso vitale dentro al quale è presa ogni cosa che vive, e che rivela il nome ultimo di Dio: Risurrezione". (Ermes Ronchi)

Domenica delle Palme - 28.03.2021

Lettura della passione secondo Marco 14,1-15,47

 

SE  FOSSI…

- Se io fossi una pietra…

potrei essere una pietra della strada che porta a Gerusalemme. Sentii un gran tumulto di passi, tutti accorrevano e volevano vederlo da vicino. Non sapevo chi fosse, ma capii subito che si trattava di una personalità. C'era molta eccitazione, le donne portavano anche i bambini. Sembrava una grande festa. Qualcuno ebbe l'idea di prendere delle fronde e di sventolarle in segno di benvenuto e subito tutti imitarono e il passaggio divenne tutto una palma.

Le grida diventarono sempre più gioiose e presto si tramutarono in canti: "Osanna! Osanna! Benedetto!"

Quando fu vicino a me e finalmente lo vidi, rimasi stupita: mi sarei aspettata di essere calpestata dalle ruote di una carrozza o dagli zoccoli di un cavallo…invece si presentò in tutto un altro modo. Le autorità erano infastidite dall'affetto che riceveva e gli chiesero di mettere fine agli schiamazzi. Ma lui rispose che sarebbe stato inutile. Mi piacque come lo disse! E anch'io cominciai a cantare.."Osanna! Benedetto!".

 - Se io fossi un capello…

Potrei essere un capello di Gesù.Troppo facile essere il profumo! No, io sono un capello. Il capello unto, sudato, appiccicoso di uno che non ha dove posare il capo spesso dorme in ripari polverosi. Il capello di uno che ha fatto molta strada e ora è ospite di un lebbroso. Non credo si aspettasse il gesto di quella donna , ma era proprio quello che ci voleva! Fu una cosa così affettuosa, così gratuita… il profumo certo si dissolve in fretta, ma la dolcezza di quell'attenzione premurosa rimase nel suo cuore.

 - Se io fossi una stanza…

Potrei essere quella al piano superiore. arrivarono per la Pasqua, ma fu una cena strana. Il maestro disse delle frasi che i suoi non capirono. A un certo punto discussero e un paio anche gridarono! Ma prima di uscire cantarono insieme, per la tradizione certo, ma anche per sentirsi ancora uniti e in pace. Cantare insieme agli amici fu il suo ultimo gesto da uomo libero.

 - Se io fossi erba…

Potrei essere l'erba del Getsemani. Stanchi e appesantiti dalla cena, si sedettero appoggiandosi agli ulivi e quasi subito si addormentarono, dimenticando le parole udite poco prima. Lui no. Si appartò per pregare, ma fu una cosa molto sofferta. Sconvolto, tornò dai suoi amici in cerca di conforto…dormivano. Pregò ancora. Pregò con tutto se stesso. Si tormentò. Pianse. Mi afferrò fino a stritolarmi. Su me caddero gocce di sudore e anche di sangue.

 - Se io fossi un filo…

Potrei essere un filo della tunica di Pietro. Era seduto vicino a un fuoco e sentivo il suo corpo scaldarsi. Poi qualcuno lo riconobbe e lui si spaventò. Lo sentii diventare gelido. Negò. Ma quelli insistevano. Negò ancora e ancora. Quando sentì il canto del gallo, capì. Un caos di pensieri e sentimenti lo attraversò da capo a piedi…ne avverto ancora il fremito. Poi incrociò lo sguardo del suo amico e maestro e sentì che lui lo amava ancora. Lo amava lo stesso. Ora sono un filo impregnato di terrore, vergogna e dolore.

 - Se io fossi una spina…

potrei essere una spina della corona di Gesù. Sono nata per difendere una rosa. Invece mi hanno strappata e mi usano per ferire. Con noi si costruiscono con cattiveria fili spinati per tenere rinchiuse e separate le persone. Vorrei tornare a difendere le rose. il loro colore e profumo, la loro delicatezza e bellezza.

Ma quel giorno mi hanno intrecciata insieme ad altre spine e ci hanno spinto sul suo capo. Spinto fino in fondo, fino a conficcarsi facendolo sanguinare. Tutti intorno ridevano, , urlavano, travolti e sostenuti da un delirio collettivo. Poi le percosse gli sputi… in tutto quell'orrore pensai che gli uomini hanno proprio bisogno delle rose e non dovrebbero buttarle per tenere le spine.

Infine la croce, i chiodi, le derisioni… tirai un sospiro di sollievo quando, finalmente, morì.

 - Se io fossi un masso…

Potrei essere il masso che chiude il sepolcro. Ho custodito il suo corpo, nel buio e nel silenzio. Non sapevo che stessi custodendo anche l'attesa.

Poi un'improvvisa luce e io, non so come. rotolai.E l'attesa si aprì a una vita nuova, una vita oltre. Occasione di speranza e libertà. Per tutti.

 - Roberta Marsiglia

 

La fedeltà che rende davvero liberi

 Quando la vita di Gesù si trasforma in tragedia, un giovane osservava, di nascosto, tutto quello che stava accadendo. Vide quell'uomo, solo, triste da morire. Vide arrivare "uno dei dodici, accompagnato da una folla con spade e bastoni". Vide quando lo presero, lo legarono e lo conducevano ai capi religiosi, suoi nemici dichiarati

"Tutti allora, abbandonandolo, fuggirono. Un giovanetto però lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo, e lo fermarono. Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo"mino. (Marco 14, 51-52).

Quante congetture su questo personaggio senza nome, che simpaticamente si insinua nel dramma della cattura del Signore! Ognuno può ricostruire, con la propria immaginazione, i motivi che lo portano a seguire Gesù, mentre gli apostoli lo abbandonano alla sua sorte. Penso che se Marco gli fa posto nel suo Vangelo, non lo fa soltanto per esattezza di cronista. Infatti, l’episodio viene dopo le paurose parole, che concordemente si leggono sulla bocca dei quattro evangelisti: «allora tutti, abbandonandolo, fuggirono» (Marco 14,50). Quel giovane, invece, continua a seguirlo. Curiosità, bravura, o coraggio vero? Nell’animo di un giovane non è facile far la cernita dei sentimenti. D’altronde, certe analisi non giovano né alla conoscenza, né all’azione. È onorevole per lui e mortificante per noi se egli continua a tener dietro all’Arrestato, senza badare agli apostoli che lo abbandonano e al pericolo cui va incontro dimostrandosi solidale con chi, secondo la legge, non ha più diritto a solidarietà alcuna. Il Signore non può neppure ringraziarlo con uno sguardo, perché la notte inghiotte le ombre e confonde il passo degli amici nel rumore della masnada; ma il suo Cuore divino, che avverte ogni più tenue devozione, trepida e gode di questa fedeltà senza nome. La fretta gli ha persino fatto dimenticare di vestirsi. Si era buttato addosso un lenzuolo e senza badare a convenienze, si era messo sulla strada, dietro il Maestro. Chi vuol bene non cura il decoro, e capisce l’urgenza senza molte descrizioni o incitamenti. Il cuore lo porta all’azione e allo sbaraglio, senza chiedersi se l’intervento sia utile o meno. Vi sono attestazioni che valgono indipendentemente da ogni considerazione di utilità pratica.– Stupido, non puoi salvare il Maestro! E poi, che bella figura! Non sei nemmeno vestito. Se i suoi seguaci sono così equipaggiati! … Questo è il buon senso che parla, e come dargli torto se, un attimo dopo, il giovane sconsigliato lascia il lenzuolo nelle mani delle guardie, che l’avevano agguantato, e scappa nudo? – Bel coraggio! Avete ragione, troppa ragione. Però gli altri, gli apostoli, per scappare non hanno neppure atteso che li agguantassero. Lui, almeno, ha dato ai nemici del Signore l’impressione inquietante che qualcuno gli volesse ancora bene e fosse disposto a tentare qualcosa per salvarlo. E ciò che li deve avere ancora più sconcertati, fu il trovarsi in mano, invece di un uomo, un lenzuolo. Anche la beffa ha la sua morale, come la favola. E la morale è questa: che quando un cristiano non ha che un lenzuolo, è inafferrabile; mentre i cristiani benestanti fanno fatica a disimpegnarsi e restano facile preda dei più abili, che finiscono per comprometterli ovunque. Quel giovane se ne va nudo nella notte. Non ha salvato il proprio decoro, ha però salvato la propria libertà, il suo impegno con Cristo. L’indomani, ai piedi della Croce, vicino alla Madre, alle donne e al Discepolo prediletto, egli sarà presente, primizia di quei cristiani generosi che, in ogni tempo, hanno reso a Cristo e alla sua Chiesa la più inquietante testimonianza.

Don Primo Mazzolari

V domenica di Quaresima - 21.03.2021

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».

Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità,

in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome».

Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».

La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire. Allora la folla gli rispose: «Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno; come dunque tu dici che il Figlio dell'uomo deve essere elevato? Chi è questo Figlio dell'uomo?». Gesù allora disse loro: «Ancora per poco tempo la luce è con voi. Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce credete nella luce, per diventare figli della luce».

Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose da loro.

Parola del Signore

 


 - Era vicina la Pasqua. alcuni greci, saliti a Gerusalemme chiedono di vedere Gesù.

Vedere, uno dei verbi che ritorna più spesso, nel vangelo di Giovanni.

Vedere è conoscere, è credere.

All'inizio si era detto: "Dio, nessuno l'ha mai visto,  Gesù ne è l'immagine più vera". Lo stesso si potrebbe dire dell'uomo: nessuno lo ha mai visto, Gesù ne è l'immagine più vera! - Poi quando i primi due discepoli vanno dietro a Gesù e gli chiedono dove abita: lui risponde venite e vedete. Andarono e videro. Giovanni al sepolcro vide e credette.

Vedere Gesù, vedere Dio, vedere l'umano più umano,  è la domanda di sempre.

 L'evangelista impiega più verbi per esprimere livelli sempre più profondi di un vedere che conduce alla fede.

BLEPO: che indica la vista fisica: vedere una pietra, un telo, un sudario.

ORAO: che indica la vista interiore, quella della fede, di colui che afferra un fatto e lo comprende.

TEOREO: significa percepire, comprendere a fondo una realtà, contemplare.

Un po' come viso-volto-faccia indicano la stessa cosa, ma con sfumature molto diverse: il vedere, il voltarsi, cambiare direzione, convertirsi e il fare.

Tutti potevano vedere Gesù, ma c'è un vedere e vedere. L'innamorato del Cantico dei Cantici dice all'amata: "mostrami il tuo volto, fammi sentire la tua voce!".

C'è un viso più segreto, una voce più segreta da scoprire.

C'è un po' di tutto questo nel desiderio di vedere di questi greci.

- Gesù risponde con una piccola parabola: vedranno solo un chicco di grano caduto in terra! Ogni uomo, e donna sono chicchi di grano seminati nei solchi della storia, nella terra arida del proprio lavoro, nella terra amara delle domande senza risposta. Stare nel buio e poi risvegliarsi, uscire dalle zolle, nella luce. Gesù racconta la parabola come la verità della sua vita, il segreto della vita.

Io sono questo chicco di grano, anche tu sei come un chicco di grano.

Fa' della tua vita un dono, perché chi la vita se la tiene stretta, la perde, chi invece la dona, la ritrova. La persona si realizza nella misura in cui ha la capacità di donarsi.  Chi non dà niente vuol dire che non ha niente. Vivere è dare, spendere, consumare la vita. - "Cosummatum est" - sono le ultime parole di Gesù sulla croce! Tuo è solo ciò che hai donato. Come accade per l'amore: è tuo solo se è per qualcuno. Nella terra ciò che accade non è la morte del seme, ma un lavorio infaticabile e meraviglioso, una donazione continua e ininterrotta, vero dono di sé: la terra dona al chicco i suoi elementi minerali, il chicco offre al germe se stesso in nutrimento, come una madre offre al bimbo il suo seno. E quando il chicco ha dato tutto, il germe si lancia all’intorno con le sue radici affamate di vita, si lancia verso l’alto con la punta fragile e potentissima delle sue foglioline. Allora il chicco muore sì, ma nel senso che la vita non gli è tolta ma trasformata. “Quello che il bruco chiama fine del mondo tutti gli altri chiamano farfalla” (Lao Tze) Il verbo principale che regge la parabola del seme è «produce frutto». La chiave di volta che regge il mondo, dal chicco a Cristo, non è la vittoria del più forte ma il dono.

 - Poi dalla parabola passa alla realtà: il chicco di grano caduto in terra è come quell'uomo sulla croce piantata in terra. Quest'uomo sulla croce è il centro di gravità in cui è svelato il senso ultimo della vita e il senso vero di Dio. " Veramente quest'uomo era giusto…veramente quest'uomo era figlio di Dio…!".Tutti quelli che cercano di vedere, dovrebbero essere attratti da quest'uomo!

Da qui nasce un modo di vedere la vita che non è scritto in nessuna legge, in nessun codice, perché il codice in cui è scritta è il cuore dell'uomo, la sua coscienza. E' qualcosa di nuovo  e che si rinnova di continuo, come ogni relazione ha bisogno, per restare viva di rinnovarsi continuamente.

La prima lettura di questa domenica riporta queste parole del profeta Geremia: "Ecco, verranno giorni nei quali con la casa d’Israele concluderò un’alleanza nuova…   porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: «Conoscete il Signore», perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande".

La legge iscritta nel cuore di ogni essere è che tutto è in relazione. La vita non è un bene di consumo, ma un servizio. C'è un legame, tra tutte le cose, e tutti gli esseri viventi:  ciascuno è a servizio dell'altro. C'è una legge interiore, una forza intrinseca al seme, da seguire, da servire, accessibile a tutti: ai poveri, ai miti, agli operatori di pace, agli afflitti…

 Questa alleanza fra tutte le creature non è scritta in un libro, neppure nella bibbia o nel vangelo, tanto meno nei dogmi:  questa parola è stata consegnata agli analfabeti. C'è una legge, non scritta, insita nel cuore di ogni essere vivente o inanimato: tutto è relazione! E' una specie di codice genetico scritto nel cuore, nella coscienza.

Questa alleanza ha il suo sigillo nella croce: la morte ingiusta del Figlio dell'uomo: "in quel momento attirerò tutti a me".

Quando avremo superato tutti i nostri schemi, le nostre convinzioni ideologiche, i nostri dogmi, le nostre raffigurazioni emotive di Dio, i nostri principi morali allora potremmo essere attratti da questa specie di centro di gravità che è il figlio dell'uomo senza etichette, l'uomo concreto che ha paura della morte, di fronte alla quale grida, piange, la rifiuta!

La sofferenza ingiusta di un innocente è il centro di gravità, dove chi vuol vedere la vita, conoscere Dio, capire il senso dell'esistenza viene attratto. Se non si è attratti da questo centro, se non ci si lascia giudicare da questo fatto, si resta fuori dall'essere.

L'episodio finisce con Gesù che "se ne andò e si nascose da loro!". Come il chicco di grano nella terra, come l'uomo sulla croce, il cui volto-viso-faccia è irriconoscibile!

L'essenziale è invisibile agli occhi!

C'è sempre un infinito da scoprire! "Se uno vuol servire, mi segua

 

  

mio caro bambù

leggenda cinese

 C'era una volta un bellissimo, un meraviglioso giardino. Era situato ad ovest del paese, in mezzo al grande regno. Il Signore di questo giardino aveva l'abitudine di farvi una passeggiata ogni giorno, quando il caldo della giornata era più forte.

 C'era in questo giardino un bambù di aspetto nobile. Era il più bello di tutti gli alberi del giardino e il Signore amava questo bambù più di tutte le altre piante. Anno dopo anno, questo bambù cresceva e diventava sempre più bello e più grazioso. Il bambù sapeva bene che il Signore lo amava e ne godeva.

 

Un bel giorno, il Signore. molto in pensiero, si avvicinò al suo albero amato e l'albero, in grande venerazione, chinò la sua testa. Il Signore gli disse: "Caro Bambù, ho bisogno di te". Sembrò al bambù che fosse venuto il giorno di tutti i giorni, il giorno per cui era nato. Con grande gioia, ma a bassa voce, il bambù rispose: "O Signore, sono pronto. Fa di me l'uso che vuoi".

 "Bambù", la voce del Signore era seria, "perchè tu possa servire, devo abbatterti". Il bambù fu spaventato, molto spaventato: "Abbatterrni, Signore, me che hai fatto diventare il più bell'albero del tuo giardino?". "No, per favore, no! Fa uso di me per la Tua gioia, Signore, ma per favore, non abbattermi".

 "Mio caro bambù" disse il Signore, e la sua voce era più seria. "se non posso abbatterti, non puoi servire". Nel giardino, ci fu allora un gran silenzio. Il vento non tirava più. gli uccelli non cantavano più. Lentamente, molto lentamente, il bambù chinò ancora di più la sua testa meravigliosa. Poi sussurrò: "Signore. se non puoi usarmi senza abbattermi, fa di me quello che vuoi e abbattimi".

 "Mio caro bambù", disse di nuovo il Signore,'.non devo solo abbatterti, ma anche tagliarti le foglie e i rami. '.0 Signore".disse il bambù, "Non farmi questo. Lasciami almeno le foglie e i miei rami". "Se non posso tagliarti, non puoi servire".

 Allora il sole si nascose e gli uccelli ansiosi volarono via. Il bambù tremò e disse appena udibile: "Signore, tagliali!"

 "Mio caro bambù, devo farti ancora di più. Devo spaccarti in due e strapparti il cuore. Se non posso fare questo non posso usarti". Il bambù non poté più parlare. Si chinò fino a terra.

 Così il Signore del giardino abbattè il bambù. tagliò i rami, levò le foglie, lo spaccò in due e ne estirpò il cuore. Poi portò il bambù alla fonte di acqua fresca vicino ai suoi campi inariditi. Là, delicatamente, il Signore dispose l'amato bambù a terra; un'estremità del tronco la collegò alla fonte; I'altra la diresse verso il suo campo arido.

 La fonte dava l'acqua, l'acqua si riversava sul campo che aveva tanto aspettato. Poi fu piantato il riso, i giorni passarono, la semenza crebbe e il tempo della raccolta venne. Così il meraviglioso bambù divenne realmente una grande benedizione in tutta la sua povertà e umiltà. Quando era ancora grande e bello e grazioso, viveva e cresceva solo per sé stesso e amava la propria bellezza. Al contrario. nel suo stato povero e distrutto, era diventato un canale. che il Signore usava per rendere fecondo il suo regno.

IV domenica di Quaresima - 14.03.2021

Giovanni 3,1-21

 C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei.  Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui».  Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio».  Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio.  Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito.  Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto.  Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito». Replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose?  In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza.  Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo.  E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.  Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.  Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.  Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere.  Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.

 

 - Un uomo, di nome Nicodemo, capo dei farisei viene da Gesù di notte.

Forse era timido, forse si vergognava…un capo non deve avere dubbi!

Forse, mischiato tra la folla, aveva ascoltato quel giovane maestro  e il suo entusiasmo lo aveva colpito. Forse aveva risvegliato i suoi sogni di quando era ragazzo!

Da quanto tempo non faceva più qualcosa con entusiasmo?

Quel maestro parlava con entusiasmo!

Forse questo lo spinse ad andare a cercarlo, di notte. Una notte più interiore che esteriore.

 - Ogni ricerca vera parte dalla consapevolezza dei propri limiti, delle proprie paure, del buio che ci portiamo dentro. Avrebbe potuto ascoltarlo in pubblico, avrebbe potuto raccogliere informazioni su di lui e sulle dottrine che insegnava, avrebbe potuto convocarlo per un confronto insieme ad altri maestri.

Nella sua «ricerca» Nicodemo vuole invece un incontro senza mediazioni, libero dai condizionamenti. Sceglie  il sentiero dell’incontro, la via del dialogo e del confronto, della relazione personale.

Nicodemo, uomo di paure, scivola da Gesù furtivo tra le ombre della sera. E Gesù non giudica, non condanna, rispetta la paura di Nicodemo, paziente con le sue lentezze. È un germoglio, un timido avvio, il preludio o la promessa di qualcosa che potrebbe nascere.

 - Inizia il dialogo: Nicodemo parte dalla sua posizione legato ai suoi schemi interpretativi. Gesù sembra scuotere Nicodemo con una forte provocazione: «Cosa sei venuto a fare? Cosa ti interessa davvero?  Vuoi o non vuoi puntare a ciò che è essenziale?»

Perché ciò si realizzi deve però accadere una rottura. C’è un radicale ricominciamento da operare, anzi, da lasciare che accada perché esso è tutta opera di un Altro.

Gesù annuncia a Nicodemo che c’è un nuovo inizio da accogliere. L'obiezione di Nicodemo è carica di ironia ma anche tipica del gioco di fraintendimenti con cui Giovanni spesso fa procedere i suoi discorsi.

Emerge però con chiarezza qual' è l’orizzonte nel quale Nicodemo è abituato a muoversi: quello meramente terreno. Nei ristretti confini di ciò che è visibile e tangibile, in effetti, non è plausibile alcuna rinascita.

La risposta di Gesù  lo spinge a credere a un’esistenza più vasta, a un’offerta di vita più ampia e profonda, a credere a desideri, bisogni, passioni, speranze, sogni, progetti… che abbiano il coraggio di sconfinare oltre la misura sempre limitata dei nostri mezzi, delle nostre mediocrità, delle nostre fragilità.

È disposto a credere che si può cercare dove mai avrebbe pensato si potesse?

L’immagine del vento che gioca sulla sovrapposizione con lo Spirito ci fa avvertire l’intenzione di Gesù di liberare Nicodemo dai legacci che imbrigliano la sua ricerca.

 - Come Mosè innalzò il serpente…

  Tra gli animali della bibbia,  il serpente occupa un posto di rilievo. È un animale con una forte carica simbolica anche in antiche civiltà. La terra è sacra e quindi l'animale che più di ogni altro è a contatto con la terra in qualche modo è sacro. Cambia pelle ogni anno quindi è segno di una vita che si rinnova, ha due occhi penetranti capaci di ipnotizzare la preda, con il suo rapidissimo strisciare rappresenta la rapidità, la sveltezza e anche l'astuzia. Gesù dirà «Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt.10,16). È un animale per così dire ambivalente, vita e morte nel serpente si intrecciano, si fondono. 

 Non è quindi un caso che sia diventato simbolo della medicina. Esculapio, il prototipo del medico, è ritratto nella mitologia greca con un serpente perchè simbolo di vita e di morte.

C'è quel verbo ebraico "nabat" che  significa  alzare lo sguardo! E' lo stesso che troviamo nel famoso episodio, in cui Dio disse ad Abramo :«Guarda il cielo e conta le stelle se le  puoi contare...».  Un commento rabbinico, traduce il verbo "nabat" con trasportare in alto. Ovvero Dio avrebbe portato Abramo su in alto,  permettendogli così di guardare al suo passato, alla sua storia da un nuovo punto di vista.

Potremmo quindi dire che quel guardare in alto dirigendo lo sguardo al serpente di rame ritto sull'asta significa assumere un nuovo punto di vista.

 Il serpente è l'immagine di ciò che ci tiene legati alla terra, ciò che spinge l'uomo verso la rinuncia ai suoi sogni, aspirazioni della sua coscienza. Spinge a vivere una vita nella sua dimensione solo orizzontale, terrena. Cristo sulla croce ci spinge ad alzare lo sguardo, a non abdicare alla nostra verità di figli di Dio e di figli dell'uomo, innalzando la terra al cielo.

Nicodemo ha speso la sua vita, sino a questo momento, nel contesto culturale della legge, ora è chiamato a fare un salto di qualità, nell'orizzonte della gratuità.

Non basta dire: "siamo troppo vecchi…troppo giovani", l'umanità è vecchia…la chiesa è vecchia!

E' tempo di fare i conti con questa nostra paura di nascere, ri-nascere, ri-sorgere.

E' tempo di avere il coraggio di spingere i nostri desideri oltre i confini della "carne", al di là degli orizzonti del visibile, delle logiche dal basso in cui è facile invischiarsi.

Quella notte, Gesù, forse indicò a Nicodemo una via di liberazione, di una possibile pasqua. Tentò di convincerlo che noi siamo desiderio di pace, di benevolenza, di amicizia e di schietta umanità. Siamo condivisione e accoglienza, "casa" gli uni degli altri.

"Chi fa la verità, viene alla luce…"

La verità è silenziosa, non ha parole. La parola può essere un tramite, ma la verità si coglie solo se noi apriamo la parola che ascoltiamo, come si apre un frutto e ci entriamo dentro. La verità istituzionale, non può fare ombra alla verità primordiale che, cioè, ogni creatura che è nell'universo è fratello e sorella.

 - "Dio ha tanto amato il mondo da dare la vita…"

Non solo l'uomo, ma è il mondo che è amato, la terra è amata, e gli animali e le piante e la creazione intera. E se egli ha amato la terra, anch'io la devo amare, con i suoi spazi, i suoi figli, il suo verde, i suoi fiori.. E se Egli ha amato il mondo e la sua bellezza fragile, allora anche tu amerai il creato come te stesso, lo amerai come il prossimo tuo: «mio prossimo è tutto ciò che vive» (Gandhi).

Tutta la storia biblica inizia con un “sei amato” e termina con un “amerai” (P. Beauchamp).

Dio non ha mandato il Figlio per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato, perché chi crede abbia la vita. A Dio non interessa istruire processi, Dio non è a misura di tribunale, ma a misura di fioritura e di abbracci.

"Se potrò impedire a un cuore di spezzarsi, non avrò vissuto invano. Se potrò alleviare il dolore di una vita o lenire una pena, o aiutare un pettirosso caduto a rientrare nel suo nido non avrò vissuto invano". (Emily Dickinson)

 

- Lentamente muore

Lentamente muore

chi diventa schiavo dell'abitudine,

ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,

chi non cambia la marca,

chi non rischia di vestire un colore nuovo,

chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,

chi preferisce solo nero su bianco

e i puntini sulle "i"

piuttosto che un insieme di emozioni,

proprio quelle che fanno brillare gli occhi,

quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,

quelle che fanno battere il cuore

davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore

chi non capovolge il tavolo,

chi e' infelice sul lavoro,

chi non rischia la certezza per l'incertezza

per inseguire un sogno,

chi non si permette

almeno una volta nella vita

di fuggire ai consigli sensati.

 

Lentamente muore chi non viaggia,

chi non legge,

chi non ascolta musica,

chi non trova grazia in sé stesso.

Muore lentamente,

chi distrugge l'amor proprio,

chi non si lascia aiutare.

Muore lentamente,

chi passa i giorni a lamentarsi

della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore,

chi abbandona un progetto

prima di iniziarlo,

chi non fa domande

sugli argomenti che non conosce,

chi non risponde

quando gli chiedono

qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,

ricordando sempre che essere vivo

richiede uno sforzo

di gran lunga maggiore

del semplice fatto di respirare.

Soltanto l'ardente pazienza porterà

al raggiungimento

di una splendida felicità.

 

Martha Medeiros

 


III domenica di Quaresima - 07.03.2021

 Dal Vangelo secondo Giovanni - 2,13-25

 

 "Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».

Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.

Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo".

 


 -Il tempio in tutte le culture rappresenta il centro della vita. Al centro di una città, paese ci sta il tempio. Il tempio non è solo luogo di culto, ma rappresenta il mondo dei valori attorno ai quali si struttura la vita di una comunità.

Gesù incomincia dal tempio, dal mondo dei valori per i quali noi viviamo.

Al suo primo impatto con i suoi discepoli gli viene chiesto:"dove abiti?".

Prima li conduce ad una festa di nozze e poi nel tempio di Gerusalemme e lì cerca di cacciare fuori, di condurre fuori tutti, come fa il pastore con le pecore, o come farà alla fine con Lazzaro.

Si parla di zelo, di gelosia, di un Gesù che sembra violento,  ma la sua è più una passione d'amore che un gesto di violenza…solo l'amore giustifica una reazione del genere!

"Non fate della casa del Padre mio un mercato!"

- Ma le case del Padre di Gesù sono diverse: prima di tutto il creato - la nostra casa comune -.

Quando l'uomo sfrutta in modo sconsiderato le risorse della natura; quando ne provoca la ribellione violentando i ritmi; quando produce un inquinamento che l'atmosfera non è più in grado di assorbire: questa casa diventa un mercato, che rischia di distruggere la casa!

 - C'è poi un'altra abitazione che è il corpo di Gesù, un corpo che si identifica col pane: frutto,  figlio della terra e del lavoro dell'uomo che tutti hanno il diritto di mangiare, senza che questo diventi il prezzo della schiavitù. "Prendete e mangiatene TUTTI".

Il Pane non può essere oggetto di mercato!

 - E poi c'è il nostro stesso corpo - Noi siamo dimora di Dio. Ogni attentato alla vita trasforma questa casa in un mercato. Quante vite accantonate e soppresse per esigenze di mercato, per motivi di guadagno e di convenienza!

Nel tempio si è insediato il mercato e il denaro ne è diventato l'idolo da adorare!

Il gesto di Gesù ha rotto un sistema in maniera irreversibile. Il fatto che oggi le chiese siano vuote di giovani, di poveri, di chi porta sulle sue spalle il peso di vivere, indica che queste categorie di persone non si identificano più in quel Dio, in quel sistema di valori che fanno sentire l'uomo schiavo e escono da quel luogo, la cui porta è stata forzata con violenza.

- Oggi viviamo come in esilio. Esilio significa perdita di un luogo dove abitare, dove, celebrare  i nostri valori, esprimere la nostra identità. Cerchiamo un tempio dove ri-nascere.

Ma questo non significa ricostruire dei luoghi sacri, ma costruire dei luoghi dove tutti possano stare. Gesù caccia fuori dal tempio, perché il tempio non può essere un luogo ristretto, chiuso…

Un luogo sacro non si deve inventare, ma scoprire, deve essere un luogo abitato non solo da noi, ma da altri…da altro!

Il tempio siamo noi nella capacità di incontro.

Prima del tempio in Israele esisteva la "tenda dell'incontro."

E' l'incontro e non la struttura, che fa di un luogo un tempio che trasforma la vita.

Il luogo, senza "l'incontro" resta vuoto anche se ci siamo noi dentro!

Nella nuova Gerusalemme descritta nell'Apocalisse non c'è tempio, ma un Agnello, come nelle nostre chiese il Pane: simboli che richiamano la vita di chi ha portato su di sé la fatica di nascere e di vivere.

Allora il tempio è il luogo dei legami, non solo quelli tra di noi, ma di quei legami aperti a questo ambiente grande che è tutto l'ecosistema.

Legame è sinonimo di relazione, di trasmissione. Il legame ha bisogno del corpo. Creare dei legami è un lavoro di tessitura. Tutto l'universo ha bisogno di tessere dei legami. Il corpo è il telaio…

E questo non deve avere limiti…il nuovo tempio che si dovrà creare dopo questo esilio non sarà di un popolo, di una religione, ma di una moltitudine immensa che nessuno potrà contare…

 Abramo fu benedetto da Dio perché diventasse Padre di una moltitudine…non solo di un popolo!

 

 "La mia parola è come le stelle, esse non impallidiscono.

Come potete comprare o vendere il cielo, il calore della terra? Quest’idea ci è estranea. Noi non siamo padroni della purezza dell’aria o dello splendore dell’acqua. Come potete allora comprarli da noi?  Questa terra è sacra per il mio popolo. Ogni foglia rilucente, tutte le spiagge di fine sabbia, ogni velo di nebbia nelle foreste scure, ogni bagliore di luce e tutti gli insetti che vibrano sono sacri nelle tradizioni e nella coscienza del mio popolo. Che specie di vita è quella in cui l’uomo non può udire la voce del corvo notturno o il dialogare dei rospi di notte? Che luogo è quello dove non si possa udire lo sbocciare delle foglie in primavera o il tintinnare delle ali degli insetti, il soave sussurro della brezza sullo specchio d’acqua ed il proprio odore del vento, purificato dalla pioggia di mezzogiorno e dall’aroma dei pini. L’aria è preziosa perché tutti gli esseri viventi respirano la stessa aria: animali, alberi, uomini. Il nostro Dio è lo stesso Dio. Non si può possedere Dio alla stessa maniera di come non si può possedere la terra.

 La terra è amata da Lui. E causare danno alla terra significa dimostrare disprezzo al suo Creatore. La terra non appartiene all'uomo, è l'uomo che appartiene alla terra. Tutte le cose sono collegate, come il sangue che unisce una famiglia. Non è stato l'uomo a tessere la tela della vita, egli ne è soltanto un filo. Qualunque cosa faccia alla tela, lo fa a se stesso!". (LETTERA DEL CAPO INDIANO SEATL AL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA 1854)

 

Non vivere su questa terra come un estraneo

e come un vagabondo sognatore. Vivi in questo mondo come nella casa di tuo padre…( Nazim Hikmet)


Tu sei preghiera di Enrico Peyretti

 -Quando la luce del tramonto scende là dietro e ti strugge la malinconia, è preghiera.

Quando ti commuove l'alba, piccola e fragile come il sorriso di un bimbo, è preghiera.

Quando un gesto gentile, un sorriso sconosciuto, ti raggiunge nella folla, quell'istante di gratitudine alla vita è preghiera.

Quando un abbraccio risponde per un momento alle attese del tuo cuore e del tuo corpo, gioisce esaudita la tua nativa preghiera.

Quando una lettura tramite i tuoi occhi ti tocca l'anima, è l'umanità che risponde alla tua antica preghiera.

Quando ascolti una musica che danza nel tuo petto,

quella ti è data come preghiera.

Quando il dolore ti tocca, ti ferisce, ti priva di una presenza, il tuo pianto silenzioso è preghiera. Quando il fiorire di un bimbo, la primavera sul prato, ti danno delizia, questo è tua preghiera.

E quando la forza della montagna, o quella del mare, o la bellezza dell'immaginazione, prendono la tua attenzione ammirata, è tua preghiera.

Quando ti assedia la solitudine, e nessuna voce ti risponde, il tuo silenzio attonito è preghiera. Quando il tuo cuore canta, quel canto è preghiera.

Quando ti chiedi perché — perché la volontà di vita, perché l'amore e perché l'odio, o la fredda indifferenza — la tua domanda muta è preghiera.

Quando in un volto e in un ascolto appare l'amicizia,

la pace che senti è preghiera.

Quando finirà il tuo tempo, quell'ultimo respiro sarà l'estrema preghiera.

Tu preghi sempre, cosí come respiri, come i tuoi occhi cercano, come il tuo cuore attende: tu sei preghiera.

Anche se non sai chi preghi, ora sai che sempre preghi, perché desiderare e attendere è preghiera. Noi desideriamo perché siamo misteriosamente chiamati: è questo l'inizio di ogni preghiera.

Alle religioni maestre, a chi ignora una vita attorno a questa, a chi ti offre formule e ricette, e santi e altari da pregare, rispondi che, di là da tutto questo, tu sei la tua preghiera, tu sei nell'universale preghiera.

È una vita, anima della tua vita, la tua preghiera.


II domenica di Quaresima - 28.02.2021

 Marco 9,2-10

 Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo, Giovanni e li condusse soli, in disparte, sopra un alto monte. E fu trasfigurato in loro presenza;  le sue vesti divennero sfolgoranti, candidissime, di un tal candore che nessun lavandaio sulla terra può dare.  E apparve loro Elia con Mosè, i quali stavano conversando con Gesù. Pietro, rivoltosi a Gesù, disse: «Rabbì, è bello essere qua; facciamo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia».  Infatti non sapeva che cosa dire, perché erano stati presi da spavento.  Poi venne una nuvola che li coprì con la sua ombra; e dalla nuvola una voce: «Questo è il mio diletto Figlio; ascoltatelo».  E a un tratto, guardatisi attorno, non videro più nessuno con loro, se non Gesù solo.

 Poi, mentre scendevano dal monte, egli ordinò loro di non raccontare a nessuno le cose che avevano viste, se non quando il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti.  Essi tennero per sé la cosa, domandandosi tra di loro che significasse quel risuscitare dai morti.

- "E' bello essere qua!" Pietro dice: Rabbì è bello! Il bello è molto più del bene, perché il bene spesso è noioso. Quando il bene diventerà bello allora sarà bello!  Anche la verità senza bellezza è gelida, non fa trasalire il cuore! Siamo fatti per questa bellezza.

È bello essere qui, altrove è brutto. Siamo fatti per questo. Altrove siamo come fuori posto…  stiamo male.

Gesù usa la parola bello soltanto una volta in senso ironico, quando dice: “Bello quello che fate, siete bravissimi nell’imbrogliare Dio con le leggi che vi fate, eludendo il suo comandamento dell’amore”.

Poi dirà della donna di Betania: Ha fatto una cosa bella! Che richiama esattamente quando Dio fece il mondo, dopo ogni opera, vide che era bella, non buona. E quando fece l’uomo: vide che era molto bello. E noi siamo fatti per questa bellezza.

E' bello vivere insieme da fratelli! (salmo 133)

Ed è bello essere, non stare. Tra l’essere e lo stare c’è  differenza. Lo stare lo cambi facilmente, l’essere no. È lì che siamo noi stessi. E tutto ciò che noi cerchiamo nella vita è sempre arrivare a quella pienezza, bellezza.

 Il troppo bello, genera  anche timore, da non saper cosa dire, esiste anche questo! È lo spavento del troppo bello!

- "E venne una nuvola che li copriva con la sua ombra!"

Ombra è una parola che nel suo significato originale vuol dire "nube carica d'acqua".

Ombra non come qualcosa di negativo, ma come occasione di fecondità e di vita. Tutto ciò che esiste porta con sé l'ombra. Non ci si può staccare dalla propria ombra.

L'ombra, è vero, ci intimorisce perché apre all'oscurità, eppure all'ombra si trova riparo. Dio stesso , lui la luce, ama rivelarsi attraverso l'ombra. L'angelo dirà a Maria: "la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra…"

Nessuno può toglierci di dosso la nostra ombra, né quella che altri allungano su di noi. Non la si può combattere…E' la luce che crea l'ombra, non ci fosse l'ombra non ci sarebbe la luce!

- "E dalla nube uscì una voce!"

Dalla nube esce una voce. Dio non ha volto, ma è Parola.

Qui  è l’unica volta in cui il Padre si rivolge a noi.

E cosa dice? È un verbo, è un imperativo è un pronome: Ascoltate Lui. L’unico comando di Dio Padre è: ascolta Lui. Vuoi vedere il mio volto? Ascolta Lui! Se ascolti Lui, vedrai il mio volto, è il tuo volto che diventa uguale al suo. Trasfigurato come il suo.  Non so bene cosa sia la trasfigurazione, ma so come ci si arriva. Noi diventiamo la Parola che ascoltiamo.  Ed è la Parola che ci trasfigura o ci sfigura.

La parola ha un potere enorme sull’uomo, perché gli dà modo di capire, di sentire, di agire e di essere: siamo la parola. Se ascoltiamo la parola del Figlio, diventiamo figli, siamo il volto del Padre.

Ecco allora qual è il cammino della trasfigurazione: questo ascolto che, giorno dopo giorno, ti cambia.

Tra l’altro è interessante: l’occhio reagisce immediatamente, però superficialmente. Mentre la parola è un seme che entra, magari non ci fai caso e ti viene in mente dopo vent’anni: “Mi ha detto quella cosa importante!”. Mentre il vedere scompare subito e si sovrappone un altro vedere, le parole sono dei semi. Per questo è importante la lettura del Vangelo in una certa quotidianità. Perche davvero ti dà un modo di pensare diverso e un modo di agire diverso, un’opinione di te diversa.

Vi sarete accorti che leggendo il Vangelo, in realtà, non è che lo leggiamo, è il Vangelo che legge noi e ci dà una lettura di noi così bella che alla fine diciamo: “Che bello vivere!” e allora andiamo avanti giorno dopo giorno, ma si cresce sempre.

 - La vita di Cenerentola è tutta giocata su questi due piani di luce e ombra, di paura di vivere e bellezza della vita.

L'essere umano è colui che fa continuamente esperienza del limite, dell'ombra, ma nello stesso tempo tende inesorabilmente alla bellezza.

Ci sono persone che si considerano semplicemente cenere e, sentendosi trattare come tali, finiscono col crederci. Eppure nel profondo intuiscono che sono fatte per altro. Sanno che c'è un fuoco che brucia sotto quella grigia coltre di polvere: è la brace del desiderio di sapere che la bellezza è un dovere da compiere. Rischiamo di pensare di non meritarci tutto questo, di non sentirci mai all'altezza.

Cenerentola siamo tutti noi quando sentiamo come colpa il desiderio di vivere pienamente. Ma Cenerentola sa, di essere di stirpe regale e non smette di credere alla propria bellezza interiore. E questo non è frutto di uno sforzo della propria volontà. Non si deve far nulla per diventare veramente se stessi. La vita non si guadagna, non si merita: non sarà mai il potere, l'avere, il successo a dirci chi siamo. Si tratta di una lenta trasfigurazione, un lasciare sbocciare, fiorire la vera forma del proprio essere attraverso l'intervento di qualcuno che ci ama, che ci sogna, che ci rivolge la parola.

Alla fine Cenerentola non fugge, si lava accuratamente il volto e comprende che è possibile togliersi di dosso finalmente l'inferiorità di cui si sentiva ricoperta, e si accorge di essere amabile con le sue ombre e col suo essere avvolta nella cenere.

Questo messaggio è semplicemente Vangelo: bella notizia!

L'uomo religioso è convinto che mostrare il proprio limite sia meritevole di castigo. Per questo Adamo si nasconde all'avvicinarsi di Dio.

Gesù insegna che proprio la nostra miseria, limite, fragilità, peccato diventano il luogo dell'incontro, dell'abbraccio e della festa.

Finchè Cenerentola resterà nascosta per paura, non potrà mai essere amata. Diventerà regina solo se si riconcilierà con la ragazza della cenere.

La nostra verità è data dall'abbracciare la nostra cenere e dal non calpestare la propria ombra.

"La bellezza risplende nel cuore di colui che ad essa aspira, più che negli occhi di colui che la vede." (Gibran)

Non si tratta più solo di dire: "La bellezza salverà il mondo" - ma "noi dobbiamo salvare la bellezza!".

I domenica di Quaresima- 21.02.2021

 Dal Vangelo secondo Marco  -

 - "Subito dopo lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano". (Mc 1, 12)

 -Mercoledì è iniziato il tempo di quaresima: tempo di 40 giorni che precede la pasqua.

Il richiamo va ai 40 giorni che Gesù visse nel deserto prima di iniziare la sua missione, ma il ricordo va anche ai 40 giorni del diluvio ai tempi di Noè e ai 40 anni che gli Ebrei trascorsero nel deserto dopo essere fuggiti dall'Egitto.

Nel deserto vi si rifugiavano le persone senza radici, senza identità.

 -Il deserto è un luogo di nessuno, dove si sta tra terra e cielo, senza l'ombra di un muro o di un recinto. Un luogo dove tutte le strade si perdono , ma anche dove tutte le strade potrebbero aprirsi. E' luogo di rottura ma anche di scelte. Nel deserto ci si entra condotti, quasi obbligati: dal deserto si esce con le proprie gambe.

 Israele uscito dall'Egitto entra nel deserto come una accozzaglia di schiavi, vi esce una volta diventato popolo.

 - La favola di Cappuccetto Rosso è la storia di un viaggio. All'inizio del viaggio è solo una bambina spensierata, legata alla figura materna: vive, agisce, compie azioni obbedendo a degli ordini. Non proferisce parole. Ma ad un certo punto è chiamata a lasciare la casa, al fine di intraprendere quel viaggio che la renderà donna, in grado , con la propria vita di essere autonoma, di dire qualcosa. A Cappuccetto Rosso viene richiesto solo di obbedire: deve portare il cibo alla nonna! Chissà quante volte l'avrà fatto! Certo si può vivere una vita intera accontentandosi solo di obbedire, di compiere sempre le cose per dovere, ma senza crescere mai. La vita non è semplicemente obbedienza a comandi che provengono da altrove, lasciando che la vita ci scorra a fianco, illudendoci di poter diventare adulti senza deciderlo o sceglierlo. Occorre invece intraprendere un viaggio, rischiare l'ignoto, per diventare ciò che si è chiamati ad essere. Non si cresce se non vivendo fuori e una volta fuori occorrerà mettercela tutta per ritrovarsi e non uscire di strada col rischio di smarrirsi.

 - "Noi nasciamo a metà. Tutta la vita serve per nascere del tutto". (Maria Zambrano)

 - Il bosco rappresenta il mondo, spesso oscuro, dove è facile perdersi, essere divorati, luogo in cui si vivono incontri drammatici; ma è anche luogo dove è dato diventare adulti. In ogni caso il bosco o lo si attraversa tutto o non si cresce affatto, ed è necessario attraversarlo da soli. Una volta usciti dal bosco si saprà che il coraggio non è il contrario della paura, bensì una paura attraversata.

 - Il bosco di Gesù si chiama deserto. Il deserto diventa il luogo privilegiato della decisione. Gesù, nel suo bosco-deserto ha dovuto decidere se fare sua la logica del diavolo basata sul potere, l'avere, lo straordinario o la logica dell'amore , del dono di sé, della cura: quella logica di bene che richiede tempi molto lunghi e molta fatica per realizzarsi.

 - Tentare viene da "peirazo" - sperimentare e da "peron" - punta. Tentare vuol dire  allora: passare attraverso, attraversare tutto lo spessore della realtà. Nella tentazione o si diventa periti-esperti o si perisce!

 Il lupo, le bestie selvatiche, il diavolo vorrebbero raggiungere gli stessi obiettivi di Dio: spingere l'uomo ad essere se stesso a realizzarsi, ma gli uni senza i tempi e la fatica del parto, mentre Gesù sceglie l'amore che non conosce scorciatoie.

 - " Il deserto è bello!

 - Mi è sempre piaciuto il deserto. Ci si siede su una duna di sabbia, non si vede nulla, non si sente nulla, tuttavia qualcosa risplende nel silenzio…

 - Ciò che abbellisce il deserto è che nasconde un pozzo in qualche luogo…"( piccolo principe)

 - "Quanti deserti l'essere umano deve attraversare! E soprattutto il deserto che c'è dentro di lui".

IV domenica di Avvento - 20.12.2020

 Un bambino, a cui fu chiesto, cosa disse l'angelo a Maria, scrisse: Dio chiese a Maria, "facciamo un figlio tutto mio e tutto tuo!"

 E l'eccomi, il fiat di Maria sta per: "magari avvenisse quello che hai detto!".

Quante volte forse anche noi abbiamo desiderato che i progetti di Dio coincidessero coi nostri!

 Quel "non conosco uomo" sembra ricordare come, umanamente parlando, i sogni più belli e più veri non si realizzano mai.

Questo incontro, dialogo attira tutta la nostra attenzione , interesse, fascino per cercare di carpire qualche spiraglio per questa nostra vita povera di speranza.

E' inquadrato all'interno di una visita, gesto molto amato da Gesù, soprattutto nel vangelo di Luca! E ringrazio le donne, teologhe, che hanno aperto prospettive inedite leggendo questi racconti in cui loro sono protagoniste. Mai Dio nella bibbia si era rivolto a delle donne! Qui emerge anche la natura dell'angelo. Ho letto una volta: "la differenza tra un uomo e un angelo è facile. La maggior parte di un angelo è dentro, la maggior parte di un uomo è fuori."

Inizia col dire che l'angelo entrò da lei, finisce col dire che uscì, partì da lei.

Scopo di quella visita: gioisci! E' quasi un comando! Quella visita vuole prendere per mano per andare insieme (com-andare) verso la gioia.

E' una visita, non sappiamo quanto sia durata. La visita di Maria ad Elisabetta si dice che sia durata tre mesi, un tempo determinato. Sembra anche che Maria sia partita prima che Elisabetta partorisse. La sapienza della visita non occupa l'intero spazio, non presume di esserci come presenza indispensabile.

Visitare è più leggero di abitare. La visita ha un tempo prestabilito. Inizia e finisce. Può sembrare un non volersi impegnare in maniera totalitaria, il non volersi coinvolgere fino in fondo, ma fino ad un certo punto. Ma se pensiamo all'incarnazione, quando nella pienezza dei tempi, la parola si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, si dice che pose la sua tenda tra di noi. La tenda rimanda a quell'abitare nomade, a quel dimorare inquieto di un Dio che si avvicina ma non si lascia possedere. La leggerezza della visita è portatrice di quel rispetto che non vuole riempire lo spazio dell'altro.

"Se uno si mette nei panni dell'altro, l'altro dove si mette?". (Lacan)

 Il visitare non comporta solo il gesto dell'entrare, è necessario anche accogliere. Scelta impegnativa e faticosa accogliere corpi che invadono  lo spazio intimo della casa e con essi, le storie di cui sono portatori.  Aprire le porte di casa senza neppure avere l'autorità di farlo: Maria entra nella casa di Zaccaria , ma chi apre è Elisabetta! Penso a chi apre e accoglie lo straniero senza avere l'autorità di farlo!

Il visitare è legato al verbo vedere. La visita è un incontro di volti che sperimentano il movimento del volgersi gli uni verso gli altri, senza assorbirsi; visi che vedono e si lasciano vedere, senza mangiarsi cogli occhi.

Volti che si aprono al dialogo. Un dialogo vero che apre prospettive inedite: si tratta di fare una cosa che nessun uomo è mai stato in grado di compiere: dare all'umanità un volto nuovo che coincide con quello che Dio ha sempre sognato. Maria si domandava cosa volesse dire, come fosse possibile… vuole capire…

Troppe donne sono state piegate, ammutolite da una fede che asservisce senza liberare, che mette a tacere ogni dubbio e censura le domande. La fede richiede intelligenza e libertà. Chiede, si chiede: come portare avanti un simile progetto. Pur vedendone la bellezza si riconosce inadeguata. Dio risponde non con delle spiegazioni, e non è neanche questo che Maria chiede: lei chiede piuttosto a Dio che non la lasci sola, ma l'accompagni nel percorso.

E Dio promette di non perderla di vista, di essere la sua ombra. "Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio! Si rifugiano gli uomini all'ombra delle tue ali". (sal.36) L'ombra è lo spazio dell'amore: l'amore richiede l'intimità dell'ombra! La sua ombra coprirà Maria di Nazareth come un manto e quel gesto farà nascere qualcuno molto atteso da tutti: Gesù di Nazareth, il poeta increato, come ama chiamarlo Antonietta Potente, è nato nell'ombra. A Maria è chiesto di "non  calpestare la sua ombra!".

Come unico segno viene dato  Elisabetta che nella sua vecchiaia ha concepito un figlio!

 Ogni generazione sembra non avere futuro, non essere in grado di generare e portare avanti progetti.

Maria ed Elisabetta sono a dirci che Dio apre la storia quando sembra che ormai non ci sia più niente da fare, ma non solo apre la storia quando ormai sembra essere troppo tardi, ma anche quando sembra essere troppo presto.

Oso pensare che il nostro vivere sia una visita che facciamo alla terra e mi piacerebbe che i modi e i tempi fossero scanditi su quelli di Maria.

Gli esseri umani e anche Dio sono fatti per visitarsi e accogliersi guidati da una sapienza relazionale, oggi più che mai necessaria, che insegna a riconoscere Dio, al di là dell'idolo, e i volti di uomini e donne oltre la strumentalità.

Se la visita é - alla lettera - incinta di Dio, l'accoglienza è la levatrice necessaria per mettere al mondo l'inedito di Dio, l'inedito dell'uomo. Con Simone Weil credo che «la vita del credente è comprensibile solo se in lui c'è qualcosa di incomprensibile», solo se in noi c'è un di più di ciò che è l'uomo: un sogno, un angelo, Dio, un amore e una gioia immotivati, una vita da altrove, come nel grembo di Maria; solo se in noi c'è qualcosa di cui dichiararci "servi".

III domenica di Avvento - 13.12.2020

Dal libro del profeta Isaìa

Is 61,1-2.10-11

Lo spirito del Signore Dio è su di me…

mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri,

a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,

a proclamare la libertà degli schiavi,

la scarcerazione dei prigionieri...


Salmo Responsoriale - Lc 1,46-50.53-54

 

L'anima mia magnifica il Signore…

perché ha guardato l'umiltà della sua serva.


Seconda Lettura.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési - 1Ts 5,16-24

 

Fratelli, siate sempre lieti… Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie... 

 

Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 1,6-8.19-28

Venne un uomo mandato da Dio:

il suo nome era Giovanni.

Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui.

Non era lui la luce,

ma doveva dare testimonianza alla luce.

Questa è la testimonianza di Giovanni,

quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo:

«Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?».

Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».

Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei.

Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell'acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».

Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

 - A NATALE NON SI FANNO CATTIVI PENSIERI,

MA CHI E' SOLO LO VORREBBE SALTARE QUESTO GIORNO.

 

A TUTTI LORO AUGURO DI VIVERE UN NATALE IN COMPAGNIA.

 

UN PENSIERO LO RIVOLGO A TUTTI QUELLI

 

CHE SOFFRONO PER UNA MALATTIA.

 

A LORO AUGURO UN NATALE DI SPERANZA E DI LETIZIA.

 

MA QUELLI CHE IN QUESTO GIORNO HANNO UN POSTO

 

PRIVILEGIATO NEL MIO CUORE,

 

SONO I PICCOLI MOCCIOSI CHE VEDONO IL NATALE

 

ATTRAVERSO LE CONFEZIONI DEI REGALI.

 

AGLI ADULTI AUGURO DI ESAUDIRE TUTTE LE LORO ASPETTATIVE.

 

PER I BAMBINI POVERI

 

CHE NON VIVONO NEL PAESE DEI BALOCCHI

 

AUGURO CHE IL NATALE PORTI UNA FAMIGLIA CHE LI ADOTTI

 

PER FARLI USCIRE DALLA LORO CONDIZIONE

 

FATTA DI MISERIA E DISPERAZIONE.

 

A TUTTI VOI

 

AUGURO UN NATALE CON POCHI REGALI

 

MA CON TUTTI GLI IDEALI REALIZZATI.

 

alda merini

 

- Le parole dei profeti e dei poeti non hanno età. Si richiamano e si incontrano aldilà del tempo e dello spazio. Così è per le parole di Isaia, Alle parole di Isaia e di Alda Merini fa eco la testimonianza del Battista quando gli chiedono : "chi sei?"- Domanda che potrebbe essere tradotta oggi con: "che cosa è il natale?"

E il Battista smentisce tutte le risposte scontate, perché contraddette dalla realtà!

 E' un po' come quel rabbino che alla notizia della nascita del messia, si affacciò alla finestra che dava sul mondo e disse che non era possibile, visto che nulla era cambiato. Il sogno di Isaia è sempre più sfumato!

I carcerati sono ancora in carcere, gli schiavi ancora schiavi, i cuori spezzati ancora spezzati, per i poveri un messaggio di gioia è sempre più e solo un miraggio.

 Il messia: il sogno di Dio e dell'uomo, è qualcosa di insito nella storia, ma che deve ancora e sempre emergere, venir fuori.

 Gesù, resta il messia sconosciuto: recuperare la parte sconosciuta di lui, il suo mistero è il primo passo. Quel Gesù che conosciamo, non turba più le nostre coscienze: gli abbiamo dato una identità, lo abbiamo collocato al suo posto fra i beni di consumo, nelle radici stesse della nostra cultura, numeriamo persino gli anni a partire da lui.

Dobbiamo fare come il battista, figlio di un sacerdote, che ha lasciato il tempio e il ruolo ed è tornato al Giordano e al deserto, là dove tutto ha avuto inizio.

Io non sono l'uomo prestigioso che vorrei essere, né l'insignificante che temo di essere. Non sono ciò che gli altri credono di me: né santo, né solo peccatore.

Questa dovrebbe essere la presa di coscienza oggi di ciascuna persona , della chiesa, ma anche dell'umanità intera: rinunciare a ciò che pensiamo di essere o che gli altri vogliono che siamo. Occorre andare al di là dei nostri nomi, dei nostri desideri, dei nostri sogni.

Le tante contraddizioni che i profeti fanno emergere non sono effetti marginali della nostra esistenza, sono un effetto diretto del nostro modo di vivere, di impostare l'esistenza, del nostro sistema di valori. Tentiamo di illuderci col dirci che se esiste ancora la povertà è solo perché ci sono popoli che non hanno raggiunto il nostro livello di civiltà, ma sappiamo che non è vero: se noi vogliamo mantenere il nostro livello di vita, questi popoli devono rimanere nella loro condizione di povertà.

Dobbiamo ricominciare da capo. Non possiamo correggere il processo lasciando intatti modi, le strutture, le ideologie con cui abbiamo proceduto, dobbiamo riprendere in mano il filo del tessuto della storia.

 Milioni di persone sono entrate nella zona della fame inevitabile perché le piccole economie di sopravvivenza elementare sono state distrutte.

Sono queste persone che che oggi ci costringono a cercare risposte non scontate alla domanda: chi sei? Cosa è il natale? cosa è la vita?

Allora ritrovare il senso del messia come sconosciuto, vuol dire ritrovare il senso di noi come sconosciuti.

Abbiamo bisogno di liberarci delle nostre identità.  Siamo degni di vivere con la capacità di cogliere il nuovo e di farlo crescere, solo se , alla domanda: "chi sei?" non sappiamo rispondere, riconosciamo il nostro limite, la nostra parzialità. Non mentire su se stessi permette di aprirci allo sconosciuto che è dentro di noi, in mezzo a noi. E' il contrario di ciò che fece Pietro dopo l'arresto di Gesù!

A scuola, dopo aver sbagliato un problema, la maestra ci diceva che   dovevamo ripartire dall'inizio, perché sbagliando la prima operazione tutto viene distorto. E' quello che i profeti di ogni tempo ci continuano a ripetere e come il Battista sono voce e testimoni della luce. E' profetico il linguaggio che ci mostra che cosa non torna nel nostro modo di vivere, qual'è la cifra sbagliata, che cosa si dovrebbe fare per dare al mondo una misura umana o messianica, che è lo stesso! E la prima operazione è  che i nostri rapporti devono essere rapporti di fraternità, di solidarietà. Siamo arrivati ad essere sul pianeta terra come dentro la stessa cinta di mura, cittadini dello stesso villaggio, dove ogni uomo è fratello dell'altro uomo e la vita dell'uno e inscindibile dall'altra. Non si può costruire nessuna civiltà se non si parte da questo principio. E' ciò che ribadisce, con voce profetica papa Francesco nella sua ultima enciclica "fratelli tutti": "solidarietà è pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti, sull'appropriazione dei beni da parte di alcuni. E' lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro…la solidarietà è un modo di fare la storia. Il mondo esiste per tutti, perché noi tutti esseri umani, nasciamo su questa terra con la stessa dignità. Le differenze di colore, religione, capacità, luogo di origine, luogo di residenza e tante altre cose non si possono anteporre o utilizzare per giustificare i privilegi di alcuni a scapito dei diritti di tutti. Il diritto alla proprietà privata non va riconosciuto come assoluto, ma secondario rispetto al principio della destinazione universale dei beni creati…"

Gesù è quell'uomo sconosciuto, inedito che deve ancora venire! Quello che si sa è niente di fronte a quello che ancora si dovrebbe sapere di fronte alle domande che emergono dalla realtà in cui siamo immersi.

Ma i profeti debbono dare voce e un po' di luce a questa speranza: sono testimoni della luce, non del degrado, del peccato che pure assedia il mondo, ma testimone di speranza e di futuro, di un Dio e di un uomo sconosciuti ma che sono in mezzo a noi portatori di vita.

"Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie"

Laicizzando la profezia, riconducendola alla dimensione del vivere quotidiano, è un appello ad un futuro umano di cui il magnificat di Maria diventa il canto dei poveri.

"Il profeta è colui che guida l'umanità a pensare in altra luce" (Maria Zambrano)


II domenica di Avvento - 06.12.2020

Isaia 40,1-5.9-11

"- dice il vostro Dio -

Parlate al cuore di Gerusalemme…"

 

- Salmo 84

 - "Giustizia e pace si baceranno…"

 

- 2 Pietro 3,8-14

 - "Noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia"

 

 - Marco 1,1-8

 - Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.

Come sta scritto nel profeta Isaìa:

«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:

egli preparerà la tua via.

Voce di uno che grida nel deserto:

Preparate la via del Signore,

raddrizzate i suoi sentieri»,

vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.

Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.

Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

 

  - Inizio del vangelo…Vangelo vuol dire "buona - bella notizia".

C'è bisogno di belle notizie! Solo a partire da una bella notizia, da uno straccio di speranza, almeno intravista, si può ricominciare a vivere, a progettare, a stringere legami.  Inizia così la bibbia: Dio guardò e vide che che era cosa buona, bella! A fondamento della vita c'è una cosa buona!Questa buona notizia, per Marco,  è un uomo che si chiama Gesù.

A quei tempi  "buona notizia" era una grande vittoria in battaglia o la nascita del figlio dell'imperatore.

Come può, l'uomo Gesù, essere una buona notizia? Portatrice di grande gioia, diranno gli angeli ai pastori. Un uomo la cui vita si  è sviluppata su circa sessanta chilometri di lunghezza e trenta di larghezza, in una terra povera e insignificante. Un uomo che non ha fatto nessuna impresa straordinaria, neppure miracoli! figlio di gente povera e semplice! Eppure la bella notizia è proprio questa: la vita fiorisce nella quotidianità, nella bontà delle creature, nei sogni coltivati insieme, nella bellezza seminata nel mondo, negli occhi che accarezzano e guariscono quando guardano, nella voce che incanta i bambini e dona perdono e pace, che disegna un altro mondo possibile, un altro cuore possibile.

Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento. Più che di crescita, abbiamo bisogno di attenzione: attenzione a chi cade, al sole che sorge e muore, ai ragazzi che crescono… dare valore a un muro scrostato, al silenzio, alla fragilità, alla dolcezza.

Questa buona notizia è un inizio da cui fioriscono altri vangeli, altre buone notizie che ogni giorno aiutano a far ripartire la vita.

 Antonietta Potente ama chiamare l'uomo Gesù: il poeta increato.  "Il poeta trae dal non essere ciò che in esso geme, dandogli nome e volto. Colui che fa sì che l'umano non si addormenti (la figlia di Giairo, il figlio della vedova di Naim, Lazzaro…) I suoi gesti sono estrazione di voci e volti, là dove tutto sembrava muto o senza forma. Gesù aveva già visto che il paralitico poteva camminare, mentre i suoi amici lo calavano dal tetto; aveva già colto la possibilità di strappare dal giudizio quella donna sorpresa in adulterio. Non è un sapere onnisciente, è un sapere da poeta. Non è la sua divinità che gli suggerisce che l'altro può camminare, può vedere, può rialzarsi, può imparare a vivere in pienezza, ma è il suo sogno originario che vede l'umano nella sua origine più profonda: bello, libero, vero, luminoso, che non provoca morte attorno a sè. Il suo dolore è vedere che la realtà non è in sintonia con la sua poetica.  Comunicando, al di là di ogni credo o appartenenza, sul piano dello spirito, del cuore, di quella parte più profonda di noi, quel "deserto" dove si è soli con se stessi e che ciascuno possiede: lui riesce a leggere l'infinito desiderio delle persone, il loro sogno nascosto. Ripeteva sempre:"la tua fede, la tua profonda sete di essere, ti  ha salvato". (A. Potente)

 - Questi sono miracoli! Io credo.

Questo è l'inizio di una nuova storia, un inizio che chiede di essere portato a compimento…

Inizio del VANGELO di una notizia capace di cambiare la storia guardandola con gli occhi di un poeta.

Questo voleva dire Isaia, altro poeta, di cui Gesù ha ripreso i sogni, quando dice "parla la cuore di Gerusalemme…" E Gesù parlava al cuore.

- Il deserto, dove riparte tutto, è il luogo incontaminato della vita, è il luogo dove la vita ritrova la sua origine, il deserto è il cuore della vita, della terra. Non è un luogo fuori dal mondo, è il cuore del mondo, il luogo dove la vita della gente semplice e umile lotta e prega continuamente per dare un volto alla vita, dove uomini e donne sognano di poter vivere in piedi, dove ogni parola, ritrova il suo significato, scacciando paure e demoni.

Se la parola non raggiunge queste persone non è "vangelo".

E' nel deserto che risuona una voce, che la Parola trova voce per esprimersi e farsi accogliere, perché "l'essenziale è invisibile agli occhi, si coglie solo col cuore…".

Le parole ci sono sempre, il vangelo è sempre lì con la sua forza, ma ciò che manca è una voce che lo dica, che sappia ridargli quella vita che Gesù sapeva tirar fuori da ogni cosa: dall'acqua, dal pane tanto da farli diventare acqua viva e pane vivo. Se una parola non parte dal cuore e non arriva al cuore non porta nessun "vangelo".

Oggi la chiesa possiede quelle parole, continua a dirle, sono sempre parole vere, non sono sbagliate, ma risuonano logore, vuote, utili solo all'auto-conservazione di sè. Non basta parlare di vangelo, occorre far parlare il Vangelo. Ma il vangelo è vita, è la vita di uomini e donne senza storia, ma che fanno la storia. Occorre dare voce a chi parla con la vita.

Occorre ritornare nel deserto a ritrovare il significato originale - verginale di quelle parole antiche, metterle in bocca ad una voce che sappia vibrare e trasmettere emozioni, parlare al cuore. "Ecco la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore" dice il profeta Osea.

Di Gesù, anche i suoi avversari dicevano"nessun uomo ha mai parlato come lui". (Gv.7,47)

Dare vita alle parole perché le parole diano vita a noi. E' un viaggio di resurrezione!  E bello pensare che in latino per la parola libro e la parola libero si usi lo stesso termine "LIBER". Il libro mi rende libero. Non è un caso che i detentori del pensiero unico , esclusivo ed escludente la prima cosa che fanno è bruciare i libri, bruciare il pensare perché hanno paura degli uomini liberi e di chi e che cosa li rende liberi.

 La parola, se liberata, libera!

Bisogna diffidare delle parole che non hanno più la vibrazione dei sogni. E' solo con i sogni - se poi sono anche i sogni di Dio! - che si va avanti.

La chiesa, noi, siamo chianti a continuare a proclamare a vivere questa bella notizia di Gesù, il Cristo, il poeta increato, in cui anche Dio si è rispecchiato e lo ha riconosciuto come figlio.

E se nel deserto tutte le vie si perdono, dal deserto tutte le vie possono ripartire.

E' desiderio di tanti quello di aprire una via, di trovare una via d'uscita che non si riveli una strada senza sbocchi per questa terra che amiamo, una via per tutta l'umanità, una via  che porti all'incontro tra la giustizia e la pace.

Due valori che sembrano essere in contraddizione: chi lotta per la giustizia non ha pace e chi vuole la pace rischia di sacrificare la giustizia. Occorre

abbassare i monti, colmare le valli perché giustizia e pace si incontrino.

"Amore e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno.

Verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo.

Certo, il Signore donerà il suo bene e la nostra terra darà il suo frutto;

giustizia camminerà davanti a lui: i suoi passi tracceranno il cammino. (Salmo 84)

 - Che sia sempre e solo l'inizio!

I domenica di Avvento - 29.11.2020

Liturgia della parola

 

Dal libro del profeta Isaìa  - (Is 63, 16-17.19; 64, 1-7)

 -Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore. Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie…?

Ritorna per amore…

Se tu squarciassi i cieli e scendessi!

Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie…

... come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia;

Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani.

Sal.79

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi - 1 Cor 1, 3-9

 

Fratelli, grazia a voi e pace…  a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo…dal quale siete stati chiamati alla comunione!

 

Dal Vangelo secondo Marco - (13,33-37)

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.

Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati.

Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

 

 

 -  L'avvento cade  in un periodo dell'anno in cui la natura, sfinita per i frutti, si addormenta, le giornate vedono diminuire la luce, per ricordarci che la nostra vita, coi suoi tempi e le sue stagioni, forma un tutt'uno con la natura. Ritmo umano, ritmo dello spirito e ritmo della terra sono una cosa sola. In ogni cosa c'è un'attesa: uomini, animali, creature animate e inanimate, tutto e tutti attendiamo, gemiamo nell'attesa.

Non c'è vita piena là dove non c'è capacità e volontà di attendere.

 - Nelle nostre giornate riceviamo tanti avvertimenti a prestare "attenzione": per strada troviamo cartelli che ci invitano a fare attenzione!

 Come spesso riceviamo l'invito ad "attendere": ad esempio quando facciamo un numero telefonico…

Attenzione e attesa sono le due parole dell'avvento, parole imparentate che significano "tendere verso". Quando Gesù dice:"Fate attenzione, vegliate" invita a questo atteggiamento di tensione verso una meta, a puntare avanti, senza lasciarsi prendere dalla rassegnazione.

Vegliate, fate attenzione, vivere in attesa è il contrario della noncuranza, della distrazione, della indifferenza, della superficialità, del disinteresse nei rapporti e verso le situazioni; dell'inconsapevolezza del peso delle parole, incuria degli oggetti, trascuratezza dei luoghi.

Veglia e attende chi ha cura per tutto e tutti. Avere cura significa riconoscere il valore di ogni singola persona, prestare attenzione ad ogni singola parola, al gesto più semplice: parole e gesti che giorno dopo giorno fanno una vita. Per vegliare occorre essere tutto lì dove si è, senza escludere nulla di sé, senza evadere dal presente né rifugiarsi nel passato.

 - A volte il rischio dell'attesa è quello di aspettare che una determinata situazione passi per poter ricominciare da dove eravamo rimasti.  Aspettiamo che questa pandemia passi per tornare alla normalità… sono tante le cose che speriamo passino  e che arrivino tempi migliori e nel frattempo la vita sembra sospesa.

Ma l'attesa è impegno e fatica: è riscoprire la bellezza del percorso prima del traguardo, l'importanza dell'impegno prima del risultato, la gioia del cammino prima dell'arrivo alla meta.

 Il tempo e il luogo dell'attesa è la notte. Ciò che dobbiamo attendere non è qualcosa di eclatante, altrimenti non ci sarebbe bisogno di prestare troppa attenzione.

Se è necessaria  attenzione vuol dire che ciò che potrebbe avvenire non ha niente di straordinario! I pastori che vegliavano nella notte non videro che un bambino avvolto in fasce in braccio a sua madre!

 E per vegliare non abbiamo grandi strumenti: abbiamo l'unica cosa necessaria per scrutare il buio, una lampada: "La tua parola è lampada ai miei passi" (salmo 118).

Disponiamo solo della piccola fiamma di una lampada, che non permette di vedere tutto, ma solo quanto basta per muovere i passi; non possiede la chiarezza su tutto, non dà certezze incrollabili, non offre verità assolute da imporre con forza, non permette l'arroganza di chi presume di possedere tutta la verità. Chi veglia nella notte cerca la verità con la stessa fatica con la quale nel buio si cerca il cammino.

Vegliare nella notte significa prendere coscienza che la notte è il tempo del silenzio, dei sussurri. Nella notte non si grida: il vangelo si misura col silenzio della notte. Il vangelo non è una ideologia di cui far propaganda, il vangelo è "buona notizia" e una buona notizia si racconta. Un racconto si addice di più al silenzio della notte che alla piazza affollata. Avvento è saper raccontare il vangelo, senza infrangere il silenzio della notte.

 - Dice il profeta Isaia "noi siamo argilla, opera delle tue mani". - Parole che richiamano alla nostra fragilità, siamo ancora un'opera incompiuta. Dice ancora il profeta: "tutti i nostri atti di giustizia sono come panno immondo".  Tutti i nostri atti di giustizia e non le cose ingiuste! Tutto quello che abbiamo fatto potrebbe essere ingiusto anche se avvallato dal diritto internazionale. Consapevoli di questa fragilità dobbiamo osare mettere in discussione tutte le ideologie e quella scala di valori che credevamo acquisti definitivamente.

Non sappiamo cosa verrà, ma possiamo sapere che ciò che verrà sarà un di più di umanità, di giustizia. Viene chiamato figlio dell'uomo, Messia,  Cristo: "la manifestazione del nostro Signore Gesù Cristo". Si tratta di tutto ciò che rende più umana la vita sulla terra, che rende più libero un popolo, più giusta, più vera, più dignitosa la vita anche di una sola persona, ciò che rende questa terra più simile ad un giardino che ad un deserto. L'umanità è la cosa più rara che esista sulla terra. Questa comparsa  di un po' più di umanità è il segno che Dio è venuto.

Allora il vegliare è l'atteggiamento di Maria che affidandosi solo ad una parola ha saputo attendere un figlio e crescerlo come un uomo di cui anche Dio si è compiaciuto. Ha fatto sì che in quel figlio il cielo e la terra si rispecchiassero.

Dio che continua a modellare questa argilla per fare un uomo a sua immagine somiglianza…ma sembra proprio non riesca a farlo da solo… si affida alle nostre mani!

Il vegliare è la scelta di un san Francesco che nella povertà ha incarnato l'atteggiamento più vero per andare incontro all'altro come fratello, alla terra come sorella e madre, a Dio come padre.

Il vegliare è la resistenza di tanti popoli che vogliono difendere la loro dignità.

Il vegliare è l'attesa di chi, in un campo profughi, aspetta di attraversare il mare nella speranza di trovare una casa.

Il vegliare è l'attesa che in  famiglia si riapra un dialogo.

Il vegliare è l'attesa di quei giovani che progettano un futuro non solo per sé, ma per tutti e per tutto.

Il vegliare è l'attesa di chi lotta e prega per vincere e superare una malattia.

Il vegliare è l'attesa del prigioniero che sogna la libertà; dell'affamato che sogna il pane vivo; dell'assetato  che sogna l'acqua viva; dell'ignudo che sogna un vestito nuovo; dello straniero che sogna una patria.

Il vegliare è non lasciare indietro nessuno.

Il vegliare è non far morire l'immagine di Dio dentro di me.

Il vegliare è la lotta di tanti uomini e donne che hanno lottato per togliere un po' di quella "giustizia immonda" che ferisce il volto di questa umanità.

Vegliare è ricordarsi di tutte queste attese.

Vegliare è "camminare su sentieri smarriti".

Il nocciolo e la scorza - 04.11.2020

Attorno a queste parole la teologa Antonietta Potente ha raccolto alcuni pensieri sull'inquietudine del momento storico che stiamo vivendo. Pensieri che mi piace riprendere e fare miei.

Il termine pensiero deriva dal latino pensum che indicava la quantità di lana pesata che veniva assegnata alle filatrici. La realtà attuale, si può ancora pensare, soppesare e tesserla?

Una domanda si affaccia nella mente e sulla bocca in questi giorni: che senso ha ciò che stiamo vivendo? Sembra di essere in mezzo ad una "tempesta di vento che impiglia anche le ali degli angeli". ( Walter Benjiamin)

E noi precarissimi esseri umani , troppo leggeri per resistere al vortice.

Tutti sapevamo che il mondo non poteva sostenere, la velocità in cui stava andando, ma a fermarci è dovuta essere una forza esterna, che però rischia di farci chiudere sempre più nel nostro guscio. Siamo stati superficiali e ora che questa tempesta ha spazzato via tutte le nostre sicurezze, ci sentiamo nudi e non capiamo più il senso.

Tutto sembra essere in-significante!

 Nel corso della storia, l'umanità si è trovata più volte nella dialettica tra ciò che ha un senso o che non ce l'ha. Ha creato gerarchie, discriminazioni, violenza, arrivando al rifiuto dell'insignificante sia esso fatto di donne, uomini, piccoli, anziani e animali, piante, cose…

Insignificante per noi sta per banale, futile, marginale: qualcosa o qualcuno senza alcun valore e senza importanza. Ma se scomponiamo questo termine e lasciamo emergere le due parti che lo compongono si intravvede un'altra possibilità: "in" sta per "essere dentro", quindi in-significante potrebbe volerci dire che il senso è nascosto. Il senso del reale sta dentro e non è facilmente riconoscibile.

Vivendo sempre più omologati, sempre più superficialmente abbiamo perso l'anima: "non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima!".(Mt. 10,28)

 E dopo essere stati spogliati di ciò che è essenziale per la vita siamo stati catalogati come insignificanti. Lo dicono molti uomini alle donne, gli intellettuali a coloro che non lo sono, i ricchi a chi non lo è; lo dicono gli esseri umani al Pianeta guardandolo solo come luogo di sfruttamento.

Per trovare un senso alla realtà forse bisogna ripartire da tutto ciò che finora abbiamo considerato in-significante, tutto ciò che la cultura ufficiale disprezza: persone,avvenimenti, ecosistema.

Quando leggo la bibbia mi colpisce la banalità delle sue storie e dei suoi personaggi. Sono storie di uomini e donne che hanno a che fare con dolori, amori, passioni. Sono ambientati in luoghi periferici. Non sono riportati in nessun libro di storia.

In questi giorni mi tornano spesso alla mente le beatitudini. Questa estate parlando con un gruppo di bambini sulle rive di un fiume, abbiamo fatto alcune riflessioni: da quanto tempo scorre quest'acqua? per quanto tempo ancora scorrerà quest'acqua? Sembra sempre uguale eppure si rinnova continuamente! E poi quanta vita sulle rive di questo fiume! Non è stato difficile passare da un fiume di acqua ad un fiume di gente…ha le stesse caratteristiche!  Questo fiume di gente che da chissà quanto tempo e chissà per quanto tempo ancora si rinnova e alimenta la vita sulla terra è il popolo delle beatitudini. Un popolo di persone di per sé insignificanti. Credo che la realtà vada colta alla luce di queste categorie di persone con le loro storie insignificanti. Come abbiamo abbiamo deviato, sotterrato il corso dei fiumi, così non abbiamo tenuto conto di questo fiume di gente, pensando fosse altro a muovere la storia. E' tempo di riportare in superficie e al suo corso naturale questo fiume, che non ha mai smesso di scorrere. Adesso sente il bisogno di emergere, di rompere gli argini. Tutto l'in-significante, quello che inabita il parto della vita, lo sforzo di tanti uomini e donne, lo sforzo del lavoro dei contadini, dell'esperienza dei deboli e dei semplici: tutto questo e altro ancora ha qualcosa di divino o chissà: è divino!

Scoprire il senso non significa comprendere tutto della vita, della realtà, si tratta di intraprendere lo stesso viaggio che intrapresero Abramo, Mosè, Noemi e Rut, Maria e Giuseppe, i Magi, l'amico Lazzaro…Per cercare quell'umano più umano che sognava Vittorio Arrigoni, quell'uomo inedito che sognava Ernesto Balducci, quell'uomo che nasce non dalla carne e dal sangue, ma dall'alto e dallo Spirito.

Scriveva Arturo Paoli: «Cosa ci muove, nel breve lungo viaggio della vita, se non il desiderio di ciò che è oltre? Oltre l’oggi, oltre le delusioni, oltre le conquiste, le vittorie e le sconfitte… Al futuro, guardo con attesa, in timore e tremore, ma anche con relativa, per quanto povera, fiducia».

Rilke ha scritto: “Nessun vento è favorevole per chi non sa dove andare, ma per noi che sappiamo, anche la brezza sarà preziosa.”

E allora diamo tempo a tutto ciò per cui non abbiamo mai avuto tempo perché avevamo cose più importanti da fare, diamo tempo a quelle persone per le quali rimandavamo sempre, diamo tempo a quei gesti, quelle parole che potevano sempre aspettare...

Diamo tempo alla preghiera come la zolla che si offre all’acqua che la vivifica e la rende feconda. Una preghiera che ci renda, pazienti servitori dei cieli,

amici misericordiosi di chi attende, che tutto acquisti senso.

Diamo tempo all'ascolto per imparare a parlare, al sognare per poter sperare…

 

Sorrivoli  04 - 11 - 2020

Pasquale

 

 


VI domenica di Pasqua - 17.05.2020

Vangelo  Giovanni 14, 15-21


​In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.

Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.

Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

 

"Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe:

la sua speranza è nel Signore suo Dio,

che rimane fedele per sempre:

il Signore sostiene l’orfano e la vedova". ( salmo 146)

- "Non vi lascerò orfani"

La fedeltà di Dio si mostra nel sostenere l'orfano e la vedova:  le persone senza protezione, senza qualcuno che si prenda cura di loro.

La fedeltà di Dio si presenta attraverso delle promesse: “Io pregherò il Padre” (v. 16), “Non vi lascerò orfani” (v. 18), “Verrò da voi” (v. 18).  

Promettere è dare forma al futuro mediante le nostre parole. La promessa disegna il futuro. La promessa è l’amore che si impegna, che diviene responsabilità, che assume l’altro e la storia. Sì, la parola della promessa esprime l’amore di chi promette. E manifesta l’amore come volontà di prossimità, di presenza, di non abbandono: non vi lascerò orfani, verrò da voi, sarò in voi. E come ogni amore autentico è impegno e fatica.

- Pregherò per voi…pregare è farsi carico del peso degli altri.

Il Padre vi darà un Paraclito: parola difficilmente traducibile per indicare lo Spirito nella sua funzione. Lo Spirito è colui che chiamato, (da qualcuno per qualcosa) viene in soccorso, in aiuto, in difesa. E' al tuo fianco quando sei in difficoltà.

Il Paraclito è lo Spirito di Verità. Diceva Turoldo: "mi interrogo su cosa significhi - Spirito di verità -? Non basta la verità, bisogna avere lo Spirito di verità! Posso avere la verità, ma non lo Spirito. Tutte le verità, tutte le teologie senza Spirito sono opprimenti".

Lo Spirito di Verità permette di accogliere i comandamenti e di osservarli.

Chi accoglie i miei comandamenti, chi mi ama, li osserva…

I comandamenti sono i suoi, non sono più quelli di Mosè. Non sono imposti, ma sono dentro di noi. Se uno ama , osserva, guarda con attenzione, cerca di cogliere i desideri dell'altro, porta sempre con sé lo Spirito dell'altro.

“Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” (v. 15); “Chi accoglie (letteralmente: “ha”) i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (v. 21). Osservare i comandamenti rinvia a una pratica che investe tutto il corpo, come ricorda il Deuteronomio che chiede che i comandamenti stiano fissi nel cuore, siano legati alla mano, siano come pendaglio tra gli occhi, siano ripetuti mentre si è in cammino, quando si è in casa, siano detti ai figli, siano presenti allo spirito dell’uomo quando si corica e quando si alza, cioè sempre (cf. Dt 6,6-9). E questo è ciò che dà adempimento al comando del Signore “tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6,5). Solo quando il comando del Signore passa nel corpo, diviene cioè gesto, relazione, storia, esso plasma e cambia chi lo mette in pratica.

La seconda lettura riporta queste parole di Pietro:

"…pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi". (1 Pt.3,15)

La speranza a cui dobbiamo rispondere e che nessuno si senta orfano.

Penso che oggi noi siamo chiamati ad essere il Paraclito per tutti gli "orfani" del nostro tempo, per tutti coloro che chiamano chiedendo aiuto.

In una società, nella quale si impone la disuguaglianza in dignità e diritti, restare indifferente o in silenzio è in definitiva rendersi complici delle sofferenza dei più deboli. L'amore e l'osservanza dei comandamenti si manifesta nell'essere benedizione per gli altri.

In un mondo che toglie il respiro, lo Spirito, un mondo che alimenta la menzogna, solo persone piene di Spirito di verità, potranno imprimere una svolta nuova alla civiltà e alla storia. L’esito del dono dello Spirito è trasformare chi si lascia abitare dallo Spirito in uomini e donne portatori di benedizione.

Beati i poveri, ricchi solo dello Spirito: di essi è il regno dei cieli. Sì, perché il cielo, il cuore dell'uomo è la dimora dello Spirito.

 

Da domenica 24 maggio riprenderemo a fare la messa.

Si farà a Villa Dionora alle 11,15.

 

Queste riflessioni cercheremo di portarle avanti fino alla festa di Pentecoste:

 31 maggio!

Don Pasquale

IV domenica di Pasqua - 03.05.2020

 

 - Dal Vangelo di Giovanni 10,1-11.16

 

“In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 

Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: 

«In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore…Ed ho altre pecore che non sono di questo ovile. Anch'esse devo guidare, ascolteranno la mia voce e saranno un solo gregge, un solo pastore”

 

 

 Commento:

 

 - "Il pastore, perché sia pastore veramente, deve essere buono: come l'uomo è veramente uomo quando è buono.

Ma la bontà è parola troppo generica e può essere abusata facilmente da chiunque.

"Perché mi chiamate buono? Uno solo è buono, il Padre mio che è nei cieli".

Ed ecco che Gesù per restituire alla bontà il suo genuino valore, la sottrae ai criteri di perfezione individuale, dandole per misura la croce.

"Il buon pastore è colui che mette la propria vita per le sue pecore". 

Secondo il Signore non ci sono vie di mezzo: o si è pastori buoni o mercenari. In un qualsiasi ufficio se non sono disposto "a mettere la mia vita", sono un mercenario. (D. primo Mazzolari)

 

 - Il buon pastore entra per le porta: la porta è l'intelligenza e la libertà dell'uomo!

   Il guardiano gli apre: Noi siamo il guardiano della nostra vita. 

   Il pastore buono entra per la porta, nel rispetto della libertà, senza forzare…

   La porta si apre dal di dentro.

 - Le pecore ascoltano la sua voce: voce è un termine che dice relazione, intimità.

   Prima ancora delle cose dette, viene la voce.

   Nel Cantico dei Cantici si dice: "mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce!".

   Il rischio è quello di passare da una chiesa che ascolta ad una chiesa che parla.

   Ci sono persone che hanno bisogno di essere ascoltate, perché solo se

   ascoltate possono sapere che ci sono e ci sono per qualcuno.

   La prima maniera di dire ad un altro : "tu ci sei per me", è mettersi in ascolto. 

   Ascoltare è amare. 

   Questa voce è iscritta nel cuore di ogni uomo, nel cuore delle cose…

   Chi è dalla verità ascolta la mia voce.

 - Chiama per nome. In genere le persone sono numeri. per Dio sono nomi, storie.

 - E le fa uscire. Il buon pastore non rinchiude le pecore in altro recinto, ma dona loro

   la libertà. 

 - Ci sono altri recinti, altre pecore…anch'esse io devo condurre fuori.

   I luoghi ristretti, chiusi sono tanti e diversi. Da tutti il buon pastore vuole fare

   uscire chi vi è rinchiuso. In questo tempo di chiese vuote sarebbe bello non 

   preoccuparci di tornare a riempirle, ma di come ridare un' anima al mondo.

 -  Un solo gregge e un solo pastore: non dice un solo ovile. Il buon pastore non è 

   colui che viene per fare un solo recinto un solo ovile, magari più grande, ma per 

   portare tutti fuori da ogni ovile. Si parla di un solo gregge fuori da ogni ovile, che

   pascola in libertà.

   Per dire pascolo usa il termine "nomè" che assomiglia molto a nomos, che  

   significa legge. In Gesù non si trova una dottrina da osservare, ma un pascolo 

   dove potersi nutrire per vivere.

   "io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in sovrabbondanza:"

 - L'aspetto decisivo per un pastore non è l'aspetto cultuale, rituale, o sacro. 

   Non è l'ortodossia delle idee religiose, né che che il pastore sia celibe o sposato,

   uomo o donna…Gesù non fa riferimento a nessuna di queste cose. 

   Cosa interessa a Gesù? La relazione esemplare del pastore con il suo gregge!

  - Riprendiamo le parole di don Mazzolari:

Si cerca un uomo.

Si cerca per la Chiesa un prete capace di rinascere

nello Spirito ogni giorno.

Si cerca per la Chiesa un uomo senza paura del domani

senza paura dell'oggi senza complessi del passato.

Si cerca per la Chiesa un uomo

che non abbia paura di cambiare

che non cambi per cambiare

che non parli per parlare.

Si cerca per la Chiesa un uomo

capace di vivere insieme agli altri

di lavorare insieme di piangere insieme

di ridere insieme di amare insieme

di sognare insieme.

Si cerca per la Chiesa un uomo

capace di perdere senza sentirsi distrutto

di mettere in dubbio senza perdere la fede

di portare la pace dove c'è inquietudine

e inquietudine dove c'è pace.

Si cerca per la Chiesa un uomo

che sappia usare le mani per benedire

e indicare la strada da seguire.

Si cerca per la Chiesa un uomo

senza molti mezzi, ma con molto da fare,

un uomo che nelle crisi non cerchi altro lavoro,

ma come meglio lavorare.

Si cerca per la Chiesa un uomo

che trovi la sua libertà nel vivere e nel servire

e non nel fare quello che vuole.

Si cerca per la Chiesa un uomo

che abbia nostalgia di Dio,

che abbia nostalgia della Chiesa,

nostalgia della gente,

nostalgia della povertà di Gesù,

nostalgia dell'obbedienza di Gesù.

Si cerca per la Chiesa un uomo

che non confonda la preghiera

con le parole dette d'abitudine,

la spiritualità col sentimentalismo,

la chiamata con l'interesse,

il servizio con la sistemazione.

Si cerca per la Chiesa un uomo

capace di morire per lei,

ma ancora più capace di vivere per la Chiesa;

un uomo capace di diventare ministro di Cristo,

profeta di Dio, un uomo che parli con la sua vita.

Si cerca per la Chiesa un uomo.

III domenica di Pasqua - 26.04.2020

 - Non so se sia nata prima la messa o prima questo racconto: di certo una rispecchia l'altro. E' bene leggere questo racconto come fosse una messa.

 - La messa è un camminare insieme , mai da soli, portando il peso dei propri problemi, lasciandoci interrogare da questi. 

 - Permettere a chi viene da fuori di darci una lettura che da soli, all'interno dei nostri schemi non riusciamo ad elaborare. 

 - Mettere insieme le nostre storie con quella di Dio per farle diventare cibo per la nostra vita e una finestra per la nostra speranza. 

 - Spezzare il pane e donarsene un pezzo.

 - Riprendere infine il cammino con rinnovato entusiasmo, anche se la strada si presenta in salita, perché il ritorno a Gerusalemme è in salita e al buio.

 

 - "Due di loro erano in cammino verso un villaggio distante 60 stadi da Gerusalemme, di nome Emmaus…"

Uno stadio è 600 piedi, 60 stadi sono 36.000 piedi, circa 11 Km.

Ma nessuno ha mai trovato dove fosse questo villaggio, forse perché è impossibile trovare il luogo delle nostre fughe!

In Luca tutto il vangelo racconta il viaggio di Gesù verso Gerusalemme, qui invece si narra della fuga da Gerusalemme. Gerusalemme rappresenta il luogo della presenza di Dio, questi due invece si allontanano da Dio.

- Pur fuggendo non se ne vanno da soli, sono in coppia e nonostante tutto parlano fra di loro: anzi riflettono, discutono, pregano: sono tre i verbi che cercano di descrivere il loro parlare.

Parlano delle cose che sono accadute. Il loro cuore brucia ancora al ricordo di Gesù.

Non hanno ancora elaborato il lutto per la sua morte.

Cercano insieme: la resurrezione sarà sempre un argomento caldo e dibattuto,  motivo di speranza, ma anche di eventuale delusione.

E Gesù? Cammina con loro…insegue tutte le nostre fughe, come quel pastore che va in cerca della pecorella smarrita.  

 Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro…Quando noi parliamo di lui, il Signore è presente. Veramente quando tu parli di uno che ti sta a cuore, lui è presente. Una persona è presente nel racconto che se ne fa. 

 -Ma i loro occhi erano "impossessati" perché non lo riconoscessero.

I nostri occhi non vedono la realtà, perché posseduti dalle nostre paure e delusioni.

 Ed ecco che Gesù, dopo aver camminato con loro, fatto silenzio, ascoltato, rivolge la parola e domanda: di cosa state parlando? 

Era accaduto un giorno che mentre erano in cammino verso Gerusalemme: gli apostoli, si erano messi a parlare tra loro, senza farsi sentire da lui finchè si avvicinò per far loro la stessa domanda: "che discorsi state facendo tra voi lungo il cammino?". Allora parlavano di chi fosse il più grande...

Si fermarono col volto scuro: il volto è relazione, se è scuro , nero, vuol dire che non c'è relazione , è espressione di una morte che è dentro.

Tu solo sei così forestiero, "straniero" da non sapere cosa è capitato? Sembra che vedano quello che è capitato come riguardasse solo loro.

 Insiste: che cosa?

Nella risposta c'è una perfetta lezione di catechismo: sanno tutto di Gesù, di Dio, conoscono il vangelo a memoria…ma non hanno capito niente!

Speravamo…Si è dimostrato un sognatore… Ha sbagliato i calcoli… ci avesse ascoltato…avesse fatto accordi con qualche potente, invece se li è messi tutti contro: i romani, i sacerdoti, i capi del popolo, e anche noi che eravamo pronti a tutto…ci ha traditi, eppure sapeva bene che saremmo stati disposti a combattere e morire per lui se solo ce lo avesse chiesto. Invece col suo rifiuto di ogni forma di potere…eccoci qua, senza progetti, senza speranze…tornare alla solita vita di prima senza gusto. 

La storia la fanno i potenti! 

Questo è ciò che vedono!

 - Allora prende lui la parola, il forestiero! 

"Il forestiero ha negli occhi la luce di mari lontani, vorrebbe aprire nuovi orizzonti. 

Ha nei capelli il soffio di venti forti, vorrebbe dissipare nebbie e foschie.

Ha nella bocca il sapore di suoni ignoti, vorrebbe narrare vicende seducenti.

Ha nel cuore il ricordo di volti amati, vorrebbe offrire mani amiche". (Hans Weissen)  Definisce il loro malessere, il loro stato d'animo: gente senza cervello e senza cuore, che non sa usare né la testa né il cuore.

Non è facile constatare all'improvviso che di noi stessi e della nostra vita sappiamo meno di quanto credessimo.

Allora comincia a spiegare loro tutte le scritture, cominciando da Mosè, cioè dall'inizio della storia, cerca di raddrizzare le loro aspettative. La vita di una persona non si riduce al tempo in cui tu ne hai fatto esperienza, non puoi ridurla all'arco di tempo che va dalla nascita alla morte, tanto meno a quei pochi anni in cui tu l'hai condivisa. La vita di una persona ha radici molto antiche, perché: "amati prima della creazione del mondo" (Gv. 17,24)

Ogni essere umano è un miscuglio di paura e desiderio, di polvere della terra e polvere delle stelle. E mentre si avvicinano al villaggio, fa come se dovesse andare oltre, e in questo andare oltre ci sta tutto il mistero della vita: la vita non si ferma con la morte. Il villaggio, per noi è l'ultima tappa della vita, mentre per Dio c'è sempre un "oltre"…

Questo intendeva Gesù, quando dice di Lazzaro: scioglietelo, lasciatelo andare oltre... o a  Maria di Magdala: non trattenermi...

C'è un prima e un oltre della vita che noi non conosciamo, non vediamo, se non solo di schiena e in maniera confusa, come Dio dice a Mosè,…(Es. 33)

 "Non so se la vita sia corta o troppo lunga per noi.

Ma so che niente di ciò che viviamo ha senso se non tocco il cuore delle persone.

molte volte basta essere grembo che accoglie,

braccio che avvolge, parola che conforta,

silenzio che rispetta, gioia che contagia,

lacrima che scende, sguardo che accarezza, 

desiderio che sazia, amore che incoraggia.

…Felice colui che passa ad altri ciò che sa e impara ciò che insegna".

(Cora Coralina)

 Resta con noi…

Forse tutto il cammino e il dialogo è orientato a questo: suscitare il desiderio di stare insieme. La delusione frutto di false aspettative, viene trasformata in desiderio.

 Entrò e "quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro" …il pane ha accompagnato tutta la vita di Gesù. E' nato a Betlemme, casa del pane è morto lasciando come segno il pane, quel pane che spesso aveva spezzato …

Così è della vita: nel momento della massima sua realizzazione non va conservata, va sempre spezzata, proprio come il pane. Gesù era arrivato a Gerusalemme, aveva realizzato se stesso…doveva spezzarsi per andare oltre! 

Ed è davanti a quel pane spezzato che i loro occhi si aprono e lo riconobbero…ma lui sparì alla loro vista!

Proprio come successe al centurione che assistette alla morte in croce di Gesù: "vedendolo morire in quel modo, disse: veramente quest'uomo era figlio di Dio". (Mc.15,39)

E' proprio nel momento in cui sparisce o muore che lo riconoscono. 

Allora se dovessi dire dove  hanno riconosciuto Gesù e l'hanno visto vivo, io direi che era in quella frattura, nello spazio vuoto che si è creato spezzando il pane. Uno spazio che è come una finestra che si apre. Un vuoto che noi troppo spesso ci siamo preoccupati di riempire di finte certezze, che inevitabilmente ci hanno deluso. Lo spazio vuoto va lasciato vuoto, libero…

Il tempo che stiamo vivendo ha creato dei grandi spazi e tempi vuoti. Facciamo in modo che non siano motivo di paura ma di speranza, che siano per noi una fessura una finestra, un'apertura  da cui far entrare qualcosa di nuovo come quello straniero….Il vuoto è lo spazio in cui possiamo costruire relazioni nuove, relazioni povere nate dall'essenziale, da parole e gesti spontanei, veri…umani.

 Quando si fa la messa e la comunione bisognerebbe che ognuno  spezzasse il pane per donarlo all'altro, uscendo ciascuno da se stesso per incontrare l'altro in quello spazio libero.

Resta con noi…cosa resta?

Il gusto delle cose quotidiane vissute con l'apertura e la cura di chi invita un amico a cena.

Resta che quando una persona non la riconosci più, riprendi a cercarla più in profondità.

Gesti, che insieme alle parole scaldano il cuore!

E fu sera e fu mattina…

A questo punto davvero i ciechi vedono,  gli storpi camminano, i sordi odono, i muti parlano e le mani abituate a prendere per privare l'altro imparano ad accogliere tutto come dono per condividerlo…

E quei due risorgono e riprendono il cammino, vanno oltre per una nuova esperienza di Dio e della comunità. Quando umano e divino cenano alla stessa tavola, allora l’ordinario diventa straordinario. Risorgere è la ricetta per dare infinito gusto alla vita, perché permette di riconoscere la vita nascosta in ogni cosa: a casa, al lavoro, nel dolore, nella fatica, nelle relazioni, nella luce sulle foglie... in tutto, perché solo ciò che viene fatto con e per amore diventa vivo. Così la «vita di sempre» diventa la «vita per sempre». Solo se usciremo con piedi, occhi, cuore e mani nuovi solo così «ce la faremo». E la Messa che è il segno di quello spazio vuoto diventerà nuova…risorta!

 Una scultura di Rodin consiste in un paio di mani, due mani destre che si allungano, si incrociano e si toccano nel punto più alto delle dita, disegnando un arco. E' definita: la cattedrale!  Una cattedrale realizzata dalle nostre mani aperte, disponibili, supplicanti. Là dove le nostre mani possono levarsi in alto esprimendo finitezza, cura, legami, ascolto, distanza, prossimità, desiderio, questo sarà sempre l'asse di una cattedrale. Fu Pascal a scrivere che "le mani sostengono l'anima".

Oggi più che mai abbiamo bisogno di mani che sostengano l'anima del mondo.

II domenica di Pasqua - 19.04.2020

Dal Vangelo secondo Giovanni   -   20,19-31 

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati;a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani;tendi la tua mano e mettila nel mio fianco;e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto;beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. Parola del Signore.


Commento di Pasquale Gentili


"Le porte del luogo dove si trovavano erano chiuse per paura…".

Era chiuso, sigillato con una grossa pietra il sepolcro di Gesù, ma dentro era vuoto, mentre il luogo dove si trovavano i discepoli era chiuso ma pieno…di paura! Un tomba è vuota, un'altra è piena!

Si direbbe che è più facile ribaltare il masso a chiusura del sepolcro che che non far saltare le nostre paure. Le paure sono la vera nostra prigione, e coloro che ci vogliono fermi e sottomessi conoscono una strategia vincente per orchestrare e dilatare le paure.

Ma non si esce dalle proprie paure da soli. E' necessario che qualcuno   venga dall'esterno. Fu così per gli Ebrei: per tirarli fuori dall'Egitto, dovette intervenire Mosè. Fu così per Gesù: per uscire dal sepolcro dovettero intervenire Dio e il pianto delle donne.

Ci vuole qualcuno per porti un soffio di vita, una boccata d'aria pura, frutto di parole e gesti: la parola è pace - il gesto è dato dalle mani, dal tatto.

Pace, è la parola, il dono che libera. Per superare la paura non ci vuole il coraggio, ma le relazioni. Solo queste possono aiutarci a vincere la paura degli altri e del ricordo delle nostre fughe, dei nostri tradimenti, del nostro peccato.

"Pace a voi…" commentava così Tonino Bello  queste parole: "sono le primissime parole del Risorto pronunciate davanti alla comunità…vanno accolte con tutta l'attenzione che si deve a un manifesto programmatico.

Chiesa di Dio, questo è il tuo progetto politico, la tua linea programmatica: la pace, non la tua sistemazione "pacifica". La pace non il consenso della gente…

Non ti scoraggiare, chiesa di Dio, anche se il compito che ti ha assegnato il risorto è difficile, richiede una carica eccezionale di speranza e ti espone al rischio di essere considerata ingenua, visionaria… Ma chi altro può parlare di pace se non tu a cui il mondo sta riservando lo stesso trattamento che il giorno di pasqua i discepoli riservarono alle donne che annunciavano di aver visto il risorto? - Quelle parole parvero loro un vaneggiamento e non credettero ad esse!-.

Allora la risurrezione era il "vaneggiamento" di fragili donne. Oggi la pace è il "vaneggiamento" di una fragile chiesa. (30 marzo 1986)

E' quello che ha fatto Gesù. E' quello che siamo chiamati a fare noi, come mandati da lui.

«Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

 - Nel capitolo 20 del vangelo di Giovanni si succedono due scene: l'apparizione a Maria di Magdala e l'incontro con Tommaso.

A Maria dice:"non mi toccare". A Tommaso: "metti qua il tuo dito…".

La fede cristiana è un’educazione al tatto. Essa ci invita a prendere atto del peso del nostro corpo. Il nostro tempo è caratterizzato dalle tecnologie del “senza contatto”. Efficacia, rapidità, indipendenza. L’andamento del senza contatto è leggero: realizza a meraviglia il sogno di un’umanità liberata dalla pesantezza dei corpi e dai rischi del contatto. Non è forse questa una delle grandi trappole, quella in cui cade così spesso il cristianesimo, troppo pronto a credersi liberato dal peso dei corpi e delle pulsioni?

La nostra vita ha un peso e i nostri contatti sono i primi a farcelo sentire.   Nella fede cristiana il tatto occupa un posto cruciale. Il tatto nel cristianesimo non è tuttavia oggetto di divieti, ma non è senza limiti. Gesù tocca e si lascia toccare. Tommaso, senza che Cristo trattenga la sua mano, non lo tocca: mette lui stesso un limite al suo toccare. La fede nel risorto ci fa scoprire che ignoriamo la portata del nostro corpo: il corpo è più di ciò che vediamo e tocchiamo. I vangeli rivelano ciò che, nelle nostre esistenze, è intangibile ed eccede l’esperienza del tatto come atto di afferrare. Non afferro l’altro, ma lo scopro. Dio tiene a noi senza trattenerci, come un Padre felice di vedere i suoi figli e le sue figlie seguire la propria vita. «Va’, la tua fede ti ha salvata» dice Gesù alla donna che, nella folla, gli ha chiesto la salvezza: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». Dopo averla udita, Gesù non la trattiene. Il mondo che mi è dato di sentire e di gustare palpita d’incontri, sensibili e parlanti. Chi non misura le sue pesantezze non potrà farsi libero e rispettare l’altro con grazia.

Allora: "beati quelli che non hanno visto, toccato e hanno creduto".

 Le ferite, sembrano essere la prova che la religione non è capace di produrre salvezza. Ma nessuno che abbia lottato per la pace è stato esente da persecuzioni e spesso non ha visto o toccato i risultati sperati. Ma non si può credere nella risurrezione senza far coincidere questa fede con la speranza della pace.

Beati, non sono quelli che hanno creduto senza aver visto, toccato Gesù, ma quelli che senza aver visto/toccato con mano i risultati di tante fatiche, lotte e croci hanno continuato a credere che quella fosse la vita.

Queste cose sono state scritte perché abbiate la vita…

Dagli Atti degli Apostoli ( 2,42-47) - 17.04.2020

[Quelli che erano stati battezzati] erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. 

Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. 

Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 

Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. 

Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.


Commento di Marco Campedelli

C’è un’intensa pagina de Il sergente nella neve in cui Mario Rigoni Stern racconta di un pasto di guerra, consumato tra soldato nemici, in cui, in un tempo sospeso e immobile, che tutto rende possibile – anche la improbabile fraternità degli opposti – si avvera il sogno di una umanità riconciliata ( anche se solo per il tempo di una minestra calda ), coagulata attorno al più elementare bisogno umano – quello del cibo, appunto – ma capace di alimentare la promessa di un mondo migliore. Una sorta di liturgia “laica” che potrebbe consentire alle nostre liturgie spente di ri-colmarsi di senso . “Sento anche che ho fame, e il sole sta per tramontare. Attraverso lo steccato e una pallottola mi sibila vicino. I russi ci tengono d’occhio. Corro e busso alla porta di un’isba. Entro. Vi sono dei soldati russi, là. Dei prigionieri? No. Sono armati. Con la stella rossa sul berretto! Io ho in mano il fucile. Li guardo impietrito. Essi stanno mangiando attorno alla tavola. Prendono il cibo con il cucchiaio di legno da una zuppiera comune. E mi guardano con i cucchiai sospesi a mezz’aria. Mnié klocetsia iestj, (datemi da mangiare) dico. Vi sono anche delle donne. Una prende un piatto, lo riempie di latte e miglio, con un mestolo, dalla zuppiera di tutti, e me lo porge. Io faccio un passo avanti, mi metto il fucile in spalla e mangio. Il tempo non esiste più. I soldati russi mi guardano. Le donne mi guardano. I bambini mi guardano. Nessuno fiata. C’è solo il rumore del mio cucchiaio nel piatto. E d’ogni mia boccata. Spaziba, (grazie) dico quando ho finito. E la donna prende dalle mie mani il piatto vuoto. Pasausta, (Prego) mi risponde con semplicità. I soldati russi mi guardano uscire senza che si siano mossi. Nel vano dell’ingresso vi sono delle arnie. La donna che mi ha dato la minestra è venuta con me per aprirmi la porta e io le chiedo a gesti di darmi un favo di miele per i miei compagni. La donna mi dà il favo e io esco. Così è successo questo fatto. Ora non lo trovo affatto strano, a pensarvi, ma naturale di quella naturalezza che una volta dev’esserci stata tra gli uomini. Dopo la prima sorpresa tutti i miei gesti furono naturali, non sentivo nessun timore, né alcun desiderio di difendermi o di offendere. Era una cosa molto semplice. Anche i russi erano come me, lo sentivo. In quell’isba si era creata tra me e i soldati russi, e le donne e i bambini un’armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di molto più del rispetto che gli animali della foresta hanno l’uno per l’altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini. Chissà dove saranno quei soldati, quelle donne, quei bambini. Io spero che la guerra li abbia risparmiati tutti. Finché saremo vivi ci ricorderemo, tutti quanti eravamo, come ci siamo comportati. I bambini specialmente. Se questo è successo una volta potrà tornare a succedere. Potrà succedere, voglio dire, a innumerevoli altri uomini e diventare un costume, un modo di vivere.” Forse Rigoni Stern non pensava all’eucarestia, ma questa che racconta è una messa, tra le più belle che si possano celebrare. Con questo non vogliamo “battezzare” il testo dello scrittore dell’Altipiano vicentino, ma scorgere in esso il seme del Vangelo. E allora rivisitiamo questa “messa laica”. È un rito che sospende la violenza. C’è un rapporto ambiguo e forte tra la violenza e il sacro. Spesso la violenza cerca nel sacro una forma di legittimazione. Qui, in questa scena di guerra, sembra che la violenza non solo sia come sospesa ( è infatti molto più che armistizio ) ma che sia del tutto disarmata. Quando l’uomo appare, ed è più uomo che nemico, le armi stanno in silenzio. Vi sono valori “sacri” quali patria, difesa, onore, che la violenza ha sempre garantito. E spesso dio è rimasto impigliato in qualche labaro di guerra…. mentre il Dio vero moriva da una parte e dall’altra del confine. Una messa dove la donna “spezza il pane”. Il femminile esprime la cura di Dio…. Questa donna compie per il “nemico” il gesto abituale che compie per il fuglio, per lo sposo. Come se le fosse estraneo il gioco della guerra. Sembra guardare con gli occhi di Dio. E infatti vede l’uomo. La donna si prende carico di questa messa. Esprime un’adesione ad un progetto… non solo serve la cena ma accompagna l’uomo verso il mondo. Lo porta sull’uscio come per iniziarlo al mondo con un nuovo rito. Gli consegna un alfabeto di pace. Lo fa con un gesto. Dando all’uomo il favo. Questa è l’ambascia che arriva dal nemico di ieri che oggi è fratello di miele. Una messa dove i bambini imparano. In tempo di guerra i bambini imparano la legge dell’amore: “Ci ricorderemo…. come ci siamo comportati, soprattutto i bambini…” dice il sergente della neve. Spesso i grandi nascondono ai bambini le cose migliori. Raramente permettono loro di vedere i miracoli. Ma quando questo accade, i bambini sono i primi a guarire e da allora diventano uomini e donne per sempre. Una messa che si ricorda di chi non c’è, di chi è lontano, di chi è stato rispedito indietro contro le rocce del mare. Anticamente la chiesa dopo la messa faceva portare il frammentum ai malati, ovvero un pezzo del pane dell’eucarestia celebrata insieme. Non era un pane di avanzo. Era il pane diviso tra tutti, anche per l’assente, per i lontano, per il ferito. Quel favo portato agli amici è la messa che continua a nutrire la vita degli altri, a riempire di dolcezza anche le notti più amare. È il pane che guarisce le ferite…. Che disarma e riscrive la storia con il sapore del grano. È messa che cambia lo sguardo sul mondo questa, una messa per vivere un’etica nuova “un costume, un modo di vivere…” come scrive Rigoni Stern. Vi sono tante vite, che hanno perso tutte le tutele del sacro, ma sono nella loro umanità, incomparabili eucaristie; e tante messe dissacranti, che invocano il dio dei cannoni, di mercati, del potere. Fa impressione che andando a raschiare sul fondo del Vangelo si scopre che la messa di Gesù fu una messa laica. E proprio per questo scatenò tanto scandalo. Ma forse per questo stesso motivo Dio affondò in quel pane la sua inconfondibile impronta. Pierpaolo Pasolini non credeva nella divinità di Gesù, ma credeva che Gesù era “divino” in quanto la sua umanità era così alta, autentica, compassionevole da essere come quella di Dio. Forse bisogna cominciare da qui: dall’uomo. Proprio da dove cominciò Dio, quando ne inviò uno sulla terra, per innamorarsi, conoscere le lacrime e le gioie più vere, morire e risorgere. Quell’uomo, il figlio di Dio, così simile a me… 


Pasqua - 12.04.2020

  TRA MEMORIA E SPERANZA

Tracce per una liturgia pasquale familiare nell’anno del Signore 2020

 Questa traccia è stata pensata da Brunetto Salvarani, su sollecitazione di Marco Campedelli e Pasquale Gentili, che l’hanno opportunamente integrata. Si tratta di un percorso per la notte della vigilia di Pasqua, o per il pranzo pasquale. 

E’ una proposta semplice, che naturalmente si potrà modulare rispetto alle differenti situazioni che ci si troverà a vivere. 

Buona Pasqua! Cristo – nonostante tutto - è veramente risorto!


Quest’anno del Signore 2020, per le ben note vicende legate alla diffusione del Covid-19, si creerà nella chiesa cattolica (anche nella chiesa cattolica) una situazione mai verificatasi nei suoi duemila anni di storia. La Pasqua non vedrà liturgie partecipate nelle chiese dalle comunità, ma, al massimo, un’eucaristia da seguire in streaming, sui social o alla TV. Sostanzialmente, in tutto il mondo, o quasi.

Vale la pena di riflettere su quanto ci sta accadendo. Tempo maledetto, di morte, di silenzi e di assenze? Oppure kairòs inatteso, non cercato né voluto ovviamente, ma che ci richiama alla necessità conciliare di interrogare con sapienza gli odierni segni dei tempi? Scegliendo questa seconda pista, crediamo si tratti di un’occasione preziosa – ripetiamo: non cercata né voluta, ma che ci è capitata e alla quale siamo chiamati a far fronte il più possibile dignitosamente – per misurare la temperatura della nostra fede cristiana, della nostra aderenza al messaggio evangelico e della nostra fedeltà al dettato conciliare.

Alla luce di queste considerazioni, e naturalmente senza contrapporsi all’idea di seguire messe per TV o sul tablet, saremo convocati a prendere sul serio un’idea circolata abbondantemente negli anni del Vaticano II, e poi in genere disattesa, per molte ragioni che qui non ci interessano: famiglia piccola chiesa. Una piccola chiesa più o meno scalcagnata che ha la possibilità di celebrare restando a casa (il mantra di questi giorni!) la liberazione ottenuta dai suoi padri nella prima Pasqua, uscendo dall’Egitto della schiavitù, e poi ripresa annualmente dalla tradizione ebraica nel seder di Pesach, quindi fatta propria dalle prime comunità cristiane nel segno di un memoriale potente, su invito dello stesso Gesù/Yehoshua ben Yussef, fatto ai suoi discepoli durante quella che ci siamo abituati a definire l’ultima cena. Si tratterà di una liturgia familiare e laica, lunga o breve non importa, più o meno ricca di cibi e bevande, in cui in ogni caso avverrà il miracolo di una presenza vivente di Gesù stesso (Mt 18,20). E mai come quest’anno questa liturgia somiglierà, volenti o nolenti, al seder pasquale ebraico, assumendo potenzialmente il carattere di una riconciliazione con i nostri fratelli maggiori non teorica o intellettuale, ma pratica e vissuta…

  

Questa liturgia potrebbe essere scandita da cinque tappe, qui brevemente richiamate:

1) La tavola imbandita. La famiglia è impegnata nella preparazione: dei cibi, delle bevande, della tavola adeguatamente predisposta, del clima di attesa per una festa che sarà davvero sui generis

“E’ la nostra piccola Pasqua”, quella fatta qui in casa.  La più “povera” forse. La più sentita, “forse”. Mai come in questa Pasqua abbiamo sentito la voglia di rinascere, di uscire, di fare festa, di abbracciarci. Questa è la Pasqua povera dove coltivare il sogno, il progetto di un mondo nuovo che deve rinascere dopo un tempo di esilio e di morte. Questa piccola casa stanotte è piantata nel cuore del mondo e spera con tutti quelli che sperano. “Questa è la nostra Pasqua!”

Accensione della candela.  Evocando il gesto della donna, della madre nella famiglia ebraica che all’inizio della celebrazione del Sabato o nelle feste accende la candela, la mamma accende la candela in silenzio.  Ricordiamo qui l’inizio del mondo. Ma anche il nostro venire alla luce, le nascite e le rinascite. In questo tempo difficile di oscurità in cui viviamo, la luce esprima la speranza, il “vedere la luce in fondo al tunnel”, dopo la fine della pandemia. 

Mentre la donna, la mamma accende la candela:

“Chissà come sarà stata la prima volta che la luce venne nel mondo! La prima volta che la terra si guardò, la prima volta che si riempirono di luce le stelle, la prima volta che anche noi siamo venuti alla luce... In questa notte tutto rinasce. Tutto germoglia. Questa luce della Pasqua vince il buio della paura e della morte. La accendiamo stanotte nel cuore del mondo come un fuoco intorno al quale raccontarci la vita. Che la luce risplenda nei nostri occhi!”

 

2) La sedia vuota. Nella tradizione del seder, si è usi conservare una sedia vuota e la porta aperta, per due motivi: perché potrebbe sempre sopraggiungere, nel bel mezzo della cena, il profeta Elia, figura escatologica per eccellenza; ma anche perché alla porta potrebbe affacciarsi un pellegrino, un viandante, un mendicante (si ricordi la bella poesia di Primo Levi intitolata Pasqua)… che ha diritto, anche lui, di celebrare la liberazione pasquale! Quest’anno, a Elia e al pellegrino, potrebbe aggiungersi un terzo significato per la sedia vuota: che sarà anche la sedia dell’assente, di chi è stato sommerso (per dirla ancora con Levi) dal virus o dalle sue conseguenze, e che ha diritto a una memoria da parte di tutti noi…

“Questa sedia vuota è quella preparata per chi deve venire. Per Elia il profeta rapito sul carro di fuoco, per Gesù che cammina con noi e si siede nell’osteria di Emmaus e spezza il pane, beve il vino rosso della passione e dell’amore. Questa è la sedia di chi non è visibile agli occhi, ma è con noi. Di quelli che sono stati prima di noi. Di quelli e quelle che questa pandemia ha portato con sé. La sedia del migrante, del figlio, dell’amico o dell’amore lontano, la sedia dell’ultimo che non trova posto. Questa sedia vuota stanotte ci ricorda il banchetto che sogniamo, in cui nessuno sarà escluso. La festa che ci attende e che già stanotte noi iniziamo...”

3) I racconti della speranza. Uno spazio adeguato andrebbe riservato alle narrazioni (così come avviene nel seder ma anche, a ben vedere, nell’eucaristia, con le letture bibliche della Liturgia della Parola): racconti sacri oppure profani (se esiste qualcosa di profano nella vita umana…), di ispirazioni diverse, ma soprattutto racconti intrisi di speranza, nello spirito autentico – ancora una volta – del seder e dell’eucaristia… Se ci sono bambini, questi ultimi potrebbero domandare al capofamiglia la ragione di questo pasto speciale, a imitazione di quanto avviene nel seder (“Perché questa notte è diversa da tutte le altre notti?”)…

“Ascoltiamo la Parola: la nostra memoria di esilio, mio padre era un arameo errante” (Deuteronomio 26, 5-11).

Sono le nostre radici che affondano nella Bibbia.  E poi il Vangelo della Risurrezione. L’incontro di Gesù con Maria Maddalena (Vangelo di Giovanni 20, 1-18). In questi racconti ci sono anche i nostri racconti, in queste storie anche le nostre storie. Ascoltiamoli e intrecciamoli insieme. E’ la notte dei racconti.  

(vedi le due letture riportate in fondo) 

 

Si leggono le letture 

 

- Un breve commento: 

La risurrezione non è una prova di forza da parte di Dio, una specie di rivincita sui suoi avversari, la vittoria del bene sul male. I sommi sacerdoti e Pilato non si scomposero minimamente quel giorno di pasqua. Ci fu un gran terremoto che fece crollare certezze politiche, economiche, religiose..fece crollare sogni, ideali, progetti, ma pochi lo percepirono…I "capi" non si resero conto di alcun terremoto…ne fecero solo una questione di soldi. Pagarono per divulgare menzogne e non vedere il vuoto.

Ma chi cerca sa distinguere la verità dal vuoto. Alle donne la voce degli angeli, parla al cuore: Voi cercate? non abbiate paura, allora! ma non cercate più qui…non cercate tra i morti…tra le cose morte colui che è vivo! 

La risurrezione è la prova più grande della fragilità di Dio.                                         Abramo partì senza nessuna garanzia. Maria Maddalena non poté trattenere nulla del Gesù che cercò di abbracciare. I discepoli di Emmaus tornarono a Gerusalemme soli, senza niente. Restava una parola che scaldava il cuore, una voce che aveva pronunciato il suo nome: Maria!   Così le donne si mettono in cammino, si fidano degli "angeli". Non tornano da chi aveva sepolto i loro desideri, ma verso i "fratelli", quell'umanità vera con tutti i suoi equilibri precari.

"Non bastano più certezze di dottrine che hanno preteso di spiegarci tutto per farci stare tranquilli, ma che ci hanno impedito di accarezzare il Mistero e di prendercene cura". (A. Potente)                    

Quale Dio dopo la Shoà? Quale Dio, quale religione, quale liturgia, quale culto dopo questa pandemia?                                                                                    

La vera liturgia oggi è celebrata da operatrici e operatori sanitari, veri e propri “ministri” di un mondo ormai cambiato. Testimonianza in greco si dice martyria, e il loro servizio arriva a volte fino al martirio. Forse le Chiese dovranno riflettere su questi uomini e queste donne a che appaiono come Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, due discepoli nascosti che deposero dalla croce «il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi» (Gv 19,40).

E' Pasqua  ma, oggi più che mai, angoscia, sopraffazione e morte non sono rubricabili a un rapido passaggio obbligato verso il radioso mattino della vittoria.        Il triduo pasquale andrà avanti per lunghi giorni e forse mesi, e dovremo interrogarci seriamente sul monito di Gesù: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona» (Lc 11,29). Parole rivolte non a tutti, ma ai credenti.                                       Al bisogno di magia più che di profezia non verrà concesso nulla. Né sarà certo il calendario liturgico a decidere quanto a lungo dovremo restare quest’anno nel buio della pancia della balena.           Scrive Carlo Maria Martini: “Non di rado mi spavento sentendo o leggendo tante frasi che hanno come soggetto “Dio” e danno l’impressione che noi sappiamo perfettamente ciò che Dio è e ciò che egli opera nella storia, come e perché agisce o in un modo e non in un altro. La Scrittura è assai più reticente e piena di mistero che tanti nostri discorsi pastorali”. La Chiesa, nel mondo dovrebbe apparire come lo spazio dove risplende la libertà e l’umanità dei rapporti, non luogo di relazioni puramente formali, deboli e fiacche, non sincere. Alla mente ritorna una pagina dello scrittore Ennio Flaiano, là dove abbozzava un ipotetico ritorno di Gesù sulla terra, un Gesù, infastidito da giornalisti e fotoreporter, come sempre invece vicino ai drammi e alle fatiche dell’esistenza quotidiana: “Un uomo” – scrive – “condusse a Gesù la figlia ammalata e gli disse: “Io non voglio che tu la guarisca, ma che tu la ami”. Gesù baciò quella ragazza e disse: “In verità questo uomo ha chiesto ciò che io posso dare”.                                                                                                                                                              

 

Per introdurre la cena, o il pranzo: 

 “Mangiamo e beviamo e facciamo festa... in questa piccola festa domestica piantiamo il seme della grande festa che faremo. Quando metteremo le tavole sulle strade e nelle piazze, quando balleremo tutta la notte per festeggiare, come si fa la fine di una guerra. Ma intanto alziamo i calici e brindiamo alla vita”.

4) Il cibo della fatica. Alla maniera della liturgia eucaristica, seconda parte della messa, si mangia (finalmente, qualcuno dirà…). Assieme. Conversando, se si vuole, senza intrecciare le voci; ascoltando gli altri; rendendo grazie a chi ha faticato per preparare il pranzo e a chi, il Signore Dio, ci ha donato senza alcun nostro merito quanto stiamo mangiando e bevendo…

5) La musica del sollievo. Alla fine del pasto, spazio alla musica, se si vuole e c’è qualcuno che sa suonare, o addirittura alla danza, o ad altri racconti… è il tempo della nostra liberazione e dell’allegria per tutte/i! Ed è, inoltre, un assaggio di mondo-a-venire… se avremo mangiato e bevuto bene, nella giustizia e nella convivialità delle nostre differenze!

Si canta ... chi può danza... si legge una poesia ... noi proponiamo questa di David Maria Turoldo: 

Io vorrei donare una cosa al Signore,

ma non so che cosa.

Andrò in giro per le strade

zufolando, così,

fino a che gli altri dicono: è pazzo!

E mi fermerò soprattutto coi bambini

a giocare in periferia,

e poi lascerò un fiore

ad ogni finestra dei poveri

e saluterò chiunque incontrerò sulla via

inchinandomi fino a terra.

E poi suonerò con le mie mani

le campane sulla torre

a più riprese

finché non sarò esausto.

E a chiunque venga

anche al ricco dirò:

siediti pure alla mia mensa,

(anche il ricco è un povero uomo).

E dirò a tutti.

avete visto il Signore?

Ma lo dirò in silenzio

e solo con un sorriso.

 

Deuteronomio 26, 5-11

Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. 6 Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. 7 Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; 8 il Signore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi, 9 e ci condusse in questo luogo e ci diede questo paese, dove scorre latte e miele. 10 Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato. Le deporrai davanti al Signore tuo Dio e ti prostrerai davanti al Signore tuo Dio; 11 gioirai, con il levita e con il forestiero che sarà in mezzo a te, di tutto il bene che il Signore tuo Dio avrà dato a te e alla tua famiglia.



Vangelo di Giovanni 20, 1-18

[1]Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. [2]Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». [3]Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro. [4]Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. [5]Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. [6]Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, [7]e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. [8]Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. [9]Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti. [10]I discepoli intanto se ne tornarono di nuovo a casa.

[11]Maria invece stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro [12]e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. [13]Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». [14]Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. [15]Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». [16]Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! [17]Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». [18]Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto.

 

PASQUA

Ditemi in cosa differisce

questa sera dalle altre sere?

In cosa, ditemi, differisce

questa pasqua dalle altre pasque?

Accendi il lume, spalanca la porta

che il pellegrino possa entrare,

gentile o ebreo:

sotto i cenci si cela forse il profeta.

Entri e sieda con noi,

ascolti, beva, canti e faccia pasqua.

( Primo Levi)

"Essere per gli altri è l'unica esperienza di trascendenza. La trascendenza consiste nel tu più prossimo."

(Dietrich Bonhoeffer)


Via Crucis - 10.04.2020

La Passione delle Donne (Marco Campedelli)

Svjatlana Aleksivic, bielorussa, Premio Nobel della Letteratura 2015,  ha scritto un libro sulle donne e la guerra. In quel contesto in cui le donne erano arruolate come gli uomini.  Scrive che la guerra raccontata dalle donne è un’altra  guerra. Si potrebbe dire questo anche se pensassimo al vangelo. Il vangelo raccontato dalle  donne è un altro vangelo. Perché vedono cose che gli uomini non vedono. 

Le donne sono secondo una espressione di Ermanno Olmi “le migliori complici di Dio”. 

Gesù le donne le ha sempre cercate, valorizzate e difese. Ha imparato da loro. Quel che volta, come insegna la pagina della Cananea sono state le donne ad aprigli gli Purtroppo noi abbiamo enfatizzato il primato di Pietro con tanto di chiavi per aprire e chiudere e abbiamo totalmente sepolto quello di Maria Maddalena. Cosa sarebbe stata la chiesa se in 2000 anni di storia non avesse rinnegato il primato di Maria Maddalena?  Quanta violenza sarebbe stata risparmiata? Quanti abusi di potere, quanti abusi sessuali, quanta arroganza teologica, quanta complicità con il potere, quante benedizioni di armi e di guerre  sarebbero stati evitati? 

E quanto bisognerà ancora aspettare perché le cose cambino? 

Gesù aveva un grande gruppo di donne che lo seguiva. I mariti erano i padroni delle mogli, prima lo erano i padri; per le donne niente scuola, niente politica, niente visibilità...

Ma Gesù entrando nelle case sospende questa legge del patriarcato: Maria sorella di Lazzaro sta davanti a lui come una donna che legge la Scrittura e ne discute, come una libera intellettuale della vita. E’una donna coraggiosa, testarda, non si adegua alle 

Leggi  che la escludono. E’ capace di osare.  Ma anche quella donna che entra e gli lava i piedi. Davanti a tutti. Mettendo lo scandalo dell’amore al centro dell’ipocrisia del sistema religioso.

Ecco perché questo Venerdì santo sono le donne a parlare. 

Diverse per storie, formazione, biografia. Donne che si occupano di teologia, ma anche di politica, di pedagogia. Donne che hanno una passione commovente per educare i loro bambini. Donne toccate da dolori sterminati. Maestre  di dignità, di coraggio.

E sul Calvario, immaginano oggi che non ci siano solo le donne che i racconti della Passione chiamano le “pie donne” tra cui sua madre e la donna a lui più vicina, e prediletta, Maria di Màgdala. 

Ma anche tutte le altre incontrate lungo il Vangelo:  Anna, la profetessa  che lo accoglie nel tempio, bambino.  Vedova e avanti negli anni. Emarginata. E’una donna che guarda lontano, oltre le apparenze, oltre i pregiudizi.   La donna curva, piegata dal dolore e dall’umiliazione. Che per legge del Sabato interpretata in modo fondamentalista, avrebbe dovuto restare inchiodata al suo male.  Una buona parte della sua guarigione è dentro il suo coraggio, la sua tenacia, la sua forza d’animo. 

La donna detta peccatrice ( in cui una certa tradizione ha identificato senza fondamento la Maddalena) che osa rompere la regole di ogni religione che in nome di Dio esclude e umilia.  Sa benissimo che quelli che li stanno davanti sono i suoi migliori clienti, religiosi per posa, per convenienza . Con la sua libertà li smaschera, La vedova di Naim che piange il suo unico figlio morto. Senza marito, senza figlio. Ridotta ad essere invisibile. Accompagna il figlio in un corteo addolorato: Ma è piena di dignità e di amore. La figlia di Giairo, malata fino alla morte.  Donna del futuro da nutrire, da rialzare, a cui dare la parola. Chissà quali sono state le sue prime parole. Ma posiamo pensare che siano state parole piene di respiro, di orizzonti, di sogni.

L’emorroissa che discriminata a causa dei tabù e del pregiudizio ha il coraggio di toccare il lembo del mantello di Gesù e dice “Sono stato io...” Una donna fiera, che non accetta di morire dissanguata da un sistema economico ingiusto, da una politica corrotta, da una sanità che in tante parti del mondo è pensata solo per i ricchi.

La vedova povera che mette una moneta nel tesoro del tempio, tutto quello che aveva per vivere. Dando una magnifica lezione di etica. E’ l’icona della rivoluzione dei piccoli che possano cambiare il sistema economico a partire dal cambiamo dello stile di vita. Molti anni dopo Premi Nobel lo confermeranno. 

Sette storie rilette con accenti e sensibilità differenti da sette donne di oggi, in modo diverso tutte e sette impegnate in prima linea sul campo della vita. 

La Passione delle donne non vorrebbe essere solo il riconoscimento del loro patire, della loro resistenza al male, della loro dignità ma anche l’ammissione da parte di tutti dell’ingiustizia, della discriminazione alla quale vengono ancor oggi sottoposte. Anche  da noi, emarginate. Ascoltare la parola significa anche preparare le Risurrezione delle Donne. Che con la loro passione e il loro coraggio come la Maddalena, vedano  finalmente riconosciuto da tutti il loro Primato. Quello dell’Amore che può davvero cambiare la Chiesa e il mondo. 

Loro donne coraggiose di ieri e di oggi  Anche in questo tempo di pandemia testimoni di resistenza, di creatività, di coraggio civile, di sentimento senza ipocrisia.

Compagne predilette di quel Gesù, che come scrive Alda Merini “era donna nel cuore”. 


La donna e la profezia (Antonietta Potente)

Un autore anonimo del IV secolo, o chissà -autrice e per questo restata anonima- ci ha lasciato una bellissima omelia per il Sabato Santo. Questa inizia così: “Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace …”. Ecco, quest’anno anche il Venerdì Santo sarà giorno di grande silenzio e chissà anche la Pasqua. Non andremmo da nessuna parte; non parteciperemo ai riti che la comunità credente celebra in questa occasione. Ciascuna, ciascuno, rimarrà nei suoi spazi, quegli spazi che forse in questo periodo abbiamo imparato a conoscere meglio, oppure quegli spazi che qualcuno di noi non sopporta più, perché stanca o stanco di questa clausura forzata. Eppure, sarà proprio questo crudo realismo, questo tempo che ci sta addosso, con la sua quotidianità, la sua incertezza e opacità; sarà l’aria silenziosa delle nostre città e dei nostri quartieri, che ci permetterà di fare memoria di questa misteriosissima morte che cammina con noi e che, anche Dio, ha raccolto. Il Venerdì Santo quest’anno sarà porta d’entrata al silenzio e alla solitudine del misteriosissimo tempo del sabato in cui non si sa niente né di Gesù, né di Dio, né della prima comunità credente. 

Sia nelle Scritture che nella tradizione apocrifa e narrativa, si dice che, in quei giorni, le donne sono state molto presenti. Alcune di loro vengono nominate, altre no e sono identificate solo in generale come “le donne”. Io invece vorrei ricordare una donna che nel racconto di Luca appare all’inizio del Vangelo, come un lampo e poi scompare. Non si sa bene chi è, ma Luca trova a lei uno spazio particolare: il tempio. Di lei si conosce il nome e anche le sue radici esistenziali. Luca ce la presenta così: “C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere.” (Lc 2, 36-38).

Perché scegliere questa donna che certamente non sarà stata tra coloro che accompagnarono Gesù quando venne arrestato, processato e ucciso. Luca ce la presenta all’inizio e ne parla come una donna molto anziana, avanza negli anni: aveva ottantaquattro anni. Inoltre, come ho detto, di lei non se ne saprà più niente. Eppure, questa donna viene definita una profetessa, cioè colei che leggendo il presente, impara a guardare e vedere lontano. Mi sembra che questa figura che, probabilmente, stava fuori dal tempio e non dentro, sia in questi giorni memoria preziosa. In questo momento in cui la realtà assorbe tutta la nostra attenzione, il nostro interesse e diventa preoccupazione totalizzante, lei ci insegna che ogni accoglienza del reale va riletta nella profezia. Il reale infatti porta con sé il passato, è significativo il fatto che lei fosse un’anziana profetessa e cioè, colei che portando addosso il passato e il presente percepisce il futuro. Anche noi oggi, portiamo i nostri errori, le nostre scelte oculate ma anche la nostra ignoranza, la nostra distrazione.  Tuttavia, il presente è gravido di possibilità: noi potremo ancora cambiare il nostro stile di vita, anche quello delle nostre anchilosate istituzioni politiche e religiose. Anna, anziana profetessa, lascia intravedere come il visibile è piccolissima cosa eppure, porta con sé l’altrove e l’altrove è possibilità di cambiamento e profonda metamorfosi. Guardare questo tempo e prenderlo con sé, come fece la profetessa Anna: sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme (v.38). In fin dei conti il reale era solo un bambino, ma lei vide molto di più. Vide la forza del presente e a coloro che aspettavano -altro atteggiamento fondamentale- diede l’annuncio di una possibile trasformazione. Questa matriarca nella sua capacità visionaria sul reale, ci aiuti. Il Venerdì Santo diventi profezia. 


MC 5,21-43 – LA FIGLIA DI GIAIRO   (Raffaella Baldacci)

 21Essendo Gesù passato di nuovo in barca all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. 22E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi 23e lo supplicò con insistenza: "La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva". 24Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.        (…IL TOCCO  dell’emorroissa..…)

35Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: "Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?". 36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: "Non temere, soltanto abbi fede!". 37E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. 39Entrato, disse loro: "Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme". 40E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. 41Prese la mano

della bambina e le disse: " Talità kum", che significa: "Fanciulla, io ti dico: àlzati!". 42E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

 

 Il TOCCO che guarisce, la carezza che porta via il dolore.

La carezza attiva un circuito dove accade che milioni di miliardi di informazioni a livello neuro-elettrico arrivano alla centralina e fanno attivare emozioni straordinarie di VICINANZA, DI ALLEANZA, DI CONFORTO, DI CONSOLAZIONE..con-solo con CHI è SOLO, in quel momento avviene un IO-IO e ai bambini non servono spiegazioni, ma serve quella capacità di comunicazione, di attenzione che Gesù esercita nei confronti della folla che cerca in tutti i modi di distrarlo, allontanarlo dalla verità della relazione che ha ri-conosciuto fra Giairo e la figlia, commosso dal dolore che sente.  

Sono frastornata e siamo frastornati, fanno un gran caos sia i pensieri e soprattutto le emozioni e i sentimenti di questo tempo strano

..ho voglia di un io io. Ciao come stai? Che è successo in questo tempo della tua vita .. della mia vita ? In tutto questo frastuono vivo una grande paura: che ci dimentichiamo dei bambini. 

“La fanciulla non è morta, ma dorme”… 

Cosa vuol dire dimenticarsi dei bambini? Sono andata ad ascoltare cosa mi hanno scritto i bambini in questi giorni e mi sono accorta della rappresentazione della realtà che loro stanno avendo di questa emergenza e del fatto che hanno bisogno di adulti capaci di rapportarsi con loro, che qualcuno li aiuti ad attraversare la fase in cui stanno vivendo e dia loro la possibilità di rappresentarsi… Con noi loro sanno e sentono tutto e tutte le news di tutti i telegiornali di tutti i documentari di tutte le informazioni scientifiche che riceviamo. Sono tutte informazioni  che parlano di vita e parlano di morte, che parlano di malattia e parlano di sanità, che dicono che si deve scegliere tra la vita e la morte. Sono delle parole, ma sappiamo che le parole sono macigni, che sono piene di significanti, piccoli o più grandi e queste parole sono per loro determinanti. Costituiscono l’immaginazione di una realtà che nessuno di noi ha vissuto alla loro età. Nessuno di noi ha vissuto una pandemia con questa situazione di rischio e di esperienza che è completamente differente da ogni previsione possibile al punto che abbiamo saputo difenderci poco e non difenderci sempre. 

Che cosa possiamo fare rispetto a questo loro sentire? esserne consapevoli, essere adulti. L'adulto ha il compito di aiutarli a comprendere: non scendendo nel tutto pieno, “non c'è niente di cui preoccuparsi”, ma neanche scendendo nel tutto è vuoto, “dobbiamo avere paura di tutto”. Quell’equilibrio non vuol dire stare in mezzo, ma significa compensare le forze interiori. Queste forze interiori non sono parole, sono vere e proprie strutture di energia che si manifestano attraverso i pensieri e le emozioni. 

“presa la mano della fanciulla” …un tocco che la riconosce nel suo essere, che restituisce fiducia-fede, che le da coraggio, questo tocco le permette di rinascere…aveva infatti 12 anni. 

Martin Luther King, difensore della democrazia in una situazione di grande emergenza anche se diversa da quella che stiamo vivendo noi, faceva questa narrazione della paura. Un giorno, trovandosi di fronte all'ascolto della sua paura, si è accorto che dentro di lui non viveva solo la paura, ma viveva anche la bontà, la volontà, la fiducia nella libertà, nella democrazia, nella speranza delle genti. Quando la paura ha bussato forte al suo cuore e alla sua mente ha pensato quale forza lo abitasse e potesse aprire alla paura e, guardando tra tutte le forze che lui aveva dentro, non era la volontà buona che poteva vincere la paura e neanche l'ideale di libertà , ma ad aprire la porta ha mandato il suo coraggio e come il coraggio ha aperto la porta alla paura, racconta Martin Luther King, la paura non c'era più ...

Alla sete noi opponiamo l'acqua, alla fame Il nutrimento, alla paura l’incoraggiamento. L'incoraggiamento non è dire “facciamo finta di niente” non è neanche dire “dai forza coraggio...” L’incoraggiamento è: “tu come la vinci questa preoccupazione forte che hai?” é quel  “TOCCO” a distanza di un metro, che salva, che permette ai bambini di potersi trasformare nonostante l’idea di morte che stanno attraversando. Non possiamo lasciarli da soli sia che siano problemi e preoccupazioni immaginarie cioè “devo avere paura o non paura di avvicinare l'altro?” o che siano problemi e preoccupazioni che hanno a che fare con un quotidiano tanto duro per tutti noi. 

Che siamo maestre o che siamo madri o che siamo padri o che siamo fratelli, amici, vicini di finestra,  il nostro compito non è solo di saper guidare, ma di CUSTODIRE i bambini e le bambine, dialoghiamo con loro che sanno fare festa, che ci riportano all’autenticità della vita, che sono portatori di speranza, che sanno volare alto come colombe che stringono nel becco un ramoscello d’ulivo.

Non lasciamoci distrarre dalla folla “datele da mangiare”

Concludo con una preghiera Laica che prendo da Schopenhauer un filosofo che sicuramente non è un ottimista, ma ha scritto una cosa bellissima rispetto all'infinito mistero della vita:

“Di Dio non dico, ma dico della preghiera: e scrive: non conosco nessuna preghiera più bella di quella con cui concludevano gli antichi spettacoli dell’India - Possano, tutti gli esseri viventi restare liberi dal dolore” 

Rispettosi delle nostre reciproche differenze potenzialità e vulnerabilità. 

Possano tutti gli esseri viventi restare liberi dal dolore soprattutto dal dolore che non insegna a migliorare. 



C'era l'emorroissa  (Giancarla Codrignani)

Chissà perché mi hanno sempre chiamata così: ero semplicemente una donna che sanguinava non solo per qualche giorno ogni luna. In tempi meno patriarcali si sarebbe detto che si trattava di un problema medico irrilevante. Invece i maschi ebrei avevano stabilito che ero assolutamente impura, che contaminavo l'ambiente con il mio sangue evidentemente maledetto. Già molto se mi lasciavano stare all'angolo della strada. Quando avevo visto arrivare quel giovane palestinese che si diceva fosse inviso ai signori del Tempio anche se commentava così bene la legge nella sinagoga, non è che volessi pretendere niente - Matteo, come capita agli uomini, interpretò a suo modo il mio pensiero - ma avevo provato d'istinto un'onda di fiducia improvvisa e ho osato prendere il lembo della sua veste. Deve essere stata la mia vibrazione a farlo voltare di scatto e a cercare chi mai lo avesse toccato, anche se, lo diceva Pietro, c'era così tanta gente che chissà quanti l'avevano urtato. Mi guardò severo, infastidito: non poteva fermarsi perché correva a salvare una bambina anoressica che non voleva crescere, diventare donna, abbandonare la sua casa per essere  promessa a uno sposo e bisognava farla mangiare. Tutti mi guardavano male, scandalizzati; e qualcuno cercava una pietra per scacciarmi. Ma gli occhi del rabbi si erano subito addolciti: mi riconobbe come se fossi una persona normale, una sorella sofferente da aiutare; poi se ne andò in fretta a dare vita. Mi accorsi subito di essere stata risanata, ma pensai che con me aveva anche guarito il mondo dal pregiudizio: non ero più impura perché appartenente ad un genere per natura inferiore e immaginavo che per questo le donne in futuro avrebbero potuto toccare l'altare come i consacrati. Il Maestro non avrebbe certo voluto che anche quando fosse scomparso il tabù, le donne restassero escluse mentre il sangue degli eroi morti in guerra, sangue uguale a quello dei nemici uccisi, restava onorato. Non me ne ero resa conto sul momento, ma anche la mia guarigione avrebbe incoraggiato chi lo screditava, i conservatori e i fondamentalisti che lo accusavano di offendere i precetti: era gente sicura che le donne erano inferiori per volere di dio.  Quando seppi che lo avevano condannato, andai lungo la strada dolorosa percorsa dalla croce e lo vidi così diverso, sofferente, inerme, mentre io non potevo fare nulla per aiutarlo, come se l'onda di fiducia mi fosse venuta a mancare. Ero turbata, in lacrime, sentivo il flusso del suo sangue stancarsi sotto il peso del legno e le spine. E' passato tanto tempo, mi resta la certezza del dono non solo materiale e la fiducia che continuo a condividere. Ma non ho ancora finito di capire.


Luca 7, 11-17  (Roberta Ioli)

 Nella città di Nain, in Galilea, due folle si incontrano presso le porte della città.

Una accompagna Gesù, è una folla grande, che immagino festosa: Gesù ha appena guarito il servo di un centurione. Poi c’è la folla muta e dolente che accompagna al sepolcro il feretro di un morto. Si tratta del figlio unico di una madre vedova.  Quale dolore può essere più grande di quello di una donna sola, che ha perso il marito e ora anche l’unico figlio?

Gesù la vede e sente il suo dolore muto. Va dalla donna senza che lei lo chiami, senza che lo preghi, senza che lo esorti a fare miracoli. C’è un silenzio solenne in questo loro incontro di sguardi, e una profonda dignità nello strazio di questa madre sola, nonostante la folla che la accompagna. Di Gesù ci vengono dette tre cose.

La prima: vedendola, il Signore ne ebbe compassione. Quel verbo in greco ci dice molto di più: Gesù sente il dolore fin dentro le viscere, una parola che indica cuore fegato polmoni, ma anche il grembo materno. Gesù sente il dolore della donna nella propria carne, e anche nella carne di lei. Gesù diventa, è madre dolorosa.  

La seconda cosa che sappiamo è che lui le parla, ma pronuncia solo due parole, un ordine preciso, netto, forse sussurrato. “Non piangere”. Non aggiunge altro. 

La terza cosa che fa è avvicinarsi alla bara e toccarla. 

Gesù vede, parla, tocca.

I portatori si fermano. C’è una profonda concentrazione in tutta la scena, gesti muti e misurati, senza una sbavatura. Io a volte non capisco le parole di Gesù, non capisco il senso delle parabole, ma qui tutto è chiaro, luminoso di una luce nitida e sacra     1.

Le ultime parole sono quelle che rivolge al figlio morto. Ancora una volta troviamo un unico imperativo, un monito forte. Non “Alzati”, come spesso viene tradotto il greco, ma “svegliati”, e il ragazzo si solleva e comincia a parlare, con lo stesso balbettamento di un bambino. 

L’ultimo gesto di Gesù è tutto raccolto dentro il verbo “dare”. Gesù diede il figlio a sua madre, come si dona un frutto, come si rende qualcosa che era perduto, come si dà un tesoro ritrovato. 

Toccare, tra tutti i sensi, è quello dell’assoluta prossimità, quello che in questo tempo ci è precluso. Non possiamo abbracciare, non possiamo toccare chi amiamo. 

Eppure Gesù ci dice di non piangere, ma soprattutto, fa suo il dolore di quella madre, è tutt’uno con il dolore di chi soffre in questo tempo la pena più grande. La porta dove si incontrano la vita e la morte deve restare aperta, lo sguardo deve essere vigile. Gesù ci invita a stare desti, a risvegliare la vita vera dal sonno di morte. Ci invita a non avere paura del silenzio, in questo tempo di troppe parole. Quella madre non chiede il miracolo. Sta sola con la dignità del suo silenzio dentro il dolore. E Gesù non la abbandona.

 

 

Luca 7, 11-17

 

Nella città di Nain, in Galilea, due folle si incontrano presso le porte della città.

Una accompagna Gesù, è una folla grande, che immagino festosa: Gesù ha appena guarito il servo di un centurione. Poi c’è la folla muta e dolente che accompagna al sepolcro il feretro di un morto. Si tratta del figlio unico di una madre vedova.  Quale dolore può essere più grande di quello di una donna sola, che ha perso il marito e ora anche l’unico figlio?

Gesù la vede e sente il suo dolore muto. Va dalla donna senza che lei lo chiami, senza che lo preghi, senza che lo esorti a fare miracoli. C’è un silenzio solenne in questo loro incontro di sguardi, e una profonda dignità nello strazio di questa madre sola, nonostante la folla che la accompagna. Di Gesù ci vengono dette tre cose.

La prima: vedendola, il Signore ne ebbe compassione. Quel verbo in greco ci dice molto di più: Gesù sente il dolore fin dentro le viscere, una parola che indica cuore fegato polmoni, ma anche il grembo materno. Gesù sente il dolore della donna nella propria carne, e anche nella carne di lei. Gesù diventa, è madre dolorosa.  

La seconda cosa che sappiamo è che lui le parla, ma pronuncia solo due parole, un ordine preciso, netto, forse sussurrato. “Non piangere”. Non aggiunge altro. 

La terza cosa che fa è avvicinarsi alla bara e toccarla. 

Gesù vede, parla, tocca.

I portatori si fermano. C’è una profonda concentrazione in tutta la scena, gesti muti e misurati, senza una sbavatura. Io a volte non capisco le parole di Gesù, non capisco il senso delle parabole, ma qui tutto è chiaro, luminoso di una luce nitida e sacra     1.

Le ultime parole sono quelle che rivolge al figlio morto. Ancora una volta troviamo un unico imperativo, un monito forte. Non “Alzati”, come spesso viene tradotto il greco, ma “svegliati”, e il ragazzo si solleva e comincia a parlare, con lo stesso balbettamento di un bambino. 

L’ultimo gesto di Gesù è tutto raccolto dentro il verbo “dare”. Gesù diede il figlio a sua madre, come si dona un frutto, come si rende qualcosa che era perduto, come si dà un tesoro ritrovato. 

Toccare, tra tutti i sensi, è quello dell’assoluta prossimità, quello che in questo tempo ci è precluso. Non possiamo abbracciare, non possiamo toccare chi amiamo. 

Eppure Gesù ci dice di non piangere, ma soprattutto, fa suo il dolore di quella madre, è tutt’uno con il dolore di chi soffre in questo tempo la pena più grande. La porta dove si incontrano la vita e la morte deve restare aperta, lo sguardo deve essere vigile. Gesù ci invita a stare desti, a risvegliare la vita vera dal sonno di morte. Ci invita a non avere paura del silenzio, in questo tempo di troppe parole. Quella madre non chiede il miracolo. Sta sola con la dignità del suo silenzio dentro il dolore. E Gesù non la abbandona.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Elena Malaguti)

Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 

8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».


Commento di Elena Malaguti

Io scarto, io malata, adultera, discepola, straniera, schiava, lontana dalla scintilla divina, ti incontro e tu mi guardi, mi riconosci nella mia identità, nella mia differenza, nel mio essere unica ed originale, una donna. Ti rivolgi proprio alle donne, a me e ad ognuna di noi, con amore e misericordia, ti lasci profumare, lavare e dici «Io sono la Luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della Vita». 

Il profeta è Luce nel mondo, non giudica, non trasgredisce le Leggi, le libera, e rendi Liberi affinché le Leggi sia uno strumento per raggiungere la propria pienezza. La vita di Gesù, sulla terra, spiazza, apre nuovi orizzonti, possibilità, trasforma i deserti in giardini, ma sempre attraverso il disincanto della realtà. 

Gesù è la sorgente, che permette di entrare in contatto con l’armonia della Natura e di riscoprire il cammino: che è fatto di cadute, di molti inverni, di trasgressioni, di prove, di errori, di ricerca e di speranza. Molte sono le donne che, in modo profetico, lo hanno riconosciuto. Durante la Passione di Cristo, osservano la croce e nei loro occhi rimane il terrore, la paura, la sofferenza per non potere fare nulla. Le donne assistono alla crocifissione. Guardano il sepolcro vuoto, incontrano gli angeli non pensano alla resurrezione. Sono tristi, attonite, provano solitudine, percepiscono il profondo smarrimento. Forse si domandano: “- Ed ora cosa accadrà di noi, come potremo vivere senza percepire l’amore profondo intimo, divino, che scalda il cuore, apre le menti e ci permette di vivere con umiltà e semplicità?” - Chi riscatterà le nostre vite? Il cammino che seguirà corrisponde alla strada che le farà passare dal pianto, alla gioia, dalla più profonda incomprensione, alla fede, insieme ad altri e all’interno di nuove comunità. Esse capiranno, attraverso l’aiuto del Nazareno risorto, che si manifesterà, che non sono sole e Lui non le abbandonerà mai. Esse, attraverso un profondo cambiamento di sguardo, entreranno in comunione con un’altra dimensione, si lasceranno amare e permetteranno a Lui di entrare. L’incontro con Gesù risorto non è l’incontro con l’esperienza che le donne hanno fatto in precedenza, è indice di una trasformazione, richiede di entrare in relazione in un altro modo. Sono molte le donne ancora oggi oppresse, denigrate, abusate, ferite, private della loro libertà o che non riescono ad amarsi, a essere amate e ad incontrare l’Amore nella loro Vita. Invochiamo lo Spirito, in questo momento di distanziamento sociale, affinché anche noi possiamo lasciare il superfluo, possiamo imparare ad ascoltare il rumore delle onde del mare, il fruscio del vento, per ripulire il cuore e le menti, per comprendere come organizzarci, perché il COVID -19, ha creato una rottura ed un profondo cambiamento è richiesto, ed è urgente. Entriamo anche noi in contatto con il sepolcro vuoto, mettiamoci al servizio, così come ci viene richiesto, chiediamo a Lui un aiuto, per modificare i nostri comportamenti. Invochiamo i bambini e le bambine, i giovani, le donne e gli uomini, affinché nasca il seme della nuova alleanza fra noi e il Pianeta. Ecco il sepolcro! Ci parla, ci fa incontrare il nostro vuoto e la sete di gioia, di amore, di bellezza, affinché possiamo essere da Lui contaminati. Ringraziamo la Vita per i doni che ci offre, per i volontari, gli uomini e le donne di pace, gli infermieri, i medici, gli insegnanti, gli addetti alle pulizie e tutti coloro che ci stanno permettendo di rimanere al caldo nelle nostre case, affinché possiamo uscirne rinnovati e metterci al servizio dei piccoli, dei deboli, di coloro che sono senza casa, senza amore, lasciati soli e dimenticati. Sia Lode e Gloria a Dio, Re del Cielo e dell’Universo! Gloria alle piante, ai fiori, al mare e alle montagne e a tutti coloro che si fanno piccoli, per dare voce all’Invisibile che avanza e che ci ama, di un amore infinitamente grande. Vai e non peccare più! Sono le ultime parole di Gesù a quella donna. Vai…. non fermarti… non guardarti indietro …. non cadere più nel pericolo che qualcuno ti porti via la tua identità…. non farti più sottomettere dall’opinione degli altri, sembra che voglia dirci di non adulterare più la vita. 

E’, forse, questa la Via Maestra da seguire, che Gesù ci indica e che attraverso il Suo sacrificio ed esempio può divenire una realtà per tutti e ciascuno di noi?



Luca 21, 1-8: In una povera vedova il mistero pasquale   (Lidia Maggi)

 

quaresima in quarantena

Non è mai accaduto nel corso della mia vita che il tempo della quaresima venisse a coincidere con il tempo della quarantena. Una quarantena che non finirà con la Pasqua. Le porte delle nostre case rimarranno ancora serrate, quando risuoneranno i rintocchi che annunciano: il Signore è risorto. Ma se le porte delle case ci separano dall'abbraccio, possiamo sempre riaprire quelle del cuore e lasciare che la speranza risorga dalle ceneri della nostra paura. È una speranza ferita, che porta i segni delle nottate insonni e delle preoccupazioni; una speranza ruvida come le mani di una casalinga. 

Prepararci a ripercorre la passione del Signore in questo momento storico sembra meno difficile, non è vero? Ora che abbiamo dovuto fermarci, che siamo stati costretti a rimanere in casa, lontano dai nostri amici, senza la possibilità di riunirci come chiesa, conosciamo un po' meglio la solitudine e comprendiamo qualcosa di più su quella di Gesù, lasciato solo nel Getsemani. Quella preghiera sofferta, mentre i discepoli dormono, ci richiama la solitudine di quanti vivono da soli la quarantena. 

La solitudine di Gesù ci ricorda quella degli anziani, degli ammalati, allontanati per esigenze mediche dai propri cari. 

E anche la paura di morire, che Gesù conosce e che verbalizza nella preghiera del Getsemani : “se tu puoi, allontana da me questo calice”, la capiamo meglio in questo tempo di contagi, lutti, malattie. Il grido sulla croce: “mio dio, mio dio, perché mi hai abbandonato?” richiama quello soffocato dei tanti che muoiono da soli senza la presenza di un congiunto; o quello di chi si chiede dov'è Dio in questo tempo di malattia... 

 

Alla soglia della passione

Entro nel cuore della Pasqua, nel  tempo della passione, attraverso una breccia che l'evangelo di Luca ci apre per farci comprendere quanto andrà a narrare, l'episodio della vedova che dona tutto ciò che ha.

Il vangelo di Luca, per farci capire il senso della pasqua di Gesù, fa una digressione: ci porta nel Tempio, ci chiede di osservare quello che Gesù osserva e  indica ai suoi. Un episodio marginale, ma collocato in un luogo strategico, alla soglia del racconto della passione. Un episodio che si pone come parabola per narrare la morte di Gesù, anche se qui di morte non si parla, e tanto meno della morte di Gesù. A dire il vero, non è nemmeno Gesù il protagonista, ma una povera vedova. Gesù è solo un osservatore.

L'idea di farci entrare nella passione attraverso una miniatura l'aveva già usata l'evangelista Marco. Ricordate? Il racconto della donna anonima che unge il capo di Gesù (Mc. 14,1-11). Luca riprende questo stratagemma, ma questa volta non siamo all'interno di una casa: siamo nel Tempio; e la donna non ha un tesoro da sprecare (olio di nardo purissimo dal valore di 300 denari): ha solo due spiccioli. Poca cosa per aiutare i poveri. 

Una povera vedova ci introduce nel mistero della Pasqua. 

Vedova, povera, inutile, l'anello più fragile della società. Eppure è lei che Gesù mette in cattedra per spiegare ai discepoli, ai futuri leader della sua chiesa, come si dona a Dio. Come si è chiesa! È come se Gesù stesse indicando ai suoi il destino della chiesa che, nella sua vedovanza, nella povertà, può donare tutto ciò che ha. Due modelli si scontrano: quello del potere istituzionale che ruba 

persino ai più poveri e quello della vedova. Poco prima Gesù aveva ammonito ai suoi di guardarsi bene dai responsabili religiosi, gli scribi, i quali passeggiano volentieri in lunghe vesti, amano essere salutati nelle piazze, e avere i primi posti nelle sinagoghe e nei conviti; 47 essi divorano le case delle vedove e fanno lunghe preghiere per mettersi in mostra...

guardatevi da loro ma guardate invece a questa vedova e scegliete oggi che chiesa volete essere. (Luca 20, 46-47)

Oggi sento che in questa fragilità di liturgie, in questa assenza di celebrazioni la vedova nel tempio possa rappresentare meglio una chiesa in lutto, per la morte dei tanti anziani che la riempivano fedelmente, con la loro presenza fedele. In questi tempi, la chiesa, povera di eucarestia, senza celebrazioni liturgiche, può scegliere di vivere questo tempo rimpiangendo quanto perduto e  immaginando, a fine clausura, di poterlo ritrovare per riprendere la vita ordinaria oppure può, far proprio questo modello ecclesiale scoprendolo capace di aprire una breccia di senso verso il mistero pasquale. 

La povera vedova, un modello ecclesiale

Siamo tutti parte di una chiesa povera adesso: una chiesa che anche se ha luoghi dove potersi incontrare non può farlo.

Ci mancano gli abbracci, il contatto diretto, il poterci guardare negli occhi, tenerci per mano. Ci sentiamo come quella povera vedova, senza ricchezze da donare. Non abbiamo olio profumato per accompagnare il Signore nella sua passione; non abbiamo le forze, forse nemmeno le competenze per annunciare speranza in un mondo disperato. Cosa possiamo dare a Dio, in questo tempo di carestia, di restrizione? Nulla. Le nostre forze sono allo stremo,  la speranza è quasi ammutolita dalla paura, le tasche quasi vuote: solo due misere monetine. Ma come si fa a curare il mondo con due monetine? 

A scaldare il cuore pietrificato dalla paura per annunciare la speranza pasquale? Ricordate  la favola della piccola fiammiferaia, che prova a resistere al gelo scaldandosi con soli tre fiammiferi?  Oggi siamo questa chiesa vedova persino di speranza che prova a scaldare il cuore pietrificato dalla paura per annunciare la speranza pasquale...Ma quando ci abbandonano le forze e non abbiamo i mezzi, quando pensiamo di essere inutili, scopriamo che Dio la pensa diversamente. Gesù vede i tanti che donano molto nel Tempio, ma indica come esempio colei che non ha niente e dona tutto. Mi consola questo. Una chiesa povera di mezzi, di risorse, di forze, di salute, di membri, di giovani e ahimè, ora anche di anziani: questa povera chiesa viene osservata da Gesù e non solo non è disprezzata ma è additata come esempio di dono totale, nella misura in cui dona tutto il niente che ha. Mi dico: allora c'è speranza per noi, per la nostra chiesa! C'è ancora uno spazio di missione: siamo una povera vedova senza mezzi, ma Gesù si serve di noi, se ci fidiamo di lui e gli diamo tutto. È con i piccoli che Dio costruisce il suo Regno!

Due spiccioli di vita: gli anziani

C'è però un'altra ragione per cui questa scena mi parla particolarmente in questo tempo di preparazione alla pasqua: la fragilità di questa donna che dona a Dio tutto ciò che ha, anzi, letteralmente, tutta la sua vita, mi fa pensare ai nostri anziani. Non hanno davanti a loro una lunga vita come quella dei giovani; restano loro solo due spiccioli di vita, poca cosa rispetto ai 300 denari dei più forti. Gli anziani sono i primi colpiti dal virus e, osiamo denunciarlo, quelli meno tutelati nella malattia. Di fronte ad un sistema sanitario andato in tilt, le prime vittime sono stati gli anziani: non ricoverati tempestivamente o non protetti in tempo nelle case di riposo che son diventati luoghi di morte. E questo perché, più o meno esplicitamente, viviamo in un tempo che giudica la vita di un anziano meno preziosa rispetto a quella di un giovane. È significativo il caso di un vecchio prete che rinuncia al respiratore in favore di un ragazzo: gesto generoso di martirio. Ma ci chiediamo: perché abbiamo messo un uomo nelle condizioni di dover decidere tra al sua vita e quella di un ragazzo? Se la nostra società pensa che gli anziani valgono poco, sono poco più che spiccioli del tesoro della vita, Gesù non sembra pensarla così. E non ci vuole molto per capirlo: quando muore un anziano, muore la memoria, il rapporto con le generazioni. Non muore un anziano, ma una persona, un mondo che lascia un vuoto nei legami creati. Una società che non sa riconoscere l'importanza degli anziani è una società destinata ad ammalarsi di efficienza, produzione, ipertensione. 

La vedova, figura della vita di Cristo donata

Gesù indica in una povera vedova, probabilmente anziana, colei che ci può introdurre nel cuore del mistero pasquale. La vedova rappresenta la vita di Gesù; questa donna fa un gesto simile a quello che di lì a poco lui stesso farà: donare tutto, tutta la sua vita. Volete capire come si dona a Dio? Imparate da questa povera vedova che ha donato tutto il resto della sua vita, gli scampoli dell'esistenza. La Pasqua è questa: dono totale di se'. Vita offerta come dono. Non ci salvano ricchezze e potenza ma la vita rischiata, non trattenuta, donata. Non ci salvano le assicurazioni, ma la generosità di chi non ha paura a dare il poco che ha.

Vedi quella vedova che dona tutto? E' Gesù che dona tutto sé stesso per noi...vuoi essere la sua chiesa? Nella tua povertà, dona, non una parte,  dona tutto quello che hai e se non hai nulla, dona tutta la tua inutilità. La tua debolezza, lo scampolo di speranza che ancora ti resta e sarà Pasqua, sarà risurrezione...perché in te, chiesa in lutto, la gente vedrà la presenza reale di Cristo, dono di Dio per noi. 

 

Giovedì Santo - 09.04.2020

  PER FARE LA PASQUA IN CASA

 

Ricordo dell'ultima cena quando Gesù ha fatto dono di sé con due segni: 

lavando i piedi e donando un pane … Con la sua morte darà fisicamente  la sua vita.

"Nessuno ha un  amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici"

(Gv.15,13)

 

( Si possono preparare un pane, un catino, una brocca, un asciugamano, un candela accesa…)

 

“Quando fu l'ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi…». E preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi».” (Luca 22,14…)

Fate questo in memoria di me. 

Ritrovarci stasera vuol dire rispondere ad un desiderio di Gesù…. 

condividiamo i nostri desideri...

 

Preghiera:

Vengo a cena da te, vengo a piedi nudi,

per toglierti la paura e riaprirti allo stupore.

Vengo a cena da te per ricordarti 

che hai avuto più volte una seconda possibilità.

Vengo a cena da te per spezzare il pane 

e ricordarti che la vita va condivisa e consumata.

Vengo a cena da te per aprire la strada alle parole, per aprire altri spazi.

 - Gesù, donaci forza e coraggio per per imparare ad amare e servire. 

Insegnaci a contemplare i tuoi gesti, 

perché siano essi ad ispirare i nostri.

Tu ci hai donato persone che nella nostra vita ci hanno fatto  del bene,

aiutaci questa sera a fare memoria del dono dell'amicizia.

 

LA LAVANDA DEI PIEDI 

E’ uno dei gesti più semplici e rivoluzionari che ci ha lasciato Gesù.

Così importante che nel vangelo di Giovanni e’ narrato al posto del gesto del pane e del vino.   

Nelle Chiesa antica diverse comunità come quella di Ambrogio di Milano riteneva la lavanda dei piedi un sacramento. Per chiedere e ricevere il perdono ad esempio. 

Al tempo di Gesù a lavare i piedi toccava al servo. Gesù inverte i ruoli. Lui, il Signore prende il posto del servo e lava I piedi. Lui il maestro lo fa con i suoi discepoli e discepole.

Non è un gesto sacro. Che appartiene al linguaggio della religione. E’ un gesto della vita che esprime si la sacralità ma di cosa? Non del potere, non della religione ma della persona, della relazione, della cura.

E’ un gesto di anti-potere. Una scelta vitale. Se vogliamo anche una scelta che ribalta la prospettiva. Non si è grandi quando si comanda ma quando si   ama. 

Un gesto che ha anche un valore politico. Perché sceglie la logica del dono e non quella del dominio.

In una sera come questa lavare i piedi ai propri figli, ai propri compagni di vita, ai propri vecchi se vivono con noi può essere il modo per dire in modo laico, semplice, umano come intendiamo vivere. 

In questi giorni uno dei grandi scienziati italiani dell’Accademia dei Lincei ha detto una cosa sorprendente : oltre alla straordinaria generosità degli infermieri e dei medici, la maggior parte di vite le abbiamo salvate noi, decine di migliaia di vite. Con il quotidiano prenderci cura dei nostri bambini, dei nostri vecchi, delle nostre relazioni e dei nostri affetti.

In questo tempo in cui avvertiamo la fatica, la paura, spesso l’impotenza e’ importante riscoprire questo gesto che salva la vita. Che ci mette davanti all’altro, al fragile, al piccolo non in una posizione di dominio ma di cura, di amore.

Forse in questa imprevista situazione quel gesto diventato il più delle volte una “roba di chiesa” con le brocche d’argento e l’odore di incenso, ritorna nelle case, ritorna da dove era incominciato. Al secondo piano di una casa dove Gesù aveva fatto preparare con cura per la Pasqua.

Torna ad essere il gesto semplice che può rovesciare il mondo, rimettendo in piedi l’Amore.

  

Leggiamo il testo di Gv 13,1-20

 

Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete mondi». Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica. Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura: Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno. Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono. In verità, in verità vi dico: Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».

 

 - Commento:

Giovanni non racconta l’istituzione dell’Eucarestia,

Giovanni vuole che l’Eucarestia non sia un rito magico, l’andare a Messa. 

L’Eucarestia è esattamente lavare i piedi.

Lavando i piedi esprime l'essenza di Dio.

Dio chi è? È uno che lava i piedi.

"avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine".

Si dice che lì amò fino al compimento, fino alla fine. In greco c’è la parola telos che vuol dire “punto estremo”, più di così non poteva fare.

 Tutte le Scritture raccontano l’amore di Dio per l’uomo, di Dio che va in cerca dell’uomo. Finalmente il cammino di Dio giunge a compimento, finisce il suo cammino.

"Si alzò da tavola depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita". 

Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto.

Si dice che prende un asciugamano, un grembiule e se lo cinge, poi non si dirà più che se lo leva.  Il vestito più intimo di Dio è e resta sempre la veste del servo.

Lavare i piedi è un gesto di ospitalità, di accoglienza, di intimità.

Per questo dirà a Pietro: 

«Se non ti laverò, non avrai parte con me».

Se non accetti questo amore, non sai che cos’è l’amore, non sai cos’è la vita.

E poi comincia ad asciugarli con il telo. Perché proprio i piedi? L’uomo è il suo cammino: come cammina, come vive, così agisce. Gesù, lavando i piedi, ha guarito anche il nostro cammino, il nostro modo di vivere. Guarisce anche il nostro modo di pensare, di valutare le cose.

«Sapete ciò che vi ho fatto?».

Non è secondario che lui ci richiami a capire che la vera sapienza è saper lavare i piedi, che la potenza vera è quella di mettere la vita a servizio, non di sterminare la vita, non di dominare sugli altri.

“Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi”.

Questo lavarci i piedi gli uni gli altri e servirci è fare quello che ha fatto lui, è il fondamento delle nostre comunità, delle nostre famiglie. Il fondamento della comunità cristiana è qui, è l’Eucarestia. Ecco perché Giovanni non parla dell’Eucarestia, ma parla del lavare i piedi. Il senso è lo stesso.

 

Dove c'è amicizia lì c'è Dio e lì c'è l'uomo.

L'amicizia è il più grande dei sacramenti.

 

A questo punto...

Lavanda dei piedi..

se è possibile o lo si ritiene opportuno ci si potrebbe lavare reciprocamente i piedi in segno di amicizia di perdono, di impegno a mettere la propria vita ai piedi dell'altro…

Ci si può comunque scambiare un segno di amicizia …una lettera, un dono povero , ma simbolico  capace di esprimere ciò che si vuol dire all'altro…un grazie per le persone che hanno arricchito di amicizia la nostra vita…per il bene che ci è stato dato…

 

Erri De Luca

ELOGIO  DEI  PIEDI

 

Perché reggono l’intero peso.

Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.

Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare.

Perché portano via.

Perché sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato. E chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo a camminare in linea retta.

Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto nello scheletro 

non ci sono ali.

Perché sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.

Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare.

Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura.

Perché quelli di donna facevano friggere i versi di Pushkin.

Perché gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante.

Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati indietro da un inginocchiatoio.

Perché mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo.

Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango, il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella.

Perché non sanno accusare e non impugnano armi.

Perché sono stati crocifissi.

Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti l’appoggio.

Perché, come le capre, amano il sale.

Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.

 

I piedi sono una delle parti più sensibili del nostro corpo; perché con la pianta dei piedi si percepiscono tante cose, di noi stessi, e dell'ambiente in cui ci troviamo. Scambio tra tra la pelle e gli elettroni accumulati sulla superficie terrestre: sintonia tra superficie e interiorità. Bisogna tenere i piedi per terra per essere sensibili, così come sono sensibili i piedi, che rivelano i segreti del nostro modo di stare nella realtà e di sentirla e perché i piedi stanno in basso e bisogna avere lo sguardo che parte dai piedi.

"… un uomo ha il diritto di guardare un altro dall'alto al basso solamente quando deve aiutarlo ad alzarsi". (Garcia Marquez)

 

 

Si  spezza il pane e ciascuno ne offre un pezzo all'altro.

Il pane si mangia solo se donato…come la vita.

 

Pablo Neruda

ODE AL PANE

 

Del mare e della terra faremo pane,

coltiveremo a grano la terra e i pianeti,

il pane di ogni bocca,

di ogni uomo,

ogni giorno

arriverà perché andammo a seminarlo

e a produrlo non per un uomo

ma per tutti,

il pane, il pane

per tutti i popoli

e con esso ciò che ha

forma e sapore di pane

divideremo:

la terra,

la bellezza,

l’amore,

tutto questo ha sapore di pane.

 

Padre nostro…

"PERCIO', O FIGLI, CONSERVATE L'AMICIZIA CON I FRATELLI PERCHE' NULLA IN QUESTO MONDO C'E' DI PIU' BELLO. E' UN CONFORTO IN QUESTA VITA AVERE QUALCUNO CUI APRIRE IL CUORE, CUI SVELARE I SEGRETI, CUI MANIFESTARE I SENTIMENTI DEL  TUO PETTO. AVRAI COSI' UN UOMO FEDELE, CHE NELLA FORTUNA SI CONGRATULERA' CON TE, NELLA TRISTEZZA PARTECIPERA' AL TUO DOLORE E NELLE PERSECUZIONI TI ESORTERA' AL BENE.

Domenica delle Palme - 05.04.2020

SI POTREBBE PARTIRE METTENDO AL CENTRO  UN RAMO D'ULIVO (O UN DISEGNO CON UNA COLOMBA CHE PORTA UN RAMO D'ULIVO), AVENDO A PORTATA DI MANO UN VANGELO PER LA LETTURA DELLA PASSIONE SECONDO MATTEO NEL MOMENTO INDICATO.

 

 - Oggi è un giorno di festa.

Facciamo festa a Gesù, ma facciamo festa anche ai bambini.

Facciamo festa oggi alla speranza.

Facciamo festa a un Dio che viene a trovarci, che entra nelle nostre strade, nelle nostre case, perché possiamo cambiare, crescere, fiorire come fioriscono gli alberi, come fiorisce chi ha una speranza dentro.  

E' Gesù, il Signore della vita, il Signore che ci da il sole, la luce, la vita, il coraggio.

I rami di ulivo rappresentano la vita, il coraggio del domani.

I protagonisti, i portatori di questa speranza sono i bambini.                                                                                                                                                                                                

 

 - Nel descrivere l'ingresso di Gesù in Gerusalemme, sono i bambini che danno voce ai canti, distendono sulla strada i loro mantelli, portano in mano rami d'ulivo. Sono loro a prendere l'iniziativa per accogliere Gesù, i veri discepoli…diventati bambini!

Ci vuole sempre un bambino che incominci, come quando si trattò di tirar fuori  due pani e cinque pesci. Un bambino non ha niente da perdere; può fare brutta figura senza vergognarsi. Non sa neanche cosa voglia dire fare brutta figura. 

I bambini quel giorno hanno fatto una cosa bella, anche se hanno danneggiato qualche ulivo o sciupato qualche mantello. Ci hanno messo tanta spontanea bontà, che perfino Gesù, così schivo di popolarità, finisce per accogliere , sorridendo, quell'accoglienza festosa,  preso da commozione e consolazione.

La sua passione, non poteva essere introdotta sulle strade e sulle piazze della nostra vita se non con questa scena di purissima follia, come è follia il fatto che uno, senza interesse, si dispone a dare la vita per tutti.

 - I rami d'ulivo nelle mani dei bambini, ricordano quel ramoscello di ulivo che una colomba portò a Noè dopo il diluvio in segno di pace: il diluvio era finito!

 L'ulivo ci doni la speranza che l'umanità si riconosca una sola famiglia, come dentro un unica arca in cui ci stanno uomini e animali e tutto il creato.

 

 PREGHIERA  della  COLOMBA

L'arca aspetta, Signore. L'arca aspetta il tuo beneplacito e il segno della tua pace…

Io sono la semplice colomba, semplice come la dolcezza che viene da te!

L'arca aspetta, aspetta, Signore! Ha sofferto…

Lascia che io le porti questo ramoscello di speranza e di gioia

e deponga nel cuore di ciascuno la pace

di cui il tuo amore mi ha rivestita!

Amen.

 

 - Dal Vangelo secondo Matteo

 

Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero a Betfage, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nella borgata che è di fronte a voi; troverete un'asina legata, e un puledro con essa; scioglieteli e conduceteli da me. Se qualcuno vi dice qualcosa, direte che il Signore ne ha bisogno, e subito li manderà». Questo avvenne affinché si adempisse la parola del profeta: «Dite alla figlia di Sion: "Ecco il tuo re viene a te, mansueto e montato sopra un'asina, e un asinello, puledro d' asina"».

I discepoli andarono e fecero come Gesù aveva loro ordinato; condussero l'asina e il puledro, vi misero sopra i loro mantelli e Gesù vi si pose a sedere. La maggior parte della folla stese i mantelli sulla via; altri tagliavano dei rami dagli alberi e li stendevano sulla via. Le folle che precedevano e quelle che seguivano, gridavano: «Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nei luoghi altissimi!» Quando Gesù fu entrato in Gerusalemme, tutta la città fu scossa, e si diceva: «Chi è costui?» E le folle dicevano: «Questi è Gesù, il profeta che viene da Nazaret di Galilea».

 

 - "…il Signore ne ha bisogno!"

Di un asino! L'umorismo non è fuori di posto nel vangelo!

Quanti servi nascosti ha il Signore! Sono sparsi ovunque e servono il Signore con prontezza e fedeltà. Forse non hanno una cognizione chiara del servizio che rendono e a chi lo rendono, ma, in compenso, quanto disinteresse e quale prontezza e devozione nel servire il Signore che non conoscono!

Sembra che il popolo sia innamorato di tutto ciò che è negativo o abbia comunque a che fare col male e con la morte. Ci si lamenta dell'economia e della produzione e del cattivo funzionamento dei servizi.

Eppure, il popolo non è solo quello ...c'è ancora chi fatica e lavora impegnando le proprie giornate al piccolo mattone di quella casa comune che si chiama terra. Sono essi il fondamento di questa casa. Di questa positività popolare dà testimonianza un piccolo libro di lettere e poesie,  intitolato: Lo vuoi il sole della vita? Si tratta dell'aiuto che una madre di famiglia friulana e altre persone di buona volontà hanno cercato per lungo tempo di dare ad alcuni carcerati. È interessante  che a questa rieducazione delle coscienze siano servite anche le poesie. Vale la pena di proporne una di un anonimo  e che a me pare il miglior commento alla situazione a cui abbiamo accennato: «Oh Signore, ascolta la preghiera di noi asini. / Ormai nessuno ci tiene più in considerazione, / non ci invitano neppure ai programmi di Quark, / dedicati agli animali / perché non risultiamo abbastanza interessanti / per gli ascoltatori. / Eppure, Signore, / quando sei nato / hai avuto uno di noi a farti compagnia. / Quando la tua vita era in pericolo / ti sei servito di uno di noi per fuggire in Egitto. / Quando, a conclusione dei tuoi giorni, sei entrato nella Città Santa hai cavalcato uno di noi. / Cosa sarebbe stata la tua vita senza di noi, asini? / O Signore, anche quando portiamo pesi / che nessuno vuol portare, / anche quando siamo a disagio / perché non abbiamo né titoli né lauree, / aiutaci a ricordare che Tu: ti puoi servire di noi, / per salvare l'umanità».

 - Di che cosa ha bisogno il Signore? Il Signore ha bisogno del mio respiro, della mia preghiera, delle mie lacrime, della mia pietà, della mia rinuncia, del mio bicchiere d'acqua.

Ha bisogno di medici ed infermieri che in questi giorni lavorino in silenzio: "siamo professionisti, non infallibili, ma con un'etica, e di fronte al dolore e alla malattia, non ci si tira indietro. Non per diventare eroi, ma per rispondere alla nostra coscienza".

Come un giorno ebbe bisogno di un asino per fare il suo ingresso in Gerusalemme: la città della pace, così ogni momento ha bisogno di operatori di pace per dare respiro a questo mondo.

Merita attenzione il fatto che Gesù abbia utilizzato un asino per la sua “entrata trionfale”. in Gerusalemme. Presentarsi su di un umile asino e circondato da persone umili esprime il fatto che l’aspetto più umano della nostra vita si realizza nella semplicità e nel rifiuto di ogni pompa e di ogni desiderio di dominio. Qualcuno vede nell'asino legato un'immagine della mitezza e della povertà per troppo tempo legate, emarginate, che Gesù slega e cavalca. Siamo disposti a fare spazio ad una umanità mite e povera, a credere la vera forza non sta nel potere, ma solo nella bontà?

Lo stile di vita di Gesù, dalla modalità della sua nascita in una mangiatoia, fino al suo ingresso a Gerusalemme in groppa ad un asino, è nel segno della povertà e della mitezza.

 

Dacci, Signore, di mantenere i piedi sulla terra, 

e le orecchie drizzate verso il cielo, 

per non perdere nulla della tua Parola. 

Dacci, Signore, una schiena coraggiosa, 

per sopportare gli esseri umani più insopportabili.

Dacci, Signore, di camminare diritti, 

disprezzando le carezze adulatorie e schivando le frustate. 

Dacci, Signore, di essere sordi alle ingiurie, all'ingratitudine, 

è la sola sordità cui aspiriamo. 

Non ti chiediamo di evitare tutte le sciocchezze, 

perché un asino farà sempre delle asinerie... 

Dacci semplicemente, Signore, di non disperare mai della tua misericordia 

così gratuita per quegli asini così disgraziati che siamo,

come dicono quei poveri esseri umani, 

i quali però non hanno capito nulla di Te, 

che sei fuggito in Egitto con uno dei nostri fratelli, 

e che hai fatto il tuo ingresso profetico a Gerusalemme, 

sulla schiena di uno di noi.

 

A QUESTO PUNTO LEGGIAMO IL TESTO DELLA PASSIONE DI GESÙ SECONDO MATTEO 

 

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo 26,14 - 27,66

…………………………….

…………………………….

                                      Parola del Signore.

 

 - La storia che abbiamo letto e ascoltato non è la storia del passato: è la nostra storia.

Ognuno di noi può essere uno o l'altro dei personaggi.

 - I discepoli che dormono e poi fuggono…

 - Giuda che tradisce e vende. Non riconosce l'amicizia fino in fondo…    

   Cerca guadagnare sulla pelle degli altri…

 - Pietro…che fatica di mantenere le promesse.

 - La folla…è più facile seguirei pensiero di tutti 

   che essere capaci di scelte personali.

 - La moglie di Pilato: l'unica che grazie ad un sogno, si coinvolge, si muove   

   a compassione per cercare di salvare un uomo che sente giusto 

   e innocente...

 - Pilato…che se ne lava le mani.

 - Il Cireneo…l'asino che porta il peso dell' ingiustizia…

 - Il Centurione…l'unico che cambia il suo modo di vedere, di vivere.

 - Maria…capace di stare…in piedi davanti alla croce

 

PREGHIERA CONCLUSIVA

 

 - Ero uscito di casa per saziarmi di sole.

   Trovai un uomo che si dibatteva nel dolore della crocifissione.

   mi fermai e gli dissi: 

   permetti che ti aiuti a staccarti dalla croce.

   Lui rispose: lasciami dove sono,

   i chiodi nelle mani e nei piedi

   le spine intorno al capo. la lancia nel cuore.

   Io dalla croce, da solo, non scendo.

   Non scendo dalla croce fino a quando sopra vi spasimano i miei fratelli.

   Io dalla croce non scendo fino a quando per distaccarmi

   non si uniranno tutti gli uomini.

   Gli dissi: cosa vuoi che faccia per te?

   Mi rispose: vai per il mondo e dì a coloro che incontrerai

   che c'è un uomo che aspetta inchiodato sulla croce...


V° domenica di Quaresima - 29.03.2020

Giovanni capitolo 11

Risurrezione di Lazzaro

Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, il tuo amico è malato».

All'udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. Quand'ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava. Poi, disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce». Così parlò e poi soggiunse loro: «Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se s'è addormentato, guarirà». Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».

Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era gia da quattro giorni nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di due miglia e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». Gli rispose Marta: «So che risusciterà nell'ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo».

Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: «Il Maestro è qui e ti chiama». Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando: «Va al sepolcro per piangere là». Maria, dunque, quando giunse dov'era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: «Dove l'avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?».

Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, gia manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare».

Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto. Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: «Che facciamo? Quest'uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione». Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno, disse loro: «Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera». Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.


Ne "il vangelo secondo Gesù Cristo" Josè Saramago quando arriva alla risurrezione di Lazzaro nel momento in cui "ci mancava solo che Gesù guardasse il corpo abbandonato dall'anima, tendesse verso di lui le braccia e dicesse, Lazzaro alzati… proprio in quell'istante, ultimo e finale, Maria di Magdala, posa una mano sulla spalla di Gesù e dice: - nessuno ha compiuto tanti peccati in vita per meritare di morire due volte - a quel punto Gesù lasciò cadere le braccia e si allontanò per piangere".

E' l'ultimo segno di Gesù, nel libro dei segni dell'evangelista Giovanni. Poi inizia il racconto del "segno dei segni", la passione, morte e resurrezione di Gesù.

Come tutti i segni e questo forse più di altri, hanno bisogno di essere interpretati.

E' qualcosa che riguarda una situazione individuale, oppure si riferisce a tutta la chiesa, o addirittura all'umanità nel suo insieme? Di certo non si può leggere questo testo come fosse un fatto riguardante singole persone: è un fatto globale, politico e sociale! Va letto su più piani. 

Alcune domande:

Perché gli altri vangeli hanno ritenuto superfluo riportare questo episodio, tanto più che sono stati scritti prima, quando la memoria poteva essere ancora più viva?

Perché Gesù, se aveva il potere di resuscitare i morti, non ha esercitato di più questo potere?…sarebbe stato più credibile!

Ci sono appena tre resurrezioni nei vangeli.

Perché poi un miracolo così eclatante anziché suscitare entusiasmo, decreta la sua condanna a morte?

Perché poi quando sente della notizia della malattia di Lazzaro, Gesù, si ferma ancora due giorni nel luogo dove si trovava? Voleva, forse, aspettare che morisse per fare il miracolo? Strumentalizzare la vita delle persone per fare mostra delle sue capacità? Giocare l'ultima carta per dimostrare la sua divinità?

 - Tutte queste domande ci spingono a cercare…per capire…per credere…per vivere

Le grandi parole, quelle all'altezza dei nostri desideri più profondi, nascondono insidie quasi invincibili. Capisco perché Gesù quando parlava di resurrezione ordinava di non parlarne a nessuno.

Il messaggio di oggi, il messaggio della resurrezione, della vita che non conosce la barriera della morte, nasconde in sé una frode. Rischiamo di appoggiare su questo messaggio tutti nostri desideri inappagati, le nostre frustrazioni, magari animati dal lievito dell'egoismo.

- E' il sesto dei segni che Giovanni riporta e come il primo, a condizionare Gesù, sono donne. A Cana è la Madre a spingerlo a trasformare l'acqua vino, perchè la festa, la vita, non abbia fine, . A Betania sono due donne, simbolo della comunità, rappresentati di quell'umanità nella sua dimensione materna, di chi si prende cura della vita.

-Passa del tempo tra l'ascolto della notizia della malattia di Lazzaro e la decisione di raggiungerlo: Gesù non teme che le vicende seguano il loro corso. E forse ci sono malattie che nessuno è in grado di guarire. A volte sono tentato di pensare che la malattia di Lazzaro fosse una malattia che lo ha portato al suicidio… e forse nessuno era in grado di fermarlo. L'umanità oggi è malata di una malattia che può essere per la morte o per la gloria di Dio!

 

Ritorna più volte l'espressione: "se tu fossi stato qui…non sarebbe morto."

E' vera purtroppo questa frase! Chi può dire che questa presenza che invochiamo non ci sia, ma che noi non sappiamo  riconoscere!?

Quando Gesù, sta per morire sulla croce c'erano due persone che subivano la stessa pena: tutti e due gli chiedono la stessa cosa: la vita!

Uno quella di prima; l'altro qualcosa di nuovo! 

"Io sono… - dirà Gesù alle due donne - la resurrezione e la vita".

Credi tu questo?

Noi di solito diciamo: facci vedere un segno e crederemo…Gesù dice: se credi vedrai…

Allora quello che Gesù cerca di aiutarci a compiere è un cammino di fede.

Anche il figliol prodigo era morto ed è tornato in vita. Ma prima ha dovuto un fare un lungo viaggio, partendo da lontano , verso l'interno di se stesso e poi verso il Padre, quel Dio che non ha mai cessato di chiamare Padre. Non sapeva cosa avrebbe trovato  tornando a casa, ma se anche si aspettava molto meno rispetto a quello che di fatto trovò, si incamminò…

Così questo vangelo ci vuole aiutare a rimetterci in cammino.

Si parte con la consapevolezza della malattia che può essere per la morte o per la gloria di Dio.  

Poi è chiesto a tutti di uscire: Gesù deve uscire dal luogo dove si era ritirato perché poco prima i giudei volevano ucciderlo, i giudei devono uscire da Gerusalemme, Marta deve uscire dal villaggio per andare incontro a Gesù, Maria deve alzarsi e uscire di casa per rispondere alla chiamata di Gesù,…tutte queste uscite convergono verso Lazzaro, per farlo uscire a sua volta dal luogo in cui era stato posto…Tutti convergono verso il posto in cui la povertà era estrema…la solitudine  e il vuoto infiniti. L'appuntamento è nel luogo del limite, il luogo in cui io posso entrare in relazione con gli altri, con l'Altro. "Vieni e vedi…!".

Sembra che noi siamo capaci solo di relegare la vita in luoghi e spazi chiusi, senza aria, più simili a sepolcri che a quel giardino che Dio, fin dalla creazione del mondo aveva sognato per i suoi figli… 

Questa era la vita che Gesù voleva donare a Lazzaro , al ladrone pentito, al figliol prodigo…a noi! - Vieni e vedi: è l'invito che prima Gesù aveva fatto ai suoi discepoli, ora la Chiesa nella persona di Maria rivolge a noi.

L'appuntamento è a Betania: casa dei poveri! Se non andiamo verso questo luogo, se la chiesa non è casa dei poveri..allora Lazzaro morirà, il fratello amato morirà. Se la chiesa non è la casa di Betania, uno spazio in cui tutti abbiano respiro, la chiesa, l'umanità muore.

Ma per fare questo ci sono degli ordini da eseguire: "togliete - sciogliete - lasciatelo andare".

Come a Cana: "riempite d'acqua le giare",  tutta la fatica la fanno i servi senza obiettare, qui siamo tutti noi che siamo in uscita, chiamati ad obbedire, a servire.

Quando ormai non c'è più niente da fare: "sono già quattro giorni…puzza!"

Quando abbiamo speso tutte le nostre lacrime…ad un certo punto piangono tutti, anche Dio… arrivati a questa soglia da cui vediamo solo il luogo della morte, senza che il nostro sguardo riesca ad andare oltre, non resta che una parola "altra" dalle nostre.

Possiamo prenderla sul serio, pur apparendo inutile, (a che serve togliere una pietra, sciogliere dei legami, lasciare andare i sogni!) e obbedire, o restare legati al passato.

Diceva il cardinal Martini: "la morte è l'unico vero atto di fede. Prima c'è sempre una via d'uscita di fronte alle nostre scelte. Di fronte alla morte non c'è via d'uscita".

Credi tu questo. Credi che la vita è sempre legata alla parola che ascoltiamo e che anche nella morte una parola ci raggiunge, quella di Dio, e quando quella parola ci raggiunge la vita si sente chiamata in causa.

Il pianto e la preghiera sono lo spazio perché una parola "altra" possa esprimersi ed essere ascoltata. E così dopo il colloquio coi discepoli, il colloquio con Marta, il colloquio con Maria, e il colloquio con il Padre: l'ultimo colloquio è con Lazzaro: "Vieni fuori!". 

Mentre prima tutti parlavano di Lazzaro o di quello che ognuno avrebbe potuto o dovuto fare, ma nessuno era in grado di rivolgere la parola al morto, Gesù si rivolge direttamente a lui e questi lo ascolta. Aveva detto: "Chi ascolta la mia parola ha la vita eterna…"(Gv. 5,24)

Quel pianto e quella preghiera; " ti ringrazio Padre" (difficile sempre dire grazie…soprattutto in certi momenti!) raggiungono Lazzaro, come il pianto e la preghiera di Maria di Magdala  raggiunsero Gesù nel sepolcro e questi "vennero fuori", resuscitarono!

Lazzaro se ne va, non dice una parola, ma non torna alla vita di prima, è una chiamata per una svolta di vita.

 Il tutto poi ha come contesto geografico un villaggio, Betania, dove c'era la casa di Marta e Maria, casa-rifugio per il cuore di Gesù. Ma il contesto più vero è il cuore delle persone. Mai si dice tante volte che il legame tra Gesù, Marta , Maria e Lazzaro era un rapporto di amicizia, di amore. Solo nell'amore ci sta il perdersi, il ritrovarsi, il piangere, il credere, l'uscire il togliere  le pietre che soffocano la vita, il sciogliere i legami, il lasciare andare. Solo nell'amore si ode il grido di chi si sente solo...

E l'umanità riprende il cammino, e come quello dei magi dovrà essere sempre per un altra strada.

Fu miracolo…certo, ma non prima di un lungo lavoro di liberazione.

Credo che anche oggi mentre invochiamo il miracolo dobbiamo intraprendere un lungo cammino. …

Gesù non ha resuscitato Lazzaro perché tornasse a fare la vita di prima, ma perché intraprendesse una strada nuova, una vita nuova…

Quando usciremo da questa situazione non potremo tornare a fare la vita di prima, ma dobbiamo essere pronti ad inventarci, creare qualcosa di nuovo. 

 Occorre uscire dagli spazi in cui ci siamo rifugiati in cerca di sicurezze, darci appuntamento in un luogo preciso, a Betania, la casa dei poveri, dobbiamo piangere insieme, farci domande, superare le accuse…ma gli uomini del nostro tempo avranno il coraggio di aprire strade nuove o preferiranno costruire bei sepolcri  condannando a morte chi indica nuove strade!?

"il primo giorno del nuovo mondo ci svegliammo salutando cogli occhi il ritorno del sole e una improvvisa voglia di correre…il primo giorno del nuovo mondo fu il tempo di uscire al di fuori di noi per cercare un sorso d'aria…per tornare alla vita più umani che mai e i sospiri di sollievo diventarono il vento". (Simone Cristicchi)

 


IV° domenica di Quaresima - 22.03.2020

Gv 9, 1-41

Dal Vangelo secondo Giovanni

 

In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».

Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa "Inviato". Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: "Va' a Sìloe e làvati!". Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov'è costui?». Rispose: «Non lo so».

Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c'era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l'età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età: chiedetelo a lui!».

Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da' gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l'ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell'uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.

Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell'uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane».

 

 - LE PAROLE PERDONO IL LORO SENSO,

MENTRE PERDONO IL LORO COLORE

IL MARE VERDE E IL CIELO AZZURRO,

CHE SONO STATI DIPINTI GRAZIE ALLE ALGHE

CHE EMISERO OSSIGENO PER TRE MILIONI DI ANNI.

 

E LA NOTTE PERDE LE SUE STELLE.

ORMAI CI SONO CARTELLI DI PROTESTA 

AFFISSI NELLE GRANDI CITTA' DEL MONDO:

 

 "NON CI LASCIANO VEDERE LE STELLE"

firmato: LA GENTE!

 

E NEL FIRMAMENTO 

SONO COMPARSI GIA' MOLTI CARTELLI CHE GRIDANO: 

 

 "NON CI LASCIANO VEDERE LA GENTE"

firmato: LE STELLE!

  

 ( E. Galeano)

 

"Quando c'è la salute…"

In questi giorni Josè M. Castillo scriveva: la cosa più importante è la salute. Gesù di Nazareth, pur non essendo un medico, si è preoccupato sempre e in primo luogo della salute dei malati. Il vangelo è un messaggio religioso, ma Gesù intese la pratica religiosa non come una osservanza di rituali o di norme, ma come alleviare le sofferenze dei malati.

 Il protagonista del racconto è l’ultimo della città, un mendicante cieco dalla nascita, che non ha mai visto il sole né il viso di sua madre. Così povero che non ha nulla, possiede solo se stesso.

Gesù "passando vide…" Lo sguardo di Gesù: vide l’uomo. Non vede un malato, ma un uomo. 

I discepoli non solo non vedono un uomo, ma in un certo senso nemmeno un cieco, bensì solo il problema che la cecità pone loro. Non rivolgono nemmeno la parola a quell’uomo. L’incontro di Gesù inizia vedendo un uomo: non una categoria, non un problema teologico, non una colpa, ma un essere umano.

Uno splendido romanzo di Saramago, "Cecità", narra la vicenda di una popolazione divenuta improvvisamente cieca. La vita si fa assurda, disumana.

In questo periodo di "cecità" che colpisce tutti emergono le stesse domande : Come mai? Chi ha peccato? Di chi è la colpa? Come intravvedere la luce in questa notte?

- Gesù non risponde a queste domande, forse perché non ci sono risposte che non siano superficiali, utili, magari, solo a giustificare se stessi.

La prima preoccupazione di chi non sa cosa fare è trovare un colpevole…che alla fine è sempre Dio.

A volte anche le nostre preghiere nascondono, inconsciamente questo stato d'animo.

Gesù vede un uomo: nella sua verità, fatta di fango.

 - Cosa quello uomo non riusciva a vedere? Forse ce lo spiega il gesto che Gesù compie: "sputò per terra, fece del fango con la saliva e lo spalmò sugli occhi del cieco poi gli disse : vai a lavarti…"

Gesù è Dio che si contamina con l’uomo, ed è anche l’uomo che si contagia di cielo. Ognuno è una mescolanza di terra e di cielo, di polvere e di luce divina. «Noi tutti nasciamo a metà e tutta la vita ci serve per nascere del tutto» (M. Zambrano).                                                        Il fango è la materia prima con la quale è fatto l'uomo: fango e saliva, terra e acqua.          A pensarci: ben poca cosa. E' tutta la nostra miseria, la nostra umanità sempre difficile da accettare.

Cerchiamo di marcare la distanza con quelli che consideriamo gli scarti dell'umanità. Pensiamo solo a come gli omosessuali, erano costretti a vivere nell'oscurità.               Pensiamo a tante persone che in un momento in cui non si può stare per strada hanno come loro unica dimora la strada…

E' proprio a queste persone, agli scarti della storia, della società che Gesù si rivolge affinché anche tramite loro si possano manifestare le opere di Dio.

Spesso pregiudizi culturali impediscono di vedere, accettare una persona semplicemente perché diversa. 

Ma che religione è questa che non guarda al bene dell’uomo, ma solo a se stessa e alle sue regole? Mettere Dio contro l’uomo, ed è il peggio che possa capitare alla nostra fede.

Come se il dare delle colpe, l'accusare di peccato qualcuno fosse l'unica categoria interpretativa della realtà. Questa categoria che sembra religiosa, la categoria del peccato , in realtà rende ciechi.

Gesù mette davanti agli occhi di quel cieco, la sua realtà e gli chiede di accettarla di amarla, di non farsi schiacciare dalla propria povertà, né dal giudizio degli altri.

E quando quelli che lo avevano visto prima se lo trovano davanti e cominciano a dire: "è lui…no, ma uno che gli assomiglia", ecco che viene fuori la risposta più belle di quell'uomo: SONO IO! Questo è il miracolo: poter affermare con forza e dignità, coraggio e libertà disarmante la propria identità.

Gloria di Dio è un mendicante che si alza, un uomo che torna a vita piena, «un uomo finalmente promosso a uomo» (P. Mazzolari).

Ha visto se stesso e non ne prova più vergogna, non ha più bisogno di elemosinare qualcosa dalla vita, perché lui stesso è vivo. Una luce interiore gli ha dato quella dignità che la religione e la società gli avevano tolto.

E a chi vorrebbe riportarlo nella condizione di prima, o fargli rinnegare se stesso, ripeterà sempre con più forza: io sono io e voglio essere semplicemente quello che sono.

Quando comincia a vedere si trova a dover affrontare sempre più difficoltà…come cieco non dava fastidio a nessuno, ma dal momento che ci vede, si ritrova tutti contro.

Ma saranno proprio le difficoltà che lo aiuteranno a vedere sempre meglio e di più.

E quell'acqua verso cui è andato lavarsi sono le lacrime che ha dovuto versare dal momento che ha accettato di essere se stesso e di esigere da tutti di essere riconosciuto per quello che era.

Infine viene espulso, cacciato fuori dalla sinagoga. (E'curioso che uno cacciato dalla sinagoga era come un appestato da cui bisognava stare ad almeno due metri di distanza!), ma da questa distanza ritrova chi gli aveva aperto gli occhi sulla realtà. E' come un bambino che quando nasce viene espulso, cacciato fuori, ma è il momento in vede, viene alla luce...

 La prima volta aveva parlato solo Gesù e lui si era fidato, affidato. Stavolta instaura un dialogo.

Quell'uomo chiamato Gesù gli chiede: "tu credi nel figlio dell'uomo?".

Ci saremmo aspettati. tu credi in Dio?

E chi è questo figlio dell'uomo? Qual'è l'immagine d'uomo che dovrei e vorrei essere? 

Ancora una volta, come alla samaritana Gesù risponde con la stessa espressione: " colui che parla con te!".

In questo sta il divenire persone vive , nel vedere la realtà dell'altro, nell'entrare in relazione con quello che è altro da me, partendo dall'accettare quello che ciascuno è …

Incontrare gli altri sull’unico terreno che abbiamo a disposizione, la nostra umanità.

Gesù alla fine con la sua nudità sulla croce non ha fatto altro che mostrarsi nella sua debolezza senza vergogna…e qualcuno ha visto in lui un uomo vero.

"Veramente quest'uomo è…veramente un uomo!".

Finisce così il vangelo.

Restiamo umani!

Lo sputo sulla mano si asciuga sul piccone 

lo sputo in terra, poi, diventa fango,

e Dio ci impasta Adamo.

Lo sputo contro il muro diventa rosa, e sangue

lo sputo per la fame è duro, e bestemmia.

Lo spunto contro il viso io non l’ho mai saputo fare

e neanche dentro un piatto

lo sputo controvento, molte volte, assolo, senza amore.

Lo sputo.

Lo sputo tiene insieme

tutto quello che ho scritto. (Erri de Luca)

Focarina di San Giuseppe - 18.03.2020

III° domenica di Quaresima - 15.03.2020

Gv. 4, 1-42

Quando il Signore venne a sapere che i farisei avevan sentito dire: Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni - sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli - lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea.  Doveva perciò attraversare la Samaria.

Gesù giunse a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: là c’era la fonte di Giacobbe.

Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso la fonte. Era circa mezzogiorno.

Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.

Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva».

Gli dice la donna: «Signore, non hai neanche un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque l’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».

Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui fonte d’acqua zampillante per la vita eterna».

«Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non sia sempre assetata e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito».

Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».

Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è adesso – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, che vuol dire “unto”: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Io sono, che parlo con te».

In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.

Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: altro è chi semina e altro chi miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».

Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più a causa del tuo racconto che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

(testo dell'evangeliario di Bose)

 

 - Leggiamo e percepiamo che questo incontro fa parte degli incontri veri, incancellabili. - Il pozzo e l'ora: "era circa mezzogiorno"… Quanto sia durato non si sa… Quando un incontro è vero, il tempo passa e non te ne accorgi. Quando un incontro è vero…di quante cose non ti accorgi!

 - Della stanchezza per esempio: "affaticato per il viaggio sedeva al pozzo". Scomparsa la stanchezza! - Ti dimentichi della sete!… prepotente la sete! Ma alla fine tutti e due si dimenticano di bere! - Quando si è presi dall'incontro…quante cose scompaiono!

 - Per capire, forse dovremmo andare a qualche incontro della nostra vita che è stato o è ancora per noi come aver bevuto acqua "viva". 

Una pagina questa, che sembra la festa del desiderio. Che valore diamo al desiderio nella nostra vita?

 - Festa del desiderio di Gesù, festa del desiderio di incontrare qualcuno che lo capisca: se ne torna in Galilea criticato perché faceva più discepoli e battezzava più di Giovanni, sebbene non fosse lui a battezzare. Fare il bene suscita invidia, gelosia…Anche i discepoli lo avevano lasciato solo…erano andati tutti a cercare cibo…

 - E poi il desiderio della donna, un po' mascherato, sotto le sue domande che nascondono altro: domande sull'identità di quello straniero, che a sua volta apre domande sulla sua vita, sulle sue storie d'amore, tutte storie che avevano lasciato solo vuoto, più sete di prima. Forse per questo non si offende che Gesù la metta a nudo…un incontro vero  mette a nudo!

Gesù e una donna, occhi negli occhi. Non una cattedra, non un pulpito, ma il muretto di un pozzo, per uno sguardo ad altezza di cuore. Con le donne Gesù va diritto all’essenziale: «Vai a chiamare colui che ami». Conosce il loro linguaggio, quello dei sentimenti, della generosità, del desiderio, della ricerca di ragioni forti per vivere. Gesù non istruisce processi, non giudica e non assolve, va al centro. Non cerca nella donna indizi di colpa, cerca indizi di bene; e li mette in luce: hai detto bene, questo è vero.

Chissà, forse quella donna ha molto sofferto, forse abbandonata, umiliata cinque volte con l’atto del ripudio. Forse ha il cuore ferito. Forse indurito, forse malato. La resilienza di questa donna ci dice che ogni situazione difficile può comunicarci qualcosa di importante, che ogni sete può farci giungere all’acqua viva, che ogni deserto è anche sempre desiderio di una sorgente più profonda. La resilienza, infatti, è la capacità di trasformare le ferite in feritoie. Ma lo sguardo di Gesù si posa non sugli errori della donna, ma sulla sete d’amare e di essere amata. Non le chiede di sospendere questo rapporto da coppia di fatto, prima di affidarle l’acqua viva; non pretende di decidere per lei, al posto suo, il suo futuro. Lui è maestro di nascite, spinge a ripartire! Non rimprovera, offre: se tu sapessi il dono di Dio. Fa intravedere e gustare un di più di bellezza, un di più di bontà, di vita, di primavera, di tenerezza: Ti darò un’acqua che diventa sorgente! Una specie di superfluo indispensabile.

 - Vedo che sei un profeta: uno che sa leggere in profondità i desideri delle persone: e allora dove adorare Dio? Adorare, non trovare, cercare, conoscere, ma adorare che vuol dire baciare. Il desiderio di questa donna è incontrare un Dio che si possa amare e da cui ci si possa sentire amati.

E allora non è più questione di tempio o di monte, ma di Spirito e verità. Lo Spirito è come il vento, è libertà. Dio è libertà, anche di non essere la' dove te lo aspetti ed essere dove non te lo aspetti.

Ma non lo puoi rinchiudere in nessuna religione, istituzione, dottrina, tabernacolo; neppure in nessuna esperienza personale.

 La religione non si riduce alla questione di un monte o di altro, di un rito o di altro, di un dogma o di altro…

Dio  lo si incontra nella libertà e nella verità. Qualunque cosa si voglia dire di Dio è, e sarà sempre una sottrazione, un togliergli qualcosa. Dio è, e basta. Lo si può incontrare solo togliendosi i sandali, camminando a piedi nudi, con libertà, verità..delicatezza.

Credo potrebbe essere una opportunità per i preti questo digiuno da ogni funzione religiosa. Potrebbe far capire che la fede non dipende da noi preti, dai nostri riti, moralismi, o regole…Non preoccupiamoci di suggerire preghiere. Avremo una quaresima senza Eucarestia: non facciamone un dramma. La samaritana ci invita a correre per le strade, lasciando le brocche di certe sicurezze religiose, e magari scoprire un nuovo modo, personale, familiare e quotidiano di vivere la nostra relazione con Dio. Il tempio vero è il cuore dell’uomo, dove puoi adorare Dio in spirito e verità, al di là dei luoghi fisici e del culto esteriore.

Si tratta di abbattere muri, barriere, disinnescare conflitti. Quando si è stanchi e assetati cadono le barriere lasciando il posto ad una nuova pietà, ad un sentirci accomunati dal dolore da cui scaturisce una nuova fraternità. 

Come riconoscere Dio? Come riconoscere un amore vero, da un amore che consuma e si consuma lasciando solo un grande vuoto?

Questa è la domanda conclusiva e definitiva di quella donna e altrettanto definitiva è la risposta di Gesù: "sì, è colui che parla con te!".

E' solo in un dialogo profondo e vero che si incontra Dio, l'altro, l'amore, un incontro capace di superare tutte le distanze. 

 La persona che non parla di Dio, dell'amore, che non spiega la religione, ma spiega me, dice a me stesso chi sono, questi è la presenza più vera di Dio…E'  il segno di un amore che è come una sorgente d'acqua che zampilla, che non si scava, semmai  si scopre, ci viene donata. 

"Ho trovato un uomo…una donna che mi ha detto chi sono!".

Dio, tu solo sai quanta sete di speranza abbiamo… dacci la forza di abbandonare la zavorra della nostra brocca. Aiutaci a diventare acqua ed energia interiore per superare nell'incontro lo spaesamento della nostra precarietà, le soffocanti solitudini, la frustrazione di una fiducia incerta, che ci allontana da te, da noi stessi, dagli altri.

L'Amazzonia cuore della Terra   -  09.03.2020

Si è svolto in ottobre a Roma un sinodo che si è concentrato principalmente sull'Amazzonia.

Sono state ascoltate persone e realtà legate a quel territorio, con la consapevolezza che l'Amazzonia è il cuore della terra.

"L' Amazzonia è una bellezza ferita e deformata, un luogo di dolore e violenza". 

Il grido della terra e il grido dei poveri è diventato un unico grido.

Al termine dei lavori è stata presentata una relazione al papa, sulla quale lui ha preso spunto per un documento finale, sintetizzato in quattro sogni.

 - Un sogno sociale: l'Amazzonia non è uno spazio vuoto da occupare, una ricchezza grezza da elaborare, un'immensità selvaggia da addomesticare, mentre gli indigeni sono visti come intrusi o usurpatori. Le storie emerse richiedono il bisogno di indignarsi e chiedere perdono.

 - Un sogno culturale: promuovere l'Amazzonia significa fare in modo che essa stessa tragga da sé il meglio. Farsi carico delle radici. Custodire le radici  per sederci a tavola, luogo di conversazione e di speranze condivise.

 - Un sogno ecologico: "Siamo acqua, aria, terra e vita dell'ambiente creato da Dio. Devono cessare i maltrattamenti e lo sterminio della Madre terra. La terra ha sangue e si sta dissanguando…" dicono gli indigeni!

In Amazzonia l'acqua è la regina, i fiumi sono le vene, ogni forma di vita origina dall'acqua. Il fiume non separa, ma unisce, aiuta a convivere tra diverse culture. Il suo asse principale è il grande fiume, figlio di molti altri fiumi. Solo la poesia, con l'umiltà della sua voce, potrà salvare questo mondo. L'ambiente come risorsa, rischia di minacciare l'ambiente come "casa".

Si tratta di contemplare l'Amazonia non solo analizzarla; amarla, non solo difenderla, entrare in comunione con la foresta, unire la nostra voce alla sua e trasformarla in preghiera.

Fin qui il papa ha fatto sue tute le istanze del Sinodo. Una certa distanza invece l'ha presa per quanto riguarda il quarto sogno, quello ecclesiale, forse il più atteso, almeno dal mondo cattolico.

 Il sinodo parlava di nuovi cammini per la chiesa: una chiesa in uscita, una chiesa samaritana, una chiesa in dialogo interreligioso, una chiesa dal volto indigeno, contadino, e afrodiscendente, una chiesa dal volto giovane. 

"Per camminare uniti la chiesa ha bisogno di una conversione sinodale. Sinodalità del popolo di Dio sotto la guida dello Spirito. Con questo orizzonte cerchiamo nuovi cammini ecclesiali, soprattutto nella ministerialità e sacramentalità dal volto amazzonico".

Su ministeri e sacramenti purtroppo l'esortazione del papa si è bloccata, non penso per colpa sua ma delle pressioni esterne.

Non c'è dubbio che la chiesa è una forza profetica nel mondo e potrebbe esserlo ancora di più in un luogo così simbolico e importante per il futuro dell'umanità.

Si presentava l'occasione per un laboratorio estremamente stimolante per una chiesa veramente nuova. Annunciare il vangelo, viverlo in terre e in mezzo a popolazioni indigene libere da ogni condizionamento culturale, legato alla tradizione della chiesa, sarebbe stato una ventata di libertà forse unica.

Sentiamo tutti la fatica di un vangelo che non è più vivo, che non trasmette più gioia, speranza a chi è povero che non dà respiro ai poveri ma che piuttosto ne toglie. 

La chiesa ha due forze con cui trasmettere vita: la Parola di Dio e i sacramenti, in particolare quello dell'eucarestia.

Gli Atti degli apostoli, che raccontano come si animava la vita delle prima comunità cristiana, sottolineano spesso che i battezzati, come tali, sacerdoti, re e profeti, erano perseveranti nell'ascoltare la parola di Dio e nello spezzare il pane.

Nel corso dei secoli purtroppo questi compiti sono stati sempre più assorbiti, assunti in forma esclusiva dal clero.

Il ruolo ha preso il sopravvento sul valore della parola e del sacramento.

Per questo sarebbe stato bello se in Amazzonia si fosse aperto una specie di laboratorio di esperienza comunitaria basata sulla comunità e non sul clero.

Ci fu un episodio nel terzo secolo in Spagna quando alcune comunità fecero dimettere i rispettivi vescovi per non aver difeso la fede in un momento di persecuzione.

Dalla discussione nacque un sinodo, indetto da Cipriano, che approvò l'idea secondo cui una comunità poteva eleggere il suo vescovo, come farlo dimettere in caso non ne fosse degno.

In Amazzonia la mancanza di preti impedisce la vita di una comunità. Credo sarebbe opportuno  dare valore alla sostanza e non alla forma. Non è automatico  che se uno e prete abbia il potere, il diritto di annunciare la Parola di Dio, celebrare l'Eucarestia o il sacramento della confessione.

Io credo che la sostanza sia altra.

La parola di Dio dovrebbe ascoltata dalla bocca di chi Dio ha scelto per parlare, cioè i poveri. E' parola di Dio non se è un prete ad annunciarla, ma se al cuore di un povero  suona come una boccata d'aria e suscita speranza.

Il perdono è un compito che Gesù risorto ha affidato a tutti quando dice, "nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati". Non si esercita il sacramento del perdono per avere potere sulle coscienze, ma per liberare le coscienze dai sensi di colpa, dalla paura e da ogni inibizione.

Ma credo che tutto possa ripartire dalla Eucarestia.

Mi piace molto quando si dice che i battezzati si trovavano nelle case a spezzare il pane,

Nella messa diciamo che quel pane è il frutto della terra, il figlio della terra… tutta la terra è come una madre che genera questo figlio, è come un grande albero che produce un frutto che è il pane.

Se l'Amazzonia è il cuore, il grembo della terra, nessuna parte del mondo dovrebbe essere più sacra di quella e nessuno è più sacerdote di coloro che quella terra per milioni di anni hanno custodito, fecondato e fatto germogliare.

E questo va oltre il fatto di essere uomo o donna, sposato o meno.

Spero che i battezzati dell'Amazzonia facciano proprio il sogno di una chiesa che nasce dal popolo, si regge e cresce sul popolo e che quindi non stiano ad aspettare un prete per fare eucarestia, ma si ritrovino nelle case per ascoltare la parola di Dio che risuona nel grido di chi viene cacciato dalla propria terra, e spezzino fra loro il pane come segno di solidarietà con la loro madre terra e con chi l'ha sempre amata.

Riprendo queste riflessioni il 9 marzo, dopo il decreto che blocca tutte le celebrazioni liturgiche…Si invitano persone e famiglie a pregare nelle proprie case…

chissà che non sia l'inizio di un nuovo modo di fare eucarestia o almeno che faccia comprendere ai "sacerdoti" intesi come clero che non sono poi così indispensabili…

Sorrivoli 1 - 9 marzo 2020


II° domenica di Quaresima   -  08.03.2020

Dal Vangelo secondo Matteo

Mt 17,1-9

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti».

Parola del Signore


 Alcune riflessioni sul vangelo di questa domenica.

 Gesù conduce con sé Pietro, Giacomo e Giovanni su alto monte. In precedenza il diavolo aveva condotto Gesù su un alto monte per proporgli il dominio su tutti regni della terra,   e mostrare a tutti che il suo era un potere simile a quello di Dio. Era la strada che perseguiva il faraone o l'imperatore. Gesù con la trasfigurazione, risponde al diavolo, ma soprattutto a Pietro, Giacomo e Giovanni che mostravano ambizioni legate al potere, aspirando a ruoli di prestigio in quello che immaginavano essere il regno che un giorno avrebbe costituito. La sua risposta riprende la prima delle beatitudini: "dei poveri e il regno di Dio…" e dei poveri vuol dire che si basa solo sui mezzi di cui possono disporre i poveri, il cui unico potere è la resilienza. (capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità).

 Termina il racconto con Gesù che si avvicina ai tre, li tocca e dice loro: "alzatevi e non temete".

Alzati e non temere Pietro del dio che esige sacrifici, che vede tutto, sempre pronto a punire. Non ci sono tende per questo dio, perché questo dio non esiste.

Alzati e non temere Giacomo, del dio pronto a tagliare ogni albero incapace di dare frutto. Non c'è tenda che possa accogliere il dio della vendetta generatrice di debiti impossibili da saldare, perché questo dio non esiste.

Alzati e non temere Giovanni, non c'è spazio qui per il dio del giudizio,  del castigo e della paura.

Così Gesù va trasfigurando - con la sua parola, i suoi atti, i suoi amori, le sue distanze,il suo stile di vita - il dio ereditato dal culto, dalla legge, dalla tradizione, dal potere, - non perché tali mediazioni fossero perverse in se stesse, ma perché si erano trasformate fatalmente in fini più che in mezzi.

Così Gesù, va manifestando ai poveri quel Dio che è padre e che rivela il suo potere nell'amore, nella vicinanza, nella cura degli uccelli del cielo e dei gigli dei campi, nella ricerca della pecora perduta e nell'attesa del figlio andato via.

Gesù invita a cercare da un'altra parte, mettendo in crisi ciò che è stabilito, per quanto secolare possa essere.

Pietro propone di fare tre tende: finchè non comprende che nella ricerca di Dio, possono esserci pause, ma mai permanenze in cui trovare rifugio. Bisogna continuare a camminare, spostare le frontiere.

"Alzatevi e non temete": l'invito continua ad attualizzarsi nel corso della nostra storia. Non è quello che si aspettavano e questo li spaventa come  noi oggi ci spaventiamo di fronte a situazioni che impongono dei cambiamenti anche radicali nel nostro modo di vivere.

Ma Gesù, "si avvicinò e li toccò…" come ha fatto con i malati e i morti…la risposta di Gesù è sempre una comunicazione di vita.

"Alzando gli occhi non videro più nessuno"…forse cercano ancora Mosè ed Elia, il passato, la tradizione: è questo che dà loro sicurezza…ma resta Gesù solo…ascoltate lui!

Natale - 25.12.2019

Foto di Paolo Cecchini (PC Immagini & Colori)

20 ANNI FA - Crollo mura del Castello - 21.11.1999

Perché l'Amazzonia brucia - intervista a Marcelo Barros - 29.08.2019

Marcelo  Barros è un  monaco benedettino, teologo e scrittore, referente  delle comunità ecclesiali di base e dei movimenti sociali. E’ stato per otto anni coordinatore  per l'America Latina dell'Associazione Ecumenica di Teologi/teologhe del Terzo Mondo (ASETT). Ha pubblicato 57 libri in portoghese e 15 in italiano, alcuni dei quali scritti per l'Italia. 

L’abbiamo intervistato su quanto sta accadendo all’Amazzonia e perché.

 Perché la  Foresta Amazzonica e a chi l’umanità dovrà chiedere chiedere il “conto” di questa tragedia?

- L'Amazonia è in fiamme perché il Capitalismo è strutturalmente distruttivo nei confronti della natura poiché il suo unico fine è il guadagno. Poiché tutto é visto come merce di scambio: la  terra, le acque e le foreste sono considerate solo dal punto di vista di quanto   possono produrre come guadagno da parte delle élite che hanno in mano il potere nel nostro paese. 

Questo aspetto distruttivo del Capitalismo è presente in Brasile come pure negli altri paesi che sono sul territorio dell'Amazonia. In questo momento gli incendi di immense proporzioni stanno distruggendo la foresta in territorio brasiliano, come pure in quello della Bolivia e della Colombia. 

 Chi sono i responsabili di questo disastro ambientale (come pure di molti  altri che conosciamo, non solo per quanto riguarda l'Amazonia, ma in altri luoghi del Brasile, ad esempio al disastro della Ripresa di Brumadinho, accaduto a gennaio scorso o a quello del fiume San Francisco, e a tanti altri sui quali sarebbe importante potesse informarci)? 

 - E' evidente che il primo responsabile è il governo federale e i governatori locali che lo appoggiano e con questo sperano di trarne il loro tornaconto, come pure gli imprenditori e le multinazionali dell'agroalimentare, le imprese di legname che ogni giorno trasportano lungo i fiumi o su strada decine di camion con enormi quantità  di legname pregiato. Tra i responsabili del disastro non possiamo dimenticare le grandi imprese di estrazioni minerarie  come la Valle do Rio Doce  e altre multinazionali che per sfruttare i giacimenti minerari  dell'Amazzonia distruggono la foresta e l'ambiente. Fanno in Amazonia quello che fanno nello stato del Minas Gerais (così chiamato per la grande attività di estrazioni minerarie n.d.r.) dove ogni  forma di  vita in tre fiumi importanti è  scomparsa  o è  stata  avvelenata; a causa di questi eventi centinaia di persone sono morte o hanno perso la casa e ogni forma di tutela. Sono , al tempo stesso, responsabili i grandi  imprenditori locali che tengono, per così dire, il Governo sotto ricatto perché dipende da loro il consenso elettorale in tempo di elezioni. Bolsonaro stesso è stato eletto da queste potenti centrali di potere per fare esattamente quello che sta facendo . Come  Presidente sta appena eseguendo quello che potremmo definire "il compitino di casa". E' effettivamente un buon esecutore...  Siamo nelle mani di questi  mandanti  che stanno distruggendo il paese per avere più guadagni. 

 Quando si è intensificata la distruzione dell'Amazonia e perché? 

 - In quest'anno, con il governo di Bolsonaro, gli incendi in tutta la regione amazzonica sul territorio brasiliano hanno registrato un aumento dell' 80% in relazione agli anni precedenti, ma purtroppo questo stava accadendo anche prima a causa dei grandi progetti del Governo Federale (Centrali idroelettriche come pure progetti nel settore Agroalimentare, che neppure i governi cosiddetti popolari, quelli di Lula e Dilma, avevano osteggiato. La verità, comunque, è che mai c'era stato un disastro paragonabile a quello di quest'anno. 

 - Qual'è la sfida  che la  Chiesa cattolica e l'umanità deve raccogliere di fronte a questo disastro enorme? 

 Purtroppo le Chiese cristiane come anche quella Cattolica e le altre non hanno sviluppato nella loro storia una spiritualità ecologica e neppure sufficientemente  critica nei confronti del Capitalismo. Attualmente papa Francesco ha messo in guardia e attuato delle trasformazioni che però ancora non hanno ottenuto grandi risultati. La maggior parte dei Vescovi e dei  sacerdoti, riportano e citano le sue parole e insegnamenti ma in pratica continuano a portare avanti una visione arcaica di una Chiesa che non ha niente a che vedere con la questione sociale e ambientale. 

La sfida attuale è che le Chiese si rendano conto che hanno una responsabilità in questi crimini contro la umanità perché la maggior parte degli imprenditori che agisce in questo modo si dice cristiana e lo stesso Bolsonaro ha ottenuto la Presidenza della Repubblica con lo slogan "Dio prima di tutto!"

Poiché i cambiamenti climatici provocati dalla distruzione della foresta amazzonica, hanno delle conseguenze sull'intero pianeta, tutta l'umanità è chiamata a reagire e a farsi solidale con gli Indios, i pescatori e i piccoli coltivatori che cercano di difendere l'Amazonia 

 - Sappiamo che da molto tempo si stanno consumando crimini terribili nei confronti dei membri delle organizzazioni che difendono l'ambiente e le popolazioni indigene. Molti crimini sono stati perpetrati anche contro gli indigeni stessi, come pure contro sacerdoti, suore, comunità cristiane (e non solo) che si sono impegnate nella questione indigena e nella tutela  della natura. La Chiesa brasiliana come si sta ponendo di fronte a questi gravissimi conflitti? 

 Sono a migliaia le vittime ed i martiri di questo sistema che distrugge la natura come fa violenza ed uccide indios, contadini, pescatori e uomini e donne che difendono l'ambiente. La Chiesa cattolica è divisa. Ci sono settori e diocesi che non danno nessuna importanza a tutto questo e che continuano a celebrare funzioni ed a lodare Dio come se non stesse accadendo niente. Grazie a Dio, nei nove paesi che fanno parte della Pan-Amazonia, da due anni si è dato vita al REPAM (Rete Ecclesiale Pan- Amazonica) e si è iniziato un lungo processo di dialogo con le popolazioni amazzoniche e di denuncia dei crimini commessi , sostenendo le molte persone ed i gruppi che sono minacciati. 

 - Può dirci  quali sono  i paesi stranieri e le imprese multinazionali che stanno sfruttando attualmente le ricchezze dell'Amazonia? Sappiamo che la Coca Cola aveva un progetto per sfruttare le acque del rio Negro, ad esempio. 

 Al giorno d'oggi questi progetti fanno sempre capo a società difficilmente individuabili  e a corporazioni e non ad  una sola impresa. E' chiaro che la Nestlè, la  Coca Cola, le industrie di fertilizzanti agricoli e sementi transgeniche, come la Monsanto e molte altre imprese hanno grandi interessi in Amazonia. La Coca Cola ha comprato tutta l'acqua della città di San Lorenzo, importante nodo per i movimenti dell'acqua in Minas Gerais ed adesso sta investendo in Amazonia. Cinque grandi compagnie minerarie hanno progetti di estrazione in tutti i paesi dell'America Latina, causando danni immensi all'ambiente. In Europa si deve sapere che quando si acquistano al supermercato  cibi per  cani e gatti, come pure il nutrimento per i porci o per  altro  bestiame, si stanno acquistando prodotti derivati dalla soia che viene dal Cerrado brasiliano, oggi praticamente distrutto, e dall'Amazzonia, in via di distruzione. 

 - Attualmente si sta parlando molto del Sinodo sull'Amazonia che  papa Francesco ha convocato per il prossimo mese di ottobre, a Roma. Da questo Sinodo possiamo aspettarci dei cambiamenti? 

 

Ritengo che un cambiamento ci sia già stato dal momento che per la prima volta, per preparare il Sinodo si sono veramente coinvolte le comunità e le popolazioni dell'Amazzonia, comprese le realtà non cattoliche. Questo dialogo ha dato il vita ad un processo sinodale in tutti i nove paesi dell'Amazonia e questo stesso percorso di dialogo e di revisione del concetto di missione ha dato dei buoni risultati e ne darà ancora. Per la prima volta, per esplicita volontà del papa, vescovi e missionari devono dare ascolto alla voce dell'Amazzonia, farsi carico del grido della Terra e dei poveri, rivedendo anche   lo stile proprio della Chiesa, che è ancora oggi di stampo  coloniale, come pure quell'evangelizzazione che non ha rispettato le religioni e le culture indigene... E' la prima volta che un documento della Chiesa Cattolica dice che la missione comincia quando la Chiesa nei suoi ministri e nei fedeli esercitano il servizio (ministero) non di parlare ma di ascoltare, ascoltare la voce della terra e dei popoli ancestrali. In questo poniamo la nostra speranza. 

Festival dei Burattini - 17/25.08.2019

Primo Maggio al Castello - 01.05.2019

Domenica delle Palme - 14.04.2019

Festa della Famiglia e inaugurazione ceramiche malatestiane - 24.03.2019

Incontro con Aleida Guevara  - 10.03.2019

Natale dei diritti  -  09.02.2019

Tra le statuine del presepio, ce n’è una molto curiosa. La chiamano “il pastore meravigliato” o “l’incantato“.

Rappresenta un fanciullo con le mani vuote, le braccia aperte e il viso che esprime meraviglia.

Un giorno le statuine del presepio se la presero con l’Incantato perché non portava nessun dono a Gesù. Gli dicevano: “Non hai vergogna? Vieni a Gesù e non gli porti niente?”.

“L’Incantato” non rispondeva: era totalmente assorto nel guardare il Bambino. I rimproveri si fecero più fitti.

Allora la Madonna intervenne: “Incantato non viene a mani vuote! Non vedete che porta al mio Gesù la sua meraviglia, il suo stupore! L’amore di Dio fatto bambino lo incanta”.

Quando tutti compresero, la Madonna concluse: "Il mondo è pieno di meraviglie, ma gli uomini hanno perso la meraviglia. Peccato! Perché è lo stupore che fa crescere il voltaggio dell’anima e la ingentilisce."

Così, Dio si presenta come un bambino e la prima reazione, anziché la meraviglia, è la paura, tanto che gli angeli si preoccupano subito di rassicurare i pastori: "non temete…"

E' strano che tutte le volte che Dio va incontro all'uomo, la prima reazione è la paura.

Ebbe paura Adamo… Ebbero paura gli israeliti ai piedi del Sinai…ebbe paura Maria all'annuncio dell'angelo…ebbero paura gli apostoli quando Gesù va loro incontro camminando sulle acque,o quando si trasfigurò sul monte… Ebbero paura le donne quando il mattino di pasqua andando la sepolcro non trovarono un morto, ma un vivo…

Non si dice mai nella bibbia che quando si presenta il diavolo qualcuno abbia manifestato paura… Quando il serpente si presenta ad Eva, sembra quasi ci fosse una sorta di famigliarità tra di loro.

E'strano: quello che dovrebbe far paura non la fa, quello che dovrebbe dare gioia, fa paura!

 

Ma tornado al natale si dice nel vangelo che Cesare Augusto, ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Anche Giuseppe dovette salire dalla Galilea fino in Giudea per farsi censire insieme a Maria sua sposa che era incinta. Non esiste natale senza rapporto con la storia! Non è una festa privata, intimistica che porta le persone, le famiglie, le culture a chiudersi  in se stessi.

Tutta la vita di Gesù, è stata condizionata da uno degli imperi più forti e più duraturi della storia. Impero capace di avere un controllo capillare di tutta la terra, di tutti suoi sudditi. Il riferimento al censimento sembra voler sottolineare questo.

Il viaggio che Maria e Giuseppe fanno, non è di piacere, né volontario, ma è costretto da un decreto che ordinava loro di mettersi in viaggio, senza considerare le difficoltà, i rischi che si potevano correre in quelle condizioni. Partire lasciando amici, famigliari, progetti, sogni legati a quella nascita…Il pensiero vola a tutti quegli uomini, quelle donne che si mettono in viaggio oggi…non sono viaggi di piacere…anche oggi c'è un impero, delle forze che costringono uomini donne e bambini a mettersi in viaggio senza saper dove approdare.

Che bello quando Maria e Giuseppe arrivarono a Betlemme, e loro che sapevano il significato di quel nome, avranno pensato: siamo arrivati nel posto più bello del mondo. Sì perché Betlemme vuol dire proprio "casa del pane"…ma per loro non c'era pane…non c'era possibilità di vivere…Forse sarà per questo che Gesù una volta grande ha pensato di farsi pane, perché per dare pane bisogna farsi pane.

Il sogno che cercherà di trasmettere fu quello che si potesse scrivere sotto il nome di ogni città , nazione, stato "casa del pane"…Tutto il mondo dovrebbe chiamarsi "casa del pane"..lo ripeterà fino alla morte dopo aver testimoniato per tutta la vita come ciò fosse possibile…

Ma a Betlemme non furono accolti a braccia aperte: per loro non c'era posto…facevano paura! Chissà da dove vengono, chissà che lingua parlano…tutte paure che accompagneranno sempre la persona di Gesù!

Allora come oggi non c'è posto per chi parte costretto dal potere di turno!

Ma sono queste le paure che ci devono condizionare?

Ci sono angeli che continuano a ripetere: "non temete!".

 

E questi pastori si chiedono come sia possibile che non ci sia posto per un bambino in questo mondo!

Quando Dio creò il mondo cercò di fare le cose per bene: prima fece la luce, poi separò la terra ferma dalle acque, poi ci mise le piante, quindi i pesci nel mare, gli animali sulla  terra, gli uccelli nel cielo…poi ci mise l'uomo sperando non facesse troppa confusione, ma soprattutto raccomandandosi di non occupare il posto che non fosse suo…invece, l'uomo ha occupato sempre più posto eliminando cose, animali che gli davano fastidio, ma soprattuto uomini e donne che non potevano pagarselo un posto, trascurando il desiderio di Dio…

Così chi è povero ha sempre fatto fatica a trovare un posto in questo mondo perché qualcuno ne ha occupato troppo usurpando un posto di altri.

 

Forse per questo chi rivendica il diritto ad un posto viene minacciato fino ad essere ucciso.

Anche la natura privata del suo posto si sta ribellando: le foreste reclamano il diritto di essere rispettate, i fiumi di essere lasciati liberi di scorrere verso il mare, i ghiacciai di poter mantenere l'equilibrio fra le varie forze della natura…

Ma sembra che il diritto ad un posto, al proprio posto sia stato cancellato, dimenticato.

 

Ma ogni diritto ha bisogno di essere riconosciuto dagli altri. Io posso riconoscere i miei doveri verso gli altri, ma per i miei diritti è necessario che altri li riconoscano.

Gesù nasce, vive e muore sotto un regime, forse il più forte, il più violento, il più duraturo che la storia abbai mai conosciuto. Nasce in una terra occupata…non certo la terra promessa... La storia appare dominata solo e sempre dai potenti.

Eppure in questo contesto drammatico, violento qualcuno parla di grande gioia!

Non si tratta di chi alza la voce con decreti o ordini, ma di angeli, questi strani personaggi molto sfuggenti, che parlano solo di notte o in sogno, quando intorno c'è molto silenzio, e a chi sa fare la guardia al proprio cuore, rendendolo capace di ascolto…sono voci che risvegliano desideri che la durezza della quotidianità aveva spento.

E così si verificano viaggi che non dipendono da decreti, ma sono guidati da desideri. Si verificano relazioni che riconoscono il valore del volto, senza fermarsi sull'anonimato della categoria…profughi, clandestini, stranieri, ma leggono dietro quei volti, un nome, una storia spesso di sofferenza. E da lì nascono confidenze, cominciano i racconti, si trasmettono emozioni.

Penso al viaggio di quel samaritano che da Gerusalemme scendeva verso Gerico e quando incontrò quell'uomo ferito si fermò…penso al viaggio di quei due che la sera di pasqua scendendo da Gerusalemme ad Emmaus incontrano uno straniero e si lasciano interrogare e la loro tristezza si trasforma in gioia..

Era gente che vegliava…che non riusciva a prendere sonno…che custodiva il proprio cuore, gente che aveva cura. Sì perché il contrario del vegliare è la noncuranza. Noncuranza che si manifesta come indifferenza, insensibilità verso le persone, come superficialità nei rapporti,disinteresse verso le situazioni, inconsapevolezza del peso delle parole, incuria degli oggetti, trascuratezza dei luoghi...

Mi piace pensare alle storie che i pastori,i magi hanno raccontato a Maria e Giuseppe e quelle che quella coppia di profughi avrà loro raccontato.

Le confidenze fanno paura. La vita non deve trasmettere emozioni!

Invece è proprio in questa accoglienza dell'altro in questo  fare posto all'altro,in questo scambiarsi dei doni che la vita germoglia, cresce e si irradia.

Cerchiamo sempre dei segni…ecco allora un bambino avvolto in fasce!

Che bisogno c'era di parlare di fasce, forse non solo perché questa era l'usanza, ma probabilmente quel bambino ancor prima di cominciare a vivere portava in sé i segni delle ferite, bisognose di essere fasciate, e posto in una mangiatoia sembrava essere in pasto alle belve del cinismo. Quella mangiatoia e quelle fasce che sembravano voler condurre solo alla morte di fatto ritorneranno quando alcune donne andarono al sepolcro il giorno di pasqua, e trovarono la tomba vuota con le bende…

E così da una mangiatoia piena si arriva ad una tomba vuota..

grande avventura della vita per chi sa percorrerla!

 

NATALE DEI DIRITTI 

Natale dei Diritti è di più che i diritti del Natale

È il diritto di nascere e rinascere ogni giorno, 

il diritto di dare alla luce pensieri nuovi,

di mettere al mondo sé stessi, ogni volta che ci si è perduti. 

Natale dei Diritti, è apparecchiare la tavola del mondo

Senza escludere nessuno, 

E’ diventare per l’altro un porto sicuro.

E’ trasgredire la legge quando la legge trasgredisce i Diritti.

Natale dei Diritti è che Dio può farsi umano

che ha il diritto di piangere, di innamorarsi, 

e di morire in modo umano.

Natale dei Diritti: è il diritto di credere ma anche di non credere.

Credere nelle persone è credere in Dio:

ma se non credi alle persone, in quale dio credi?

Natale dei Diritti

 è partorire il futuro spingendo fino in fondo la speranza, 

è sentire l’allegria nella pelle quando 

la terra ritorna a cantare e a fare festa

Non preoccuparti dei diritti del Natale 

Vivi il Natale dei Diritti.

 

( Natale 2018, a settant’anni dalla proclamazione dei Diritti Umani)

Vuoto e silenzio  -  10.04.2018

La resurrezione: Mc. 16,1-8

- Marco, il più antico dei vangeli, è molto scarno nel parlare della resurrezione.

Dice semplicemente che Gesù non è nel luogo dove le donne lo cercavano, il sepolcro è vuoto, e, che le donne, prese da tremore e stupore non dissero niente a nessuno perché avevano paura.

Il vuoto e il silenzio sono le due caratteristiche di questo avvenimento.

Un vuoto e un silenzio che oggi come allora incutono timore e paura. Solo che oggi abbiamo cercato di vincere questa paura riempendo quel vuoto di cose: riti, simboli, regole…e quel silenzio di troppe parole.

Così facendo abbiamo pensato di  condurre gli uomini alla fede, ma l'uomo moderno si è sbarazzato di tutte le forme e le parole che tentavano di spiegare la resurrezione.

Per l'uomo e la donna della modernità, è inconcepibile che Gesù sia risorto: che un morto possa tornare a vivere e alzarsi dalla tomba è semplicemente impensabile.

Un corpo non torna in vita, né l'anima potrebbe assumere occasionalmente la forma di un corpo, apparendo e scomparendo arbitrariamente. La vita non è mai un ritorno…

Gli strumenti che la cultura ebraica e poi quella greca avevano prestato alla religione per spiegare la resurrezione portano ad un vicolo cieco. E oggi nessuno più prende sul serio il vangelo della resurrezione.

Credo allora che dobbiamo svuotare quel sepolcro da tutte le cose che ci abbiamo messo dentro, e non rompere quel silenzio con le nostre parole.

Dobbiamo ritrovare il vuoto e i silenzio di quelle donne.

"Custodite la parola "risurrezione"! Non scambiatela con nessun'altra! Non con "sopravvivenza", non con "immortalità", non con "trasformazione", non con "progresso", non con "riforma", neppure con "rivoluzione". Custodite la parola "risurrezione" anche se supera, come supera, ogni vostra capacità di immaginazione e persino le vostre più ardite speranze. Custodite la parola "risurrezione" e il segreto che essa racchiude. Perché la risurrezione è un segreto. Il mondo non ne sa nulla. Solo i discepoli ne erano al corrente. Ma attraverso i secoli abbiamo talmente sbandierato questo fatto, che non sappiamo più che è un segreto, il segreto del mondo e dell'intera vicenda umana." (Paolo Ricca)

Non mi piace che quando muore qualcuno, ci si preoccupi di "colmare - riempire" il vuoto lasciato dalla morte, magari con l'aiuto di Dio.

Nessuno può, né deve colmare il vuoto lasciato da una persona: quello spazio non può essere occupato da altri. "…finchè il vuoto resta aperto, si rimane legati l'un l'altro per suo mezzo!" (Dietrich Bonhoeffer)

Penso anche che gli evangelisti non volessero dimostrare che Gesù era risorto, nel senso di tornato in vita, ma che la loro preoccupazione fosse un'altra.

- La domanda  a cui cercano di rispondere è, se la sua vita sia stata una vita che meritava di essere vissuta.

Mi ha colpito molto l'espressione del centurione quando vedendo come era spirato dice "veramente quest'uomo era figlio di Dio".

Non si tratta di una espressione di fede, miracolo di una conversione, ma di una serie di situazioni che lo portano a ritrovare la propria coscienza.

Dice il vangelo che lui stava di fronte a Gesù. Durante tutto il processo nessuno ha mai avuto il coraggio di stargli di fronte, nessuno che lo guardasse negli occhi, come si dice delle guardie nei campi di concentramento: non volevano che i prigionieri alzassero lo sguardo, non potevano incrociare quegli occhi.  Chi lo guardava da lontano, chi dall'alto verso il basso, il centurione invece gli sta di fronte. E' un confronto il suo, è un faccia a faccia, è uno specchiarsi in quell'uomo, è un leggere la propria vita alla luce della sua.

Il racconto della passione era cominciato con queste parole: "I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano come impadronirsi di lui con inganno e farlo morire".

Tutta la vita di un uomo sta in questo sforzo: non farsi catturare da nessuno.

Dal momento in cui uno nasce tante mani cercano di impadronirsi di lui.

E cosa vede il centurione guardando Gesù: che tutte le mani che se lo erano passato per cercare di catturalo sono rimaste vuote. Nessuno è stato capace di possederlo. Al massimo a qualcuno è rimasto in mano un lenzuolo… e quel sepolcro vuoto è segno che neppure la morte è stata capace di trattenerlo. Ancora oggi il rischio da parte delle varie espressioni religiose è quello di volersi impadronire di Gesù!

Il centurione si rende conto di essersi venduto al potere di turno, che lo aveva ingannato, perché invece di difendere il diritto e la giustizia, come sarebbe stato suo dovere, aveva mandato a morte un innocente, pur riconoscendolo tale. Guardando in faccia quell'uomo, ha riconosciuto l'inganno di cui è stato fatto oggetto, vedendo in Gesù  tutta quella libertà che lui non aveva mai sperimentato.

Quella è vita, non la mia…sembra dire il centurione!

Tornando alle donne spaventate e mute, ma più eloquenti di ogni nostra parola:

la loro non è una presenza occasionale, superficiale o casuale: "lo avevano seguito e servito da quando era in Galilea…"

E arrivate al sepolcro, tra la luce e il buio non sanno come togliere la pietra dal sepolcro: sono ancora legate ai loro mezzi, hanno comprato aromi, ma il denaro, simbolo dei nostri sforzi non produce risultati. Se poi quella pietra è fatta dei nostri ragionamenti  allora è ancora più dura da spostare. Ma sanno alzare lo sguardo e questo permette loro di vedere oltre la pietra e trovare uno spiraglio per avere la possibilità e il coraggio di entrare dentro il sepolcro. E qui videro un giovane… è bello quando in chiesa ci sono molti bambini e questi si siedono ai piedi dell'altare, quasi ad invitare gli adulti a guardare attraverso i loro occhi. Diceva il profeta Gioele: …gli anziani faranno sogni, i giovani avranno visioni…"

Quelle donne hanno visto le visioni dei giovani…Visioni e sogni che le hanno spaventate, forse perché visioni troppo ardite.

Non è scontato questo cammino. Ma è più eloquente di ogni altra parola. Non ha alcun senso parlare di Gesù, senza aver fatto tutto questo percorso.

Sarà lo stesso che Gesù propone a coloro che vorranno incontrarlo.

In definitiva chiede a tutti di leggere, la sua vita, di coglierne lo spirito, per valutare se ne valeva la pena viverla, ma soprattutto se ne vale la pena che noi viviamo una vita come la sua.

Allora quel vuoto si riempie non più con i nostri riti, ma dei gesti di Gesù, e il silenzio non ha bisogno di sostegni culturali, ma è vivo perché quel respiro che il centurione ha raccolto di fronte alla croce è un respiro che noi possiamo accogliere nella vita di tante donne e uomini che ancora oggi amano una vita libera e lottano perché nessuno possa impadronirsi della loro coscienza.

I Pasquaroli di Sorrivoli - 06.01.2018

Resuscitare dai morti... perdonare i nemici - Pasqua 2016

Mentre su episodi come la parabola del samaritano, del figiol prodigo i vangeli sono  ricchi di particolari, quando si tratta di descrivere la resurrezione di Gesù sembrano senza parole o immagini. Mai forse un racconto è più scarno: pochi particolari, nessuna ostentazione di straordinarietà. Protagoniste sono delle donne, che, come discepole, non abbandonano facilmente il corpo morto del loro rabbi e profeta: sono loro a trovare la tomba aperta. La pietra che la chiudeva è stata rotolata via dall'entrata e il corpo di Gesù non c'è più: la tomba è vuota! Le donne - dice Luca - sono perplesse, incerte, sorprese e frustrate, addirittura piene di paura: il corpo di colui che hanno amato e seguito, che sono venute a ungere, a toccare e a baciare ancora una volta, non c'è più. Non può sembrare che un vaneggiamento il loro parlare. Noi umani possiamo solo fare ipotesi umane: l'hanno portato via; non era veramente morto ed è fuggito; c'è un inganno da parte dei discepoli; quelli che l'hanno ucciso non vogliono che ci sia una sua tomba…

Una donna dal Nicaragua commenta:"Se non avessero avuto fede in lui forse lo avrebbero trovato. Siccome ebbero fede in lui non lo trovarono! E se la tomba fosse stata piena la vita sarebbe vuota…ma quella tomba vuota può far sì che la vita sia piena".

E' il senso di quel "trovarono" e "non trovarono"…trovarono una tomba aperta, non trovarono il corpo morto...

Solo una rivelazione da parte di Dio, solo una sua parola può dare senso e significato a quella tomba vuota.

Allora apparvero due uomini, come era accaduto nella trasfigurazione: due uomini che hanno una parola da dire: " perché cercate la vita tra le cose morte e, soprattutto, ricordate ciò che aveva detto loro quando era in Galilea".

Anche noi abbiamo bisogno di tornare in Galilea. Lì Gesù aveva iniziato la sua missione, la sua predicazione. E il suo primo discorso fu quello che noi ricordiamo come discorso della montagna cominciato con le beatitudini e proseguito con "amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano…pregate per coloro che vi fanno del male, se qualcuno ti percuote sulla guancia, porgigli anche l'altra..e (ripete) amate i vostri nemici…!".

Parole che non sono meno scandalose, di quelle delle donne sulla tomba vuota. Il cammino di umanizzazione può arrivare a pensare all'amore per lo straniero, ma come si fa ad amare il nemico…E' stato il dramma della shoah. E' stato il dramma di Bonheffer! e il dramma di tanti e tante che subiscono una violenza ingiustificabile. Umanamente non si può!

Un grande rabbino del secolo scorso, grande conoscitore della vita di Gesù, diceva: Gesù è stato un perfetto ebreo, potremmo dire che è stato un profeta che ci appartiene, è stato ucciso come un profeta e poi i suoi discepoli dissero che è risorto e anche questo ci può stare: se Elia è stato portato in cielo su un carro di fuoco è possibile anche per Gesù. Ma se c'è una rottura tra Gesù e la legge è l'amore per i nemici. Questa è la grande utopia di Gesù. E questa obiezione va presa sul serio. Noi cristiani lo diamo troppo per scontato. L'amore per il nemico è impossibile umanamente parlando. Perdonare è già molto difficile. Lo stesso Gesù, in croce, quando si trova di fronte ai suoi nemici ebbe il pudore di non dire "vi perdono", ma pregò il Padre perché fosse lui a perdonare. Ha affidato a Dio il perdono. Forse più che perdonare noi possiamo solo pregare per i nostri nemici. Perché perdonare è amare, perché perdonare è annunciare la resurrezione.

Si spiega allora la perplessità, la paura delle donne!

Canta giustamente Turoldo:

 "Io voglio sapere

 se Cristo è mai stato creduto,Io voglio sapere

 se veramente qualcuno crede

 e come è possibile credere!

 Io voglio sapere

 se il vostro vivere è appena una difesa

 contro la vita degli altri:

 se qualcuno, almeno qualcuno

 crede che tutti gli uomini

 sono una sola umanità.

 Io voglio sapere

 se esiste una forza liberatrice:

 se almeno la chiesa non sia

 la tomba di Dio,

 l'ultima sconfitta dell'uomo.

 Io voglio sapere

 se Cristo è veramente risorto

 se la chiesa ha mai creduto

 che sia veramente risorto.

 Perché allora non si libera dalla ragione

 non rinuncia alle ricchezze

 per questa sola ricchezza di gioia?

 Perché non abbraccia ogni uomo sulla strada

 chiunque gli sia,

 per dirgli solo: è risorto!

 E piangere insieme,

 piangere di gioia?

 Perché non fa solo questodire che tutto il resto è vano?"

E' questo ciò che Gesù voleva dire ai suoi discepoli: "andate e annunciate il perdono".

"Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All'umanità che ne scaturisce. A costruire un'identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell'apparire, del diventare…. A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. È un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco. Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù".

Queste parole di Pierpaolo Pasolini mi sembrano quanto mai opportune in questo contesto e forse non sono tanto dissimili dalle parole delle donne…un vaneggiamento!

Come hanno compreso e sperimentato i discepoli questo messaggio. Negli atti degli apostoli si dice spesso che la gente portava i malati nelle piazze perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra potesse coprirli.

Mi lascio suggestionare da questa immagine. Ricorda quando gli ebrei peregrinavano nel deserto: si dice che una colonna di fuoco li guidava di notte, mentre una nuvola faceva loro ombra di giorno. Erri de Luca usa questa immagine per il titolo di un suo vecchio libro:"una nuvola come tappeto". E' bello pensare che in un deserto assolato Dio usi tanta delicatezza da accompagnare il suo popolo con una nuvola che con la sua ombra faceva da tappeto e alleggeriva il peso  e la fatica del cammino.

Ho pensato che l'ombra di Pietro fosse simile. E che i malati cercassero un po' di refrigerio, di conforto, di attenzione. Forse è stato questo il modo con cui i discepoli hanno messo in pratica il perdono, la preghiera per i nemici…

In ricordo di Camillo Torres   -  26.03.2016

- Di morti ammazzati, di stragi volute, di morti accidentali, di morti dovute alla disperazione…è piena la cronaca di tutti i giorni.

- Un giorno si presentarono alcuni a Gesù per riferire di tali Galilei, terroristi per antonomasia, che Pilato aveva  fatto uccidere proprio nel tempio. Gesù nel rispondere ricorda il fatto di una torre che crollando aveva sepolto 18 persone.

E chiede: forse che erano più colpevoli o peccatori di altri? Ma - aggiunge - se non vi convertite morirete tutti allo stesso modo!

Siamo portati istintivamente a collegare la morte  alla parola disgrazia, dalla disgrazia poi si passa al castigo, dal castigo alla colpa, infine al male. La morte è il male: a tutto si rimedia tranne che alla morte. E la paura della morte è il condizionamento della vita di ogni vivente.

Nei miti dell'origine dell'umanità riportati dalla bibbia il serpente dice alla donna: " se mangerete, non morirete affatto…!".

Come se Dio fosse il limite, l'ostacolo più grande alla vita e con lui tutto ciò che ci è posto accanto.

Adamo dirà: "la colpa è della donna che tu mi hai posto accanto…"

E anche la natura va dominata se non si vuole che ci si rivolti contro.

Allora la mia vita dipende dal dominio o addirittura dalla morte dell'altro…compreso Dio.

 

Ogni relazione può essere pericolosa: se non è possibile dominarla va evitata o tenuta a debita distanza. E la morte che poteva essere il compimento della vita, diventa il nemico principale, da tenere il più lontano possibile.

E Gesù risponde con una provocazione: non si tratta di cercare delle colpe, si tratta di convertirsi, cioè di dare un senso alla vita.

Il male non è la morte, il male sta in una vita vissuta male, senza senso.

Tutta la Bibbia nasce da una storia: quella di Mosè, che tenta di convincere il suo popolo a lasciare l'Egitto, dove viveva in condizione di schiavitù, per conquistare la libertà.

La difficoltà non fu tanto di convincere il faraone, come sembrerebbe, ma convincere gli ebrei a fuggire dall'Egitto, perché sapevano che sarebbero andati incontro alla morte. Era meglio vivere senza libertà, senza dignità piuttosto che morire.

Vale la pena di morire per la libertà?

Di fatto tutti quelli che lasciarono l'Egitto morirono nel deserto!

Morirono per un sogno, con una speranza…forse la morte potrebbe aver fatto meno paura!

"Solo chi ha una buona ragione per morire, ha una buona ragione per vivere".

Il male non è morire; il male è non vivere una vita degna di questo nome.

Mi piace fare memoria oggi di un prete di cui ricorre il 50° anniversario del suo assassinio: si chiamava Camilo Torres, colombiano. Gli studi di sociologia a Lovanio in Belgio lo portarono a tentare di conciliare il vangelo con la realtà socio-economica del suo paese.

"se la beneficenza, l'elemosina, le poche scuole gratuite, i pochi piani edilizi, ciò che viene chiamata la carità', non riesce a sfamare la stragrande maggioranza degli affamati, né a vestire la maggioranza degli ignudi, né ad insegnare alla maggioranza di coloro che non sanno, bisogna cercare mezzi efficaci per dare tale benessere alle maggioranze" (C. Torres: messaggio ai cristiani)

"Sono un rivoluzionario, come colombiano, come sociologo, come cristiano e come sacerdote. Come colombiano, perché non posso estraniarmi dalle lotte del mio popolo. Come sociologo, perché grazie alla mia conoscenza scientifica della realtà, sono giunto alla convinzione che le soluzioni tecniche ed efficaci non sono raggiungibili senza una rivoluzione. Come cristiano, perché l'es-senza del cristianesimo è l'amore per il prossimo e solo attraverso una rivoluzione si può ottenere il bene della maggioranza. Come sacerdote, perché dedicarsi al prossimo, come la rivoluzione esige, è un requisito dell'amore fraterno indispensabile per celebrare l'eucarestia". Ritenendo che i cristiani erano tenuti a partecipare alla lotta armata, fondò il "fronte popolare unito". Sospeso da ogni incarico universitario e dal ministero sacerdotale, morì, in combattimento, in una imboscata il 15 febbraio 1966 all'età di 37 anni..Egli stesso insisteva sul fatto che la rivoluzione più profonda avverrà solo tramite l'educazione.La parte più sana dell'umanità è convinta che non esiste guerra giusta. Tutti coloro che si rifanno all'eredità di Camilo Torres si consacrano ad una rivoluzione non-violenta, ma onorano la memoria di questo martire che, nella forma in cui ha potuto, ha dato la sua vita per un mondo di giustizia e di pace. Un anno dopo la sua morte Paolo VI nell'enciclica "populorum progressio" scriveva: "Sappiamo che…l'insurrezione rivoluzionaria - salvo nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenta gravemente i diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune di un paese - introduce nuovi squilibri…" Quel "salvo nel caso di…" nella sua sensibilità, lascia spazio alla libertà di coscienza di persone che hanno fatto scelte di natura violenta: forse teneva conto del dramma di persone come Camilo Torres.

Il problema non è la morte, ma di quale morte morire. Gesù dicendo: "se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo", voleva dire che se viviamo senza dare un senso alla nostra vita, se non viviamo per un sogno, per una speranza per un progetto, la nostra morte sarà sempre un atto di violenza che subiremo, mentre potrebbe essere un segno di ciò che amiamo di più.

"non c'è amore più grande di dare la vita per…"

Natale: infondata speranza  -  25.12.2015

Buon natale, nell'infondata speranza che il mondo sia migliore…

- Sono gli auguri che un amico mi ha inviato. Si dice che un giorno ad un rabbino fu portata la notizia della nascita del messia e questi affacciandosi alla finestra che dava sul mondo rientrò dicendo:

"non può essere!"

I profeti che avevano alimentato l'attesa del messia lungo tutta la storia d'Israele l'avevano legata alla realizzazione della pace: una pace stabile, duratura e universale, anzi cosmica. Il simbolo era che il lupo e l'agnello avrebbero pascolato insieme, mentre le lance e le spade sarebbero state trasformate in aratri e falci.

Ma Gesù è nato e di tutto questo non si è visto nulla. Ad oggi, ogni 8 bambini che nascono uno nasce in zona di guerra.

Infondata speranza o conversione della speranza?

Anche al Battista che chiedeva se lui fosse il messia o bisognava aspettarne un altro, Gesù fece rispondere che bisognava convertire la speranza.

Il messia, non è una prerogativa del popolo d'Israele, ma di tutto l'universo.

Non è solo figlio di Abramo, ma di Adamo.

Il messia è il sogno di Dio nei confronti dell'umanità, è la nostalgia di Adamo, è l'idea di paradiso insito nel cuore di ogni uomo.

E Gesù? La sua nascita è frutto di una congiunzione di fattori sociali, religiosi e astrologici. In lui è apparso forse l'incarnazione più bella di quel che potrebbe essere il messia, un salvatore, come dicono gli  angeli: il figlio d'uomo più vero che sia mai apparso sulla terra al punto che anche Dio si è compiaciuto di lui!

Si racconta che nell'antichità quando uno partiva per un lungo viaggio gli si consegnava un frammento di un vaso di terracotta  frantumato. Al ritorno sarebbe stato riconosciuto dal frammento ricomposto con tutti gli altri.

Nessun frammento da solo potrà mai essere utile, ma solo nel suo ricomporsi.

Quest'anno, per una strana coincidenza astrologica, per natale abbiamo avuto la luna piena. Questo ha fatto coincidere la nascita di Maometto con la nascita di Gesù.

Potrebbe essere un segno profetico.

"Se decidiamo di andarci incontro l'un l'altro, con le mani colme delle diverse eredità, per stringere fra noi un patto che bandisca ogni arma e stabilisca modi di comunione basati sul semplice fatto di essere tutti, creature, allora capiremo il senso del frammento che ora ci chiude nei suoi confini". (E. Balducci)

Ogni religione è solo un frammento di quella verità messianica, di quel sogno di umanità che da sempre accompagna la storia degli uomini.

Altri nel cammino dell'umanità hanno illuminato  e alimentato il sogno: san Francesco, Gandhi…

Il natale non vuole esaurire il sogno, ma ridare speranza ai "sognatori" come lo furono i pastori, come lo fu Giuseppe, come potrebbero essere un uomo e una donna quando si trovano fra le braccia un bambino, un figlio d'uomo e sognano di farlo diventare un uomo di cui anche Dio possa compiacersi.

Il messia è il sogno di questa terra, di questa umanità: un sogno che sembra infrangersi contro la realtà.

Forse per questo di Gesù si dice essere nato da una vergine. Più che un fatto biologico indica un fatto impossibile. Un messia, un uomo "inedito" come lo chiamava Balducci, non può nascere da carne o sangue, soltanto, ma da Dio può essere generato.

Non può essere partorito dalla nostra volontà, dai nostri mezzi, calcoli o espedienti, ma ha bisogno di un intervento dall'alto.

Lo diceva Gesù a Nicodemo: bisogna nascere di nuovo, dall'alto, dallo Spirito.

L'uomo non è solo carne e sangue, ma anche spirito,

Non c'è solo la legge di gravità a condizionare l'uomo, ma, dice Erri de Luca, citando una poetessa russa, Marina Cvetaeva, c'è anche una forza di attrazione celeste.

Le correnti ascensionali di una parete al sole, le maree, il fuoco e poi l'albero che sale fino ad occupare spazio in mezzo all'aria…Così deve essere per l'uomo.

Così come è impossibile che un bambino e tanto meno un crocifisso possano salvare il mondo…neppure i poveri possono essere la salvezza del mondo.

E' stata necessaria una azione di Dio perché quel bambino nascesse e quel crocifisso vivesse.

"potrà davvero la non-violenza cambiare il mondo?…sono troppo stanco stasera per rispondere. Per ora mi lascio cullare da una incontenibile speranza: le cose cambieranno se i poveri lo vorranno." (Tonino Bello dicembre 1992)

Il povero è la parte vergine dell'umanità, la parte crocifissa: con l'aiuto di Dio può generare vita e far risorgere questa umanità…

E poi ci vuole i tempo. Gesù è nato quando si compirono i giorni, nella pienezza dei tempi. Con le nostre soluzioni affrettate si generano solo parti prematuri e aborti.

Quando i pastori parlarono di tutto questo a Maria, si dice che lei non comprendeva. Vedeva quel bambino fra le mani che rischiava di non sopravvivere. Pensava a quanti bambini non sopravvivono! a quante mamme sono alle prese con figli ammalati!

Allora il filo si rompe e non si ritrova più il capo per ricominciare a tessere un discorso…

Maria pur non capendo ha continuato a custodire nel suo cuore tutte quelle cose… per tutta la vita!

E una mamma che ha perso tragicamente un bimbo di due anni nei suoi auguri diceva: "Camminiamo nel buio, con solo una stella ardente nel cuore, cercando passi verso l'orizzonte, mentre la speranza scalza davanti a loro…"

La fragilità della resurrezione  - 21.05.2014

Il racconto della creazione del mondo è scandito da questo ritornello: "…e fu sera e fu mattina". E tutto è racchiuso nell'arco di una settimana. Ogni giornata iniziava col "buon giorno" di Dio al creato, quasi un invito a riprendere il lavoro con lui. Poi, dopo aver fatto l'uomo la donna si riposò…!

Fino a quel mattino di pasqua, quando, passato il sabato, il primo giorno della settimana le donne andarono alla tomba a dare il buon giorno a Dio…

- Ma ad accoglierle ci furono un un gran terremoto e un angelo che disse loro: "non è qui! La tomba è vuota!".

Il terremoto fa crollare tutte le sicurezze: non si sa più dove mettere i piedi, non c'è più niente a cui aggrapparsi. Non ci sono solo terremoti geologici,  ci sono anche terremoti causati dagli scontri tra anime e culture; da vicende personali, quali il divorzio, l'immigrazione, l'esilio, lo stupro, le guerre, i genocidi…ci sono terremoti che distruggono le nostre certezze politiche economiche e religiose, i nostri ideali, sogni, progetti!

Con quel terremoto è crollata anche l'ultima certezza, la più grande: che la morte è il destino finale di tutti!

E subentra il panico, la paura, ma le reazioni  sono diverse.

C'erano delle guardie a difesa di quella tomba, di quel vuoto: pagate per difendere l'istituzione, per custodire il potere.  Vanno dai "capi": questi si consultano e decidono di pagarle per divulgare una menzogna, destinata solo a mascherare "il vuoto". La corruzione e la propaganda sono le difese adottate dal potere. Seppellire le speranze, soffocare la fame e sete di giustizia, le spinte verso la libertà è condizione per il potere per rigenerarsi.

Ma chi cerca, sa distinguere la propaganda dalla verità. Fu così per le donne. L'angelo riconosce la sincerità della loro ricerca: "voi cercate! non abbiate paura, allora!"

E le donne abbandonano in fretta, senza esitazione ciò che è vuoto. Abbandonare i luoghi in cui "non c'è niente" potrebbe essere un inizio.

- "Non bastano più certezze di dottrine che hanno preteso di spiegarci tutto per farci stare tranquilli, ma che ci hanno impedito di accarezzare il Mistero e di prendercene cura". (A. Potente)

E si mettono in cammino. Si fidano degli "angeli". E non vanno verso coloro che avevano sepolto i loro desideri. Vanno verso i "fratelli", verso quell'umanità vera, reale, con tutti i suoi difficili equilibri.

"Ed ecco…" La resurrezione, non è una certezza: è una rottura, un'onda d'urto che ti viene incontro improvvisamente. "… venne loro incontro Gesù". E le donne fanno la

cosa più naturale, più umana: gli si avvicinano, gli abbracciano i piedi, lo baciano…Aveva detto di fare questo il loro amico quando aveva lavato loro i piedi. Perché i piedi sono una delle parti più sensibili del nostro corpo: creano un legame tra superficie e interiorità, rivelano i segreti del nostro stare nella realtà. E chi si lascia lavare i piedi è tutto puro, e chi è puro vede Dio. Per questo bisogna avere lo sguardo che parte dai piedi. "I piedi reggono l'intero peso… e sanno saltare e non è colpa loro se in alto non ci sono ali!" (Erri de Luca)

- Chissà cosa hanno detto quelle donne a Gesù, abbracciate ai suoi piedi…forse hanno ripreso quel discorso che Dio aveva cominciato con Eva quando Adamo ancora dormiva...

Le parole di Etty Hillesum potrebbero essere le parole di quelle donne all'alba di quel giorno: "…Io so che tu mio Dio non puoi fare molto per noi, ma noi possiamo fare qualcosa per te. E io cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me Salvare la tua immagine dentro di noi, un piccolo pezzo di te in noi stessi è l'unico modo per aiutare noi stessi. E forse possiamo contribuire a disseppellirti nei cuori devastati di tanti uomini. Il gelsomino dietro casa è completamente sciupato dalla pioggia di questi giorni, ma da qualche parte dentro di me continua a fiorire indisturbato, esuberante e tenero come sempre e spande il suo profumo tutto intorno alla tua casa, mio Dio. Non ti porto soltanto le mie lacrime,e le mie paure…ti porterò tutti i fiori che incontro sul mio cammino e sono veramente tanti. Voglio che tu stia bene con me…".

Restano due indicazioni: quando andare e dove andare?

Quando: il primo giorno della settimana!  Tutti noi sappiamo cosa significa iniziare una settimana: per alcuni potrebbe essere l'inizio della cassa integrazione, per altri una settimana in più di malattia, o di lavoro, una settimana in cui dover far fronte ad impegni che non si è in grado di assolvere.

Dove: in Galilea. La terra in cui si svolgeva la vita comune. Una terra ricca solo di contraddizione e pregiudizi.

Dove dirigere i nostri passi allora? Nella quotidianità dei luoghi, delle situazioni, nella banalità dei rapporti. E lì che qualcuno ci viene incontro e noi siamo chiamati ad avvicinarci a lui coi piedi scalzi, per non calpestarlo, umiliarlo.

Dirà Pietro nella sua prima predica: "a noi è stato consegnata questa umanità, questo terra…e noi l'abbiamo uccisa"

A noi oggi viene consegnata questa terra e questa umanità nel pane che mangiamo quando facciamo la comunione.

Quando si parla di resurrezione della carne credo che si debba pensare che noi siamo chiamati a dare vita a questa terra e alle nostre relazioni.

- Tutto questo è contrassegnato da una cosa: la fragilità. La resurrezione non è una prova di forza di Dio, ma la prova più forte della sua fragilità.

Il peccato del mondo - 13.02.2014

Cosa c'era in principio? Domanda che filosofi, teologi e scienziati si pongono da sempre. Si potrebbe quasi dire che in principio c'era il peccato con relativo senso di colpa e conseguente paura della punizione.

Pare che tutte le religioni siano nate per riparare quel peccato, togliere quel senso di colpa, pagare il prezzo di una colpa che sta all'origine di tutto e di cui l'umanità nel suo insieme sembra doversi assumere la responsabilità.

Non è esente da questa logica la religione cristiana.

Quando Giovanni , il Battista, si vide venire incontro Gesù, lo presentò con queste parole alla folla e ai suoi discepoli: "ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!".

Ai bambini viene proposto, come primo sacramento, dopo il battesimo, la confessione. (Personalmente credo sia una assurdità, comunque la si voglia presentare...)

Parlando, con alcuni ragazzini è sorto il problema del peccato. Cosa si intende per peccato, da che cosa Dio può sentirsi offeso, da che cosa Lui desidera liberarci, toglierci il peso, per quale "peccato" desidera offrirci il "perdono".

Dopo alcune risposte scontate, l'attenzione si è fermata su una espressione del vangelo molto nota a tutti. Dice Gesù: "se qualcuno ti percuote sulla guancia , tu porgi anche l'altra".

Sarebbe stato più logico che Gesù avesse detto detto: se uno percuote un altro, deve chiedere scusa alla persona percossa e perdono a Dio! Così i conti potrebbero tornare. Perché anziché rimproverare il violento si rivolge all'offeso, a chi ha subito?

E' a lui che Gesù si rivolge, a lui, che forse è da una vita che subisce, che non osa alzare lo sguardo, né reagire per paura di essere oggetto di altre violenze; è a lui che chiede di guardare in faccia il suo avversario in nome della sua dignità.

Questi potrebbe rispondere: non ce la farò mai! l'altro è più forte, più ricco, più potente...io sono solo e indifeso. Io credo che Gesù chieda proprio a colui che ha ricevuto lo schiaffo di chiedere perdono. E' il suo peccato che Gesù è venuto a togliere.

Il perdono di Dio è la forza di reagire all'ingiustizia, al sopruso, ad ogni forma di violenza che toglie dignità ad una persona.

E' questo che ha fatto col figliol prodigo, è questo che ha fatto con l'adultera sbattuta ai suoi piedi...ha fatto loro risollevare lo sguardo.

Dice un profeta: "la gioia di Dio è la nostra forza!"... Dio gioisce quando vede i suoi figli, forti: capaci di affrontare le difficoltà...

Quando gli Ebrei erano schiavi in Egitto, Mosè tentò di liberarli istigandoli a insorgere contro gli egiziani. Come lui aveva ucciso un egiziano che maltrattava un israelita, così anche loro avrebbero dovuto e potuto ribellarsi e ottenere con la forza la loro libertà. Fu un fallimento quel tentativo, ma quando Mosè disse : è Dio che vuole la vostra libertà, il faraone ebbe paura e gli ebrei trovarono la forza di uscire dalla schiavitù.

In questi giorni si celebra la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Sarebbe auspicabile che non si cercassero motivi d'incontro su principi, dogmi, o tradizione, ma nell'intento di offrire dignità a tutti i poveri, gli oppressi.

Le prime parole di Gesù, il suo programma espresso a Nazareth, furono: son venuto per portare un messaggio di gioia ai poveri.

E questo messaggio di gioia si chiama perdono. E il peccato del mondo che Gesù è venuto a togliere è la rassegnazione dei poveri.

Finché pensiamo che le cose cambino se cambiano i violenti, i potenti, i forti, i ricchi: i poveri faranno sempre il loro gioco. Questo Gesù aveva capito e voleva trasmettere.

Il senso di colpa è l'arma più subdola che i violenti usano.

Nel processo che subì, Gesù ricevette uno schiaffo, subì molta violenza, ma la sua reazione è stata quella di rivendicare sempre la sua dignità e identità. E quando la violenza lo travolse portandolo alla morte, nei confronti dei suoi assassini usò il termine " ignoranti". Non sanno quello che fanno... e di fronte a chi non sa , a chi è ignorante, non capisce, è necessario un lungo percorso di coscientizzazione, che non può partire da loro, ma deve fare appello a chi può capire.

Siamo nei giorni in cui si fa memoria della shoah...anche qui penso a quelle persone che che con la loro forza hanno affrontato forse l'ingiustizia più grande che mai sia stata inflitta da esseri umani ad altri esseri umani...Questa forza si chiama perdono. Il peccato che è stato tolto o che Dio ha portato insieme a loro, sulle spalle, si chiama paura.

Luce e gioia - Natale 2013

Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce - vi annuncio ungrande gioia…Sono le parole che risuonano nella notte di Natale. Ma di cosa parlava ilprofeta Isaia rivolgendosi al suo popolo, e gli angeli rivolgendosi ai pastori?Certo che deve essere stato un grande avvenimento, il decreto da Cesare Augusto:che si facesse il censimento di tutta la terra. "Tutti andavano a farsi registrare": ful'inizio della globalizzazione! Con tutto quel movimento, chissà che ripresa avrebbeavuto l'economia e a tutti sembrava di vedere una grande luce nel proprio futuro e unaprospettiva di grande gioia.Ma Isaia e gli angeli non si riferivano a questo avvenimento di cui tutti parlavano,tranne forse dei pastori che non potevano abbandonare il gregge per tentarel'avventura.- In un angolo sperduto dell'impero nasce un bambino, come forse in tanti altri angolidella terra. Pare che i profeti l'avessero annunciato da secoli come una grande luce ,mentre gli angeli che si rivolgono ai pastori lo annunciano come portatore di unagrande gioia.Da una parte il censimento, dall'altra una nascita: due fatti che sembrano confondersi .Qualcuno è tentato di pensare che una giustifichi l'altra…Se c'è benessere e salute è più facile parlare di gioia e di luce: di un futuro roseo perun bambino che viene al mondo.In realtà questi due avvenimenti sono uno il contrario dell'altro.La storia ha poi mostrato che quel censimento, rispetto a quella nascita non era che undettaglio. La memoria del censimento è svanita, la vicenda di quel bambino è crescitasempre più.Ma di quale gioia, capace di coinvolgere gli uomini di ogni "oggi", gli angeli parlano?Che luce hanno visto i pastori, in quella notte quando gli angeli apparvero loro?Forse col tempo sarebbe emersa completamente, ma la realtà fu che anche quandomorì la notte dominava. Era mezzogiorno, ma "si fece buio su tutta la terra". E di gioiase ne sprigionava poca intorno a quella croce.E' stato tutto un inganno? una delle tante promesse che servono solo ad illuderci perun po'…perché di questo sembrano avere bisogno gli uomini.Eppure i pastori "lodavano e glorificavano" per tutto quello che avevano "visto e udito".Cosa c'era da vedere o da ascoltare…!Una parola! "Il verbo si è fatto carne"! Una parola è risuonata sulla terra… dopo lacreazione del mondo, quando Dio cominciò a parlare, forse è stata la prima parola cheè risuonata, la prima capace di dare vita a qualcosa di nuovo, di creare una cosanuova…una parola vergine capace di un parto verginale. E' questo che forse volevadire Giovanni all'inizio del suo vangelo. Si dice che Dio creò l'uomo a sua immagine esomiglianza: ma la cosa che rende l'uomo simile a Dio può essere solo la parola. Soloquando l'uomo, come Dio, parla, allora gli assomiglia. Una parola finalmente ha presoun volto umano, un uomo finalmente assomiglia a Dio.Ma l'umanità non è mai stata capace di parlare, ha sempre confuso il significato delleparole, queste sono diventate ambigue, fonte di malintesi, vuote, inutili, fonte diinformazione, ma non capaci di fare l'unica cose per cui dovrebbero essere usate:creare un dialogo, quello spazio che permette di vivere in pace e generare una gioiache illumina i volti.Adamo all'invito al dialogo da parte di Dio, si nasconde e Caino uccide Abele senzatentare mai un dialogo con lui. Non esiste un momento in cui i due fratelli parlano,come nella parabola del figliol prodigo, mai i due fratelli si scambiano una parola."Sono forse io il custode di mio fratello?" dice Caino. Di fatto non poteva esserne ilcustode perché non era custode della parola, non aveva parole da rivolgergli. Unavolta svuotata di senso la parola diventa vana, morta, non comunica, non può esserestrumento di dialogo. A natale la parola si è fatta carne, si è espressa con la vita,perché solo la parola detta con la vita è vera, è viva!I pastori hanno visto una parola, perché la parola quando è viva si vede!A pasqua quando si fa buio su tutta la terra…tutto sembra essere smentito: eppurequalcosa non sfugge ad uno dei due crocifissi accanto a Gesù.Non vede in lui nessuna ombra di male: "non ha fatto niente di male!", confessa;mentre uno dei soldati risponde con l'espressione: "veramente quest'uomo eragiusto!". e tra loro si snoda un dialogo fatto di parole piene di speranza: "oggi sarai conme in paradiso". Il paradiso è il luogo della luce e della gioia: E "padre perdona…"Il dialogo è la forma della gioia e della luce…E allora sarà la pace. Io credo che gli uomini possano fare pace quando metterannosul tavolo delle trattative, parole, frutto di una loro esperienza di vita. Diceva Confucio:la prima cosa che farei sarebbe, fissare il senso delle parole. Gesù ha fissato il sensodelle parole, il loro significato originale, verginale. Occorre incamminarsi come i pastoricol rischio di perdere quel po' di sicurezza data dal gregge, e di perdersi per le vie dellastoria, ma resta la speranza di costruire un dialogo, unica possibilità per vedere unagrande luce e sperimentare una grande gioia. Altrimenti sarà sempre una piccolaluce , una piccola gioia, soprattutto non sarà mai di "tutto il popolo".

inistro Cecile Kjenge a Sorrivoli  - 15.07.2013

Entrare in un sepolcro senza profanarlo  - 08.04.2013

La resurrezione è un avvenimento che accade di notte, come la creazione del mondo, come l'apparizione di Eva ad Adamo. Eventi che accadono senza testimoni, o meglio, ci sono, ma dormono o non hanno occhi per vedere. I vangeli, non si preoccupano di riportare un fatto di cronaca, ma  fanno lo sforzo di suscitare la fede, una fede capace di comunicare vita.

Nei vari racconti della resurrezione troviamo degli elementi in comune : le donne, il profumo, la pietra, la scrittura, la pace, e il perdono.

Le donne che al mattino, quando ancora era buio, un buio interiore più che esteriore,  vanno verso il sepolcro, si domandano come spostare la pietra che avevano visto usare per bloccare la grotta dove era stato posto il corpo di Gesù. Poiché non era possibile da parte loro spostarla, perché sono partite così sprovvedute, ingenuamente armate solo di profumi? Forse perché il problema era un altro, non la pietra materiale. In quel sepolcro c'era una persona che era stata violentata nel corpo e nello spirito dagli uomini, dal dolore, dalla solitudine e anche da Dio…  Togliere la pietra da un sepolcro, vuol dire profanarlo, vuol dire violare, mettere a nudo, la povertà, la fragilità, la debolezza di una persona.

Come fare ad entrare in una vita così provata? Non è questione di forza, ma di delicatezza… non si può aggiungere altra violenza. Forse questo volevano dire quei profumi.

"… ecco io sto alla porta e busso. Se uno ascoltando la mia voce, mi aprirà la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui e lui con me". (Ap. 3,20)

Nessuno può spostare dall'esterno quella pietra, o forzare quella porta. Dopo tanta violenza subita, solo dall'interno si può aprire quella porta, e solo se viene riconosciuta la voce, se la voce è amica, se suscita fiducia.

Succede nella vita. Si incontrano persone che hanno subito violenza, oppure noi stessi devastati dal dolore. E' difficile entrare dentro la vita di queste persone o far entrare qualcuno nella nostra vita: anche se sarebbe il desiderio più grande:  ci vuole la delicatezza di un profumo per entrare nel cuore di una persona senza lacerarne ulteriormente le ferite.

Ci sono due parole che Gesù a Pasqua ripete sempre: pace e perdono. Forse sono questi gli ingredienti dei profumi che quelle donne portano al sepolcro.

Pace e perdono sono il messaggio che Gesù affida ai suoi discepoli.

Ma sono parole che insieme a resurrezione sembrano "vaneggiamenti". Gli ostacoli alla pace, al perdono, come alla resurrezione sono pietre troppo grandi da spostare.

Quando una persona chiede il perdono è come se si spogliasse, si denudasse: è un fare entrare nella propria vita, nel proprio sepolcro, nella parte più intima di sé, un altro.

Ma chiedendo ad una persona di entrare, la si prega di essere estremamente delicata per non provocare ulteriori ferite. Chiedendo il perdono si chiede di essere tirati fuori da quel sepolcro in cui ci si è trovati rinchiusi, si chiede di essere rimessi in piedi più vivi di prima, si chiede di poter avere un nome nuovo, un volto nuovo, una vita nuova. E' l'amicizia verso Lazzaro che ha permesso a Gesù di entrare nel suo sepolcro.

Deve essere stata questa, l'esperienza avvenuta tra Gesù e la Maddalena. Se poi lei era quella donna che Gesù aveva liberato dalle pietre della lapidazione quando era stata colta in flagrante adulterio: il loro rapporto deve essere stato davvero un perdonarsi reciprocamente, un darsi un nome nuovo. Quando Gesù dice che non avevano ancora compreso le scritture, forse si riferiva anche al fatto che le scritture erano diventate delle pietre capaci di distruggere la vita e non di liberarla. Anche queste sono state rinchiuse dentro un sepolcro e hanno sopra delle pietre molto pesanti da spostare.

E Gesù parla anche di una necessità: quella di "morire per entrare"… per trovare se stessi o altri è veramente necessario morire a se stessi, farsi poveri al punto da non poter più usare alcuna violenza.

Sulla tua parola  -  01.03.2013

Era un mattino, forse di primavera, come ogni giorno i pescatori, tornati dalla pesca, sistemato il pesce, riassestavano le reti.

C'era gente che come sempre si affollava intorno alle barche per un po' di buon pesce fresco.

Ma quel mattino c'era più gente del solito: non era venuta solo per il pesce, ma perché c'era questo maestro che parlava in un modo nuovo, suscitando emozioni che sembravano sopite. Si chiamava Gesù: chiese di poter salire sulla barca di Pietro, dispose la folla sulla riva, si sedette e si mise ad annunciare la parola di Dio. Quando ebbe finito di parlare,(solo sulla croce Gesù dirà: "tutto è compiuto!" Ho finito, ho detto tutto quello che dovevo dire) disse a Pietro: "prendi il largo e gettate le reti…" Pietro gli fece notare che per tutta la notte avevano gettato le reti, senza prendere niente, ma…si vede che Gesù ha insistito... e allora Pietro dice: "sulla tua parola, getterò le reti".

- Mi chiedo cosa avesse quella parola per convincere Pietro a mettere in discussione la sua esperienza, la reputazione di uomo equilibrato, pratico, pieno di buon senso? Tutti sanno che, se non si pesca niente di notte, a maggior ragione è pressoché impossibile pescare di giorno!

Eppure Pietro rischia sulla parola di Gesù. Il rischio non è tanto sul gettare le reti, ma sul giocare la propria vita su parole come: "beati i poveri… i miti…gli affamati di giustizia…gli operatori di pace… e ancora: amate i vostri nemici…".

- Mi chiedo se oggi ci sarebbe una parola per la quale ci si potrebbe giocare la vita!

Un profeta, Isaia, vissuto 700 anni prima di Gesù, quando fu invitato da Dio a parlare al suo popolo, rispose che lui non ne era degno, che le sue parole sarebbero state vuote. Allora Dio mandò un angelo a prendere un carbone ardente e con questo toccò la bocca del profeta e le sue parole furono come purificate. Una parola è vera se resiste al fuoco! Gesù diceva che le parole dovevano reggere l'urto della situazione che i poveri vivevano. Se una parola non porta speranza, gioia, libertà ai poveri, agli oppressi, agli schiavi, ai prigionieri…quella parola è senza senso, si svuota, si consuma come un fuoco di paglia!

La prima volta che Mosè prova a ricostruire l'unità dei suoi fratelli che erano schiavi in Egitto, era pieno di buona volontà, di generosità, di fame e sete di giustizia, ma le sue idee si scontrano con la realtà e fallisce su tutti fronti. I suoi fratelli lo rinnegano, il faraone le perseguita e lui perde qualsiasi identità. E' un po' come Pietro dopo quella notte di pesca: non abbiamo preso niente!

Quando Mosè ritorna in Egitto per liberare il suo popolo, non si presenta più con le sue sicurezze: non spera più in se stesso, né nella capacità di risposta dei suoi fratelli. E quando gli chiedono : chi ti ha mandato? in nome di chi parli? cosa ti spinge? si appella al Dio che ha fatto la storia: la storia di Abramo, di Isacco, di Giacobbe.

- Mi chiedo quante delle parole, delle promesse ascoltate in questi giorni di campagna elettorale abbiano spinto qualcuno a "gettare le reti…" giocarsi qualcosa…  Quante di queste parole hanno superato la prova del fuoco? Erano fuochi di paglia che si consumavano o roveti che bruciavano senza consumarsi? Erano espressioni di una vita o semplicemente pubblicità?

La parola di Gesù ha saputo reggere l'urto della violenza: la morte non è stata capace di spegnerla! Era una parola capace di far riprendere energie a un Pietro che "non aveva preso niente"… che si sentiva un fallito. Quando dice: "vi farò pescatori di uomini!", voleva dire: quando pescavate dei pesci, questi morivano per voi, pescare degli uomini è dare loro vita, identità, libertà, dignità, aria...date respiro agli uomini, fateli uscire dalla condizione di annullamento che è rappresentata dal mare.

Erri De Luca, uno che traffica con la parola, dice che più che di perdita di senso della parola, si tratta di una perdita di responsabilità della parola. Serve a vendere il proprio prodotto, ma non porta a nessuna responsabilità né da parte di chi la pronuncia , né da parte di chi l'ascolta.

"le parole perdono il loro senso, mentre perdono il loro colore il mare verde e il cielo azzurro…E la notte perde le sue stelle. Ormai ci sono cartelli di protesta affissi nelle grandi città del mondo: NON CI LASCIANO VEDERE LE STELLE! - firmato la gente!  E nel firmamento son comparsi già molti cartelli che gridano NON CI LASCIANO VEDERE LA GENTE! - firmato: le stelle. (Edoardo Galeano)

sorrivoli 1 marzo 2013

Era un mattino, forse di primavera, come ogni giorno i pescatori, tornati dalla pesca, sistemato il pesce, riassestavano le reti.

C'era gente che come sempre si affollava intorno alle barche per un po' di buon pesce fresco.

Ma quel mattino c'era più gente del solito: non era venuta solo per il pesce, ma perché c'era questo maestro che parlava in un modo nuovo, suscitando emozioni che sembravano sopite. Si chiamava Gesù: chiese di poter salire sulla barca di Pietro, dispose la folla sulla riva, si sedette e si mise ad annunciare la parola di Dio. Quando ebbe finito di parlare,(solo sulla croce Gesù dirà: "tutto è compiuto!" Ho finito, ho detto tutto quello che dovevo dire) disse a Pietro: "prendi il largo e gettate le reti…" Pietro gli fece notare che per tutta la notte avevano gettato le reti, senza prendere niente, ma…si vede che Gesù ha insistito... e allora Pietro dice: "sulla tua parola, getterò le reti".

- Mi chiedo cosa avesse quella parola per convincere Pietro a mettere in discussione la sua esperienza, la reputazione di uomo equilibrato, pratico, pieno di buon senso? Tutti sanno che, se non si pesca niente di notte, a maggior ragione è pressoché impossibile pescare di giorno!

Eppure Pietro rischia sulla parola di Gesù. Il rischio non è tanto sul gettare le reti, ma sul giocare la propria vita su parole come: "beati i poveri… i miti…gli affamati di giustizia…gli operatori di pace… e ancora: amate i vostri nemici…".

- Mi chiedo se oggi ci sarebbe una parola per la quale ci si potrebbe giocare la vita!

Un profeta, Isaia, vissuto 700 anni prima di Gesù, quando fu invitato da Dio a parlare al suo popolo, rispose che lui non ne era degno, che le sue parole sarebbero state vuote. Allora Dio mandò un angelo a prendere un carbone ardente e con questo toccò la bocca del profeta e le sue parole furono come purificate. Una parola è vera se resiste al fuoco! Gesù diceva che le parole dovevano reggere l'urto della situazione che i poveri vivevano. Se una parola non porta speranza, gioia, libertà ai poveri, agli oppressi, agli schiavi, ai prigionieri…quella parola è senza senso, si svuota, si consuma come un fuoco di paglia!

La prima volta che Mosè prova a ricostruire l'unità dei suoi fratelli che erano schiavi in Egitto, era pieno di buona volontà, di generosità, di fame e sete di giustizia, ma le sue idee si scontrano con la realtà e fallisce su tutti fronti. I suoi fratelli lo rinnegano, il faraone le perseguita e lui perde qualsiasi identità. E' un po' come Pietro dopo quella notte di pesca: non abbiamo preso niente!

Quando Mosè ritorna in Egitto per liberare il suo popolo, non si presenta più con le sue sicurezze: non spera più in se stesso, né nella capacità di risposta dei suoi fratelli. E quando gli chiedono : chi ti ha mandato? in nome di chi parli? cosa ti spinge? si appella al Dio che ha fatto la storia: la storia di Abramo, di Isacco, di Giacobbe.

- Mi chiedo quante delle parole, delle promesse ascoltate in questi giorni di campagna elettorale abbiano spinto qualcuno a "gettare le reti…" giocarsi qualcosa…  Quante di queste parole hanno superato la prova del fuoco? Erano fuochi di paglia che si consumavano o roveti che bruciavano senza consumarsi? Erano espressioni di una vita o semplicemente pubblicità?

La parola di Gesù ha saputo reggere l'urto della violenza: la morte non è stata capace di spegnerla! Era una parola capace di far riprendere energie a un Pietro che "non aveva preso niente"… che si sentiva un fallito. Quando dice: "vi farò pescatori di uomini!", voleva dire: quando pescavate dei pesci, questi morivano per voi, pescare degli uomini è dare loro vita, identità, libertà, dignità, aria...date respiro agli uomini, fateli uscire dalla condizione di annullamento che è rappresentata dal mare.

Erri De Luca, uno che traffica con la parola, dice che più che di perdita di senso della parola, si tratta di una perdita di responsabilità della parola. Serve a vendere il proprio prodotto, ma non porta a nessuna responsabilità né da parte di chi la pronuncia , né da parte di chi l'ascolta.

"le parole perdono il loro senso, mentre perdono il loro colore il mare verde e il cielo azzurro…E la notte perde le sue stelle. Ormai ci sono cartelli di protesta affissi nelle grandi città del mondo: NON CI LASCIANO VEDERE LE STELLE! - firmato la gente!  E nel firmamento son comparsi già molti cartelli che gridano NON CI LASCIANO VEDERE LA GENTE! - firmato: le stelle. (Edoardo Galeano)

Inaugurazione Ostello "Gianfranco Zavalloni" - 01.12.2012

Guardate...Toccate  - 03.05.2012

Un gruppo sparuto di persone, era riunito, chiuso dentro una stanza, forse la stessa dove avevano mangiato col maestro qualche giorno prima.

Le donne che parlavano della loro visita al sepolcro il mattino presto, con la sorpresa del vuoto trovato, colmato da strani incontri ricchi di suggestioni.

Pietro che, pieno di orgoglio parlava del suo incontro con Gesù. Cleopa e l'altro discepolo, tornati da Emmaus col cuore in gola per la corsa che avevano fatto, ma soprattutto per l'incontro avuto lungo la strada  che dicevano come avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane.

Tutto sembrava essere ricomposto: l'emozione e una certa euforia sembrava avvolgere tutti. Quando, all'improvviso, si fa vivo Gesù. Entra nel loro spazio vitale, ma suscita più spavento e perplessità che gioia.

E' strano: sono appena trascorse poche ore da quando avevano visto, ci avevano parlato, ci avevano mangiato insieme e già non lo riconoscono.  E' ancora la paura e il dubbio a prevalere, anzichè il senso pratico di organizzare una specie di rivincita...

Eppure penso che sia stata una fortuna che la resurrezione non abbia generato certezze, ma sempre paure e perplessità.

La resurrezione non si può spiegare, nè dimostrare. Può capitare di dire "ho visto il Signore" e subito dopo di non riconoscerlo più.

I vangeli non sono una prova per dimostrare che Gesù è risorto.

Cercano solo di portarci come sulla soglia di una porta per invitarti ad uscire dal tuo mondo per addentrarti in un altro.

La soglia è il luogo in cui una persona sta tra la sua casa e l'esterno. E' quello spazio che da una parte ti fa sentire al sicuro, dall'altra cerca di spingerti ad affacciarti sull'esterno, sul nuovo, sull'imprevisto.

Era bello un tempo, soprattutto in campagna, quando le donne rammendavano sulla soglia della propria casa e la sera gli uomini fumavano sui gradini di casa. Era un invito a fermarsi per chi passava, era il luogo in cui ci si scambiavano le notizie: era il luogo dell'incontro.

E' ancora bello quando nei nostri piccoli paesi vedi qualcuno stare sulla soglia di casa: a volta è una persona in carrozzina, a volte è uno che ha preso un bicchiere di vino e preferisce berlo sulla panchina, fuori dall'osteria. Esprime il desiderio di voler incontrare qualcuno, di non volersi chiudere in se stesso.

I racconti di pasqua del vangelo sono un invito a stare sulla soglia, a vincere paure e resistenze. E' un pò quel che è successo ad Abramo, quando stando sulla soglia della sua tenda ha incontrato Dio e  ha ricevuto in dono un figlio insperato.

Le parole di Gesù costituiscono la soglia di quella casa dove i suoi discepoli si erano chiusi, ma è anche la nostra soglia per entrare nel mondo della resurrezione. "Guardate le mie mani e i miei piedi, toccatemi" e aggiunge, "avete qualcosa da mangiare?".

Non è facile vedere le ferite di una persona, non è facile guardarle, e ancor meno toccarle. Occorre fare un passo fuori da se stessi...

E' stato bello leggere queste parole e vedere una mamma con in braccio un bambino di pochi mesi che sembrava chiedere le stesse cose di Gesù:  di essere guardato, di essere toccato... e qualcosa da mangiare.

E' passato il primo maggio, tanti giovani si sono riversati a Sorrivoli. Già erano alcune centinaia quando al pioggia ha cominciato a cadere fitta e fredda. Nessuno ha pensato di tornare a casa...non si sa come ma sembrava che ci fosse posto per tutti, senza spinte, senza prepotenza, senza irritazione... E così una donna si è trovata in macchina seduta accanto ad una ragazza che conosceva solo di vista. Ne è nato un dialogo. Quella donna ha cominciato a raccontare della sua vita: il marito i figli, la droga, i nipoti... una serie di ferite. E questa ragazza a guardare queste ferite ancora aperte, toccarle con mani quasi a volerle curare e forse col desiderio di poter dare qualcosa, quasi un cibo capace di saziare una fame e una sete di solitudine.  Nel dolore l'unico cibo che si può dare è qualcosa di sè.

Credo che ogni persona che incontriamo, se non restiamo chiusi in noi stessi, se ci mettiamo sulla soglia della nostra casa, della nostra vita, potrebbe chiederci di guardare le sue ferite, di trattarle con rispetto e se è possibile curale col proprio affetto e la propria amicizia.

Questo i vangeli la chiamano resurrezione.

Era una pietra molto grande  - 30.04.2012

E' apparsa come un sottile filo d'argento nel cielo, ogni sera si presenta più grande fino a diventare piena. E' la prima luna di primavera. Coincide con l'esplosione della natura, quest'anno particolarmente attesa dopo la grande nevicata che tutto aveva coperto da temere non ci fosse più speranza di uscirne. Le piante sono fiorite tutte insieme, i prati, i fossi si sono rivestiti di fiori il grano ha cominciato ad allungare il suo stelo.

E' una luna che suscita speranza.

Anche gli ucceli sentono questo fremito: sembravano spariti e ora li vedi danzare nel cielo corteggiandosi con acrobazie spettacolari. Due coppie di falchi sembrano l'espressione di una libertà quasi infinita.

E penso a tutti quei popoli, quelle generazioni che per secoli e millenni hanno atteso questa luna per intraprendere viaggi, fare progetti tornare a credere nella vita. Penso a quante lune gli ebrei hanno visto affacciarsi nel cielo senza poter partire fino a quella che ha dato loro il coraggio di mettersi in viaggio, di attraversare il mare e decidere del loro futuro. Da allora la prima luna piena di primavera ha preso il nome di pasqua, passaggio. Poi è arrivata la pasqua di Gesù.  Una pasqua che lui chiamava passaggio da questo mondo al padre. La sua pasqua era un mangiare. Gli chiedono i discepoli: "dove vuoi che prepariamo per mangiare la pasqua?" Da un mondo come l'Egitto in cui per mangiare si era costretti a vendersi come schiavi ad un mondo in cui un padre per far mangiare i propri figli organizza una festa.

La vita è una festa e non può stare sotto la schiavitù del necessario, dell'inevitabile.

Quando quel figlio, partito di casa vi ritorna, dopo aver speso tutto ed essersi ridotto in schiavitù per sopravvivere e al padre chiede di poter fare lo schiavo perchè non spera più in una vita libera, il padre lo sorprende rivestendolo di una nuova veste, una nuova dignità e organizzando una festa per lui. (Luca 15)

E' bello guardare i campi, le piante, gli uccelli in questi giorni... è bello guardare il cielo in queste notti! Uno sguardo alla terra e uno al cielo... tutto sembra sorriderti e gridarti la sua voglia di vivere, di libertà, di venir fuori... Ma poi guardi il cuore dell'uomo e trovi tanta pesantezza, tanta paura, tanta tristezza... c'è tutta la perplessità di quelle donne che il giorno di pasqua di duemila anni fa si recavano al sepolcro di Gesù con una domanda nel cuore:"chi ci rotolerà la pietra?"  Una pietra fatta di tutte le paure, i condizionamenti, le forme di schiavitù che ci stanno opprimendo e che tolgono a molti la speranza, l'entusiasmo, la voglia di vivere relazioni. Si guarda l'altro sempre come un rivale, con sospetto... Tutto assume la forma di una grossa pietra: la mancanza di lavoro, l'impossibilità di formare una famiglia, di mettere al mondo dei figli...

Ma sono grato a quelle donne che non hanno trattenuto i loro passi. Anche se era ancora buio nel loro cuore, si sono messe in cammino senza sapere come avrebbero spostato la pietra. Avevano preparato nella notte dei profumi. Una di loro poco prima della pasqua aveva unto con un profumo preziosissimo i piedi di Gesù. L'avevano rimproverata per tanto spreco.  Gesù dice che aveva fatto una "cosa buona".

Sprecare energie, tempo, in relazioni, in speranza è fede, la sola che può vincere la paura , può spostare le montagne. Occorrono gesti, scelte senza senso, senza logica, che sembrano energie sprecate per smuovere queste pietre, per dare credito a questa luna...

La pasqua deve ancora compiersi. La natura ha dei tempi diversi da quelli degli uomini. Gli uomini non hanno ancora raggiunto la loro pasqua, il loro compimento, la loro pienezza.

Occorre riprendere il cammino, mangiare questa pasqua coi calzari ai piedi e la cintura ai fianchi pronti per partire, come fecero gli Ebrei in Egitto; come fece Gesù in quella che chiamiamo la sua pasqua, quando si tolse le vesti per cingersi di un grembiule: la veste del servizio.

 

Pasqua 2012

Dove andate!?  -   15.02.2012 

Erano circa le quattro del pomeriggio. Il sole coi suoi raggi obliqui propri del tramonto faceva brillare gli alberi ghiacciati.

Avevamo appena concluso il rito funebre per salutare Anna Esposito. Si sostava, come in un abbraccio sul piazzale della chiesa del cimitero. Chi accarezzava la bara, chi si scambiava un abbraccio, chi piangeva, solo! Chi restava in silenzio...

Alcune note di un meraviglioso violino creavano un'atmosfera quasi surreale...poi d'un tratto la bara scivola via quasi inosservata come non volesse rompere o disturbare quell'atmosfera.

Era il modo con cui Anna viveva le situazioni. Le sfiorava come quella donna che nel vangelo mentre Gesù andava, circondato  da tanta gente verso la casa di Giairo, per vedere di salvare la sua figlia e lei furtiva e schiva gli si avvicina alle spalle e gli sfiora il mantello. Nessuno coglie quel furto, ma non sfugge a Gesù che si ferma e si guarda intorno, non per rimproverare chi avesse compiuto quel gesto, ma per ringraziare, commosso dalla delicatezza di quel tocco.

Era già in fondo al piazzale quando una voce si è alzata forte, rompendo quello strano silenzio: "DOVE ANDATE!?". era molto simile al grido di Gesù:"chi mi ha toccato?".

E' come se tutti ci si fosse risvegliati di colpo. Sofhia, la nipotina di 5 anni, staccatasi dal gruppo e rivolta al padre e all'amica che seguivano la bara che si allontanava, gridava :"dove andate".

II tono era tra la domanda, l'esclamazione e il rimprovero.

Pareva voler dire: perché ve ne andate senza di me? che senso ha questo vostro andare dietro ad una bara! Ritornano in mente certe parole di Gesù ai primi due discepoli che gli vanno: "che cosa cercate?"  o quando il giorno di pasqua alla Maddalena che lo cerca al sepolcro e dice: "chi cerchi?". o degli angeli che alle donne al sepolcro  dicono : "perché cercate tra i morti colui che è vivo?"

C'è stato un attimo di panico, di imbarazzo, tutti ci siamo fermati e il babbo ha allungato la mano a Sofhia e questa l'ha afferrata e il viaggio è proseguito. Ma non so se era Sofhia a seguire il babbo... forse era lei che prendeva per mano il babbo e l'amica e in un certo senso tutti noi per condurci dove forse Anna ci attendeva davvero...era la vita che ci prendeva per mano e ci conduceva verso la speranza dove Anna avrebbe voluto che noi la cercassimo.

Avevamo letto, durante la massa, di come Elia si era preparato alla morte. Aveva preso commiato dai suoi amici, prendendo sempre più le distanze da tutti per restare coi pochi coi quali aveva più confidenza. Alla fine era rimasto solo con Eliseo. Ed Elia gli chiede cosa avrebbe desiderato ricevere in eredità.  Questi chiese due terzi del suo spirito. Due terzi, non tutto! Dire: "vivrai nei nostri cuori!", vuol dire togliere ogni funzione a chi muore. Diciamo defunto, per dire: senza funzioni! Di una persona che muore non si può ereditare tutto! C'è qualcosa che resta: Turoldo la chiamava la Coscienza, qualcosa che neppure Dio può prendere!

Anche Anna era rimasta sola con poche persone.  Anna, come Elia ci ha detto per bocca di Sofhia che voleva mantenere le sue funzioni, in altro modo, ma non meno reale.

Quando Eliseo tornò col mantello di Elia, simbolo dei due terzi del suo spirito, gli abitanti di Gerico gli chiesero di poter andare a cercare il corpo di Elia. Lui diceva di non andare, ma questi insistettero tanto che alla fine li lasciò andare, ma quando tornarono senza aver trovato nulla disse loro: "non vi avevo forse detto: non andate?".

Resta quel mantello, quello che tu hai sfiorato avvicinandoti alla persona con l'amore, la fede, l'intensità con cui quella donna si era avvicinata a Gesù.

Gesù sentendo che una forza  era uscita da lui,  si ferma non per rimproverare quella donna che le aveva rubato, carpito qualcosa di intimo, di profondo, ma per ringraziarla di averlo toccato con affetto, sincerità... Le aveva trasmesso qualcosa di vivo. E le dice:"Vai n pace!" in quella libertà che solo gli incontri ricchi di umanità trasmettono senza togliere nulla a nessuno. Anna se ne è andata in pace, nella sua libertà e mitezza, lasciando nelle persone che l'hanno toccata nella sua vita una parte del suo Spirito. Il resto credo continuerà a possederlo e ad elargirlo in altro modo.

La voce di Sofhia resta in quel silenzio una vera voce profetica come quella di Elia, e ci rimprovera per le nostre ricerche sterili, ironizza sul nostro continuare a inseguire cose morte, e nello stesso tempo ci chiede con serietà di camminare alla ricerca di qualcosa di vivo, di vero, di intenso.

Nevone su Sorrivoli  -   01.02.2012

Vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi un salvatore!  - 18.01.2012

Mai come in questi ultimi tempi si sente parlare di "salvezza": dell'Italia, dell'euro, dell'europa... una salvezza che però esige "lacrime e sangue".

C'è una storia nella bibbia: gli Ammoniti assediano una città d'Israele, gli abitanti di quella città mandano ambasciatori al re per trattare la resa. Il re degli Ammoniti accetta ad una condizione:"poter cavare a tutti un occhio, come segno di umiliazione per tutto il popolo d'Israele".

Gli abitanti di quella città chiesero sette giorni per piangere la loro sorte e sperare in un'altra salvezza!

Che salvezza è quella che " costa un occhio della testa?".

Anche gli angeli, la notte di natale annunciano ai pastori un salvatore, ma che avrebbe portato una gioia grande.

Allora mi chiedo: la salvezza è apportatrice di gioia o di lacrime e sangue?

Rileggo allora il racconto che ci tramanda l'evangelista Luca.

La narrazione evangelica della nascita di Gesù è un mito tra i miti: ogni religione ha il mito della nascita del proprio fondatore coi suoi elementi tradizionali: la vergine, la paura, la partecipazione della natura, comprese le stelle.

Ma nel racconto di Luca c'è un elemento storico: era imperatore Cesare Augusto!

L'impero romano aveva raggiunto il massimo del suo potere. Oggi gli studiosi si chiedono come, un unico potere con un minimo dispendio di mezzi e forze  riuscisse a controllare un territorio così vasto e un numero così elevato di popolazioni con culture, religioni e lingue diverse.  Un motivo consisteva certamente nel fatto che Roma permetteva a tutti di praticare la propria religione: a patto che restasse relegata alla sfera del privato.

Oggi, forse per la prima volta, si è ripetuta una situazione simile a quella dei tempi di Gesù. Un altro impero ha conquistato un territorio e un popolo ancor più numeroso di quello di Cesare. Una semplice carta di credito permette di controllare tutti i suoi sudditi. Questo popolo ha trattato la resa cedendo forse non solo un occhio, ma tutta la sua vita.

Questo potere si erge a salvatore del mondo, pretende che l'uomo lo serva con tutto il suo cuore, con tutta la sua mente, con tutte le sue forze. Si impone come unico dio. Si fa chiamare capitalismo. Paolo Perticari lo definisce il quarto monoteismo, il quale però non si pone sullo stesso piano degli altri, ma li vuole soppiantare tutti. Alle religioni monoteiste lascia il ruolo che gli americani lasciavano agli indiani: vivere in riserve.

Possono mantenere i loro riti, ma con una funzione puramente folcloristica. Volendo possono farsi guerra tra di loro.

Suona profetica la prima parola degli angeli: "non abbiate paura!" Un segno accompagna queste parole: la gloria del Signore li avvolse di luce!  La gloria del Signore è la croce, è la situazione di quel popolo che affolla il presepe. Un popolo che per il capitalismo non conta perchè non ha soldi, e non avendo soldi non porta l'immagine del capitale che del denaro ha fatto la sua incarnazione. Ma da quel popolo nasce una luce, sorge un' alba nuova, riparte la speranza, dopo che l'occidente con la sua cultura ha fatto tramontare e ha sepolto tutte le speranze dell'umanità creando questo nuovo dio.

Ma "per voi" che vi lasciate illuminare da tutte le croci della storia, perchè di queste è fatta la vostra vita, per voi è nato un salvatore portatore di gioia.

Questo il segno: un bambino, delle fasce, una mangiatoia che forse era la cesta del pane, perché il pane è la salvezza. Un segno... sì perchè di risultati forse non se ne vedranno mai, la salvezza sarà sempre come un'alba.

Allora i pastori dicono: "andiamo..." non vanno da soli. E il natale allora è più che la nascita di un bambino, la nascita di un popolo.

Da Maria nasce un popolo nuovo. Non è del tutto casuale che all'inizio dell'esodo, per narrare dei primordi del popolo di Dio, si parli proprio di levatrici...si oppongono al genocidio voluto dal faraone, con un atto di disobbedienza, un po' come Maria che trasgredisce la legge per far nascere quel figlio da cui nasce un popolo nuovo. Se le religioni vogliono uscire dalle loro "riserve" o dalle loro lotte fratricide debbono osare fare spazio alle "levatrici". Loro sole con la loro vocazione a fare nascere, sanno opporsi al potere che come non mai richiede sempre più sacrifici umani.

Dei pastori si dice ancora che la loro gioia era frutto di ciò che videro e udirono. Si dice sempre che il natale ha perso il suo significato e che è stato completamente assorbito dal consumismo, ma una cosa il consumismo non ha potuto distruggere: il bisogno delle persone di incontrarsi, di raccontarsi...Quante storie si sentono per natale! Forse sono più le notizie tristi, ma il solo condividerle fa bene al cuore come una luce di speranza. Diceva Benedetto Calati: "cosa resta della vita?...lo sguardo che hai saputo fermare negli occhi degli altri!". Credo che ci siamo portati dentro in questo natale tante storie pesanti, ma è come se ci avessero avvolto con la loro luce perchè erano storie piene di umanità, di quell'umanità che Dio ha manifestato in quel bambino, nella sua mamma, in Giuseppe, nei pastori...

E' di quell'umanità che Maria si è resa custode facendola non solo nascere, ma soprattutto coltivandola nel cuore di quel figlio. E' quell'umanità che Gesù un giorno salendo sopra un monte e vedendo le folle ha saputo fermare lo sguardo negli occhi dei poveri... dei miti... e ha sognato una terra finalmente liberata dagli usurpatori e abitata da persone miti, leggere,  perché ad essi è stata lasciata in eredità e un cielo abitato da Dio con al suo fianco tutti coloro che la vita ha impoverito, privato del respiro, della gioia. E questo Dio come una grande levatrice avvolge e protegge la terra perchè non venga più usurpata o violentata.

A natale è nato un popolo, è piccolo e fragile come il bene, come la vita, ma come è sfuggito a Cesare e ad Erode, noi crediamo possa sfuggire a questo nuovo potere.

 

Preghiera:

Per tanto, Dio; ostinata levatrice,

così come hai creato la luce, accompagnaci bel venire alla luce;

così come hai creato la vita, accompagnaci nel venire alla vita.

E se non puoi proteggerci dalla sofferenza del vivere.

almeno accoglici nelle tue braccia vigorose

non solo quando moriamo, ma soprattutto quando nasciamo.

non lasciarci precipitare:

donaci la fiducia di chi sa di essere stato affidato alla madre terra

e non si sente sbattuto come nel duro suolo. (L. Maggi)

Tempo di Vegliare  - 01.01.2012

Sono sempre belli i tramonti, le lune di questo periodo che precede il natale. Si avrebbe voglia di fermarsi delle ore a guardare quella luce. E' la luce tenue di chi sembra voglia aspettare qualcuno. Non sarà un caso che questo tempo è dedicato all'attesa, alla veglia. Siamo invitati a vegliare recuperando quella soglia di consapevolezza che spesso in noi si affievolisce in una specie di assopimento. Gesù poco prima di morire ripete spesso "vegliate"!La veglia ricorda l'atteggiamento della sentinella che scruta il buio intenta a percepire qualsiasi rumore, cogliere ogni movimento cercando di decifrarlo.Nel 1994, in occasione dell'anniversario della morte di G. Lazzati, quando Dossetti intuì il rischio che correva la nostra costituzione, commentò una frase del profeta Isaia in cui si leggeva: "sentinella, quanto resta della notte?".Diceva che essere sentinella significa scrutare con speranza indefettibile il buio della notte. Da quell'intervento sono nati i comitati in difesa della costituzione coordinati oggi da Raniero la Valle, il quale, in un intervento fatto a Cesena poco tempo fa, attribuiva la caduta del governo Berlusconi come una vittoria della costituzione. Dopo un ventennio di tentativi per stravolgerla ne è uscita lacerata, ma vittoriosa, grazie a persone che hanno saputo mantenere alta la guardia resistendo a subdole forme di cambiamento.Una cosa simile sta avvenendo nella chiesa: il concilio è stato la sua costituzione! Iniziato 50 anni fa, ma da almeno quaranta si tenta di soffocarlo, facendolo rientrare come una cosa che non aveva nulla di nuovo. Invece parole come di popolo di Dio, autorità della parola di Dio, supremazia della coscienza, dialogo, rispetto delle diversità avevano una novità dirompente. La paura ha scatenato subito una reazione restauratrice che continua. Ma anche all'interno della chiesa sono nati una specie di comitati di resistenza, le "comunità di base" che hanno saputo mantenere vivo quello spirito, come un fuoco sotto la cenere in attesa di riprendere a bruciare di una fiamma viva.Proprio in questi giorni, il 22 ottobre è morto don Mazzi, prete della comunità dell'Isolotto, un quartiere alla periferia di Firenze. Nel '68 per una lettera di solidarietà verso un gruppo di giovani che a Parma avevano occupato la cattedrale per chiedere una chiesa più povera e libera dall' autoritarismo e dalla collusione col potere fu rimosso dal suo ruolo di parroco. Di lì e nata una comunità che si riuniva in baracche e celebrava nella piazza.Il vegliare parte dalla consapevolezza della notte.Quando Gesù chiede ai suoi amici di vegliare è consapevole che per lui si avvicina la notte più buia della sua vita. Scandisce quattro momenti di quella notte: la sera, a mezzanotte, al canto del gallo e al mattino.Alla sera si è dato in pasto ai suoi amici, a mezzanotte è stato tradito da un amico, al canto del gallo è stato rinnegato, al mattino, condannato a morte.E ai suoi discepoli cui aveva raccomandato di vegliare ha dovuto rimproverare di non aver saputo vegliare un' ora sola con lui. Essere sentinella, persona capace di vegliare, vuol dire che quando una persona vive una situazione come quella che ha vissuto Gesù durante quella notte non fuggi, non fingi di non riconoscerla, non resti indifferente, ma ti fai carico di quello stato. Per sapere se siamo capaci di vegliare dovremmo passare in rassegna i nostri atti alla luce di queste situazioni. Così nonostante il vangelo dica di amare i nemici e la costituzione ripudi la guerra negli ultimi 20 anni abbiamo fatto guerre e le abbiamo chiamate giuste. Ha ragione ancora il profeta Isaia quando dice che i nostri atti di giustizia sono "come panni immondi".Il vegliare non può essere un tempo vuoto, ma la capacità, nello scorrere del tempo, di cogliere la situazione, fare scelte giuste senza subire passivamente gli eventi. Vegliare vuol dire saper stare vicino a chi si da in pasto per amore, essere solidale con chi è tradito o rinnegato, trattato come una sconosciuto e lottare per la giustizia di fronte a chi viene condannato a morte senza "aver fatto nulla di male" come dirà Pilato di Gesù. Allora purtroppo nessuno ha vegliato perchè quella sentenza non venisse applicata. Vegliare è stare accanto a quelle persone che vivono uno o più di quei momenti della notte e "convertirsi" come direbbe sempre Isaia, per andare insieme incontro all'alba.

I Cristiani e la Politica  -  05.12.2011

Ma i cristiani debbono fare politica?  Sta tornando l'idea di un partito cattolico.

Si ripropone il detto di Gesù: "date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio!". val la pena di contestualizzarlo.

Gesù era entrato quasi trionfalmente a Gerusalemme.

Nel tempio trascorre gli ultimi giorni della sua vita. Sembra quasi un estremo tentativo per farsi capire dal popolo d'israele. Esce piangendo e con un lamento: "Gerusalemme che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati! Quante volte ho cercato di raccogliere i tuoi figli come una chioccia i suoi pulcini sotto le sue ali..."

E nel tempio si svolge una specie di istruttoria in vista del processo sommario che lo porterà alla morte. I vari gruppi religiosi o civili di Israele si alternano nell'interrogarlo sperando di trovare dei capi d'accusa nei suoi confronti. Si fanno avanti allora i farisei insieme agli erodiani: estremisti di due schieramenti opposti. I farisei, parola che significa - separato - sostenevano che non bisognava contaminarsi con persone o cose di altre religioni, in quel caso i romani. Gli erodiani, da Erode, politicanti, si preoccupavano solo dei vantaggi che traevano da Roma. In altri contesti si sarebbero scagliati l'uno contro l'altro pur di accapparrarsi il favore del popolo.

Invece, insieme si rivolgono a Gesù per chiedere se fosse lecito o no pagare il tributo a Cesare. Si sono spesi fiumi di parole per determinare il confine tra i due poteri, stiracchiando la parola di Gesù una volta verso Dio, l'altra verso Cesare!

Ma l'intento di Gesù non era quello di sentenziare quale ambito competesse a Cesare e quale a Dio, ma di smascherare la loro malizia e ipocrisia. Non è tanto la risposta che conta ma il processo che innesca per smascherare l'ipocrisia. Dice il vangelo: conoscendo la loro malizia rispose: "ipocriti, perchè mi tentate?".

Malizia e ipocrisia! Non si presta ad un gioco che non rispetta le regole!

E allora chiede di mostrare loro la moneta del tributo. Gli mostrarono un denaro che riportava l'immagine di Cesare e la scritta che lo definiva dio.

Ma nel tempio non potevano entrare immagini di altre divinità, tanto è vero che all'ingresso c'erano i cambiavalute che scambiavano le monete romane in monete coniate dai sacerdoti. La prima cosa che aveva fatto, entrando nel tempio, era stata quella di buttare all'aria i banchi dei cambiavalute.

I farisei che volevano fare i puri gestivano il cambio. Di fatto era solo  riciclaggio di denaro "sporco".

L'ipocrisia sta nel tentare di giustificare i propri interessi tirando in ballo Dio.  Ciascuno cercava  solo di dare sempre più valore alla propria moneta. Se prevaleva il ruolo di Dio la moneta dei sacerdoti acquisiva più valore, se prevaleva Cesare aumentava di valore il denaro di Roma. E se Gesù avesse voluto dire che bisognava solo trovare un giusto equilibrio fra le due parti non avrebbe fatto altro che avvallare il loro sporco gioco.

Non c'è un denaro profano e un denaro sacro.

Non si può pensare di rendere sacra una moneta riciclandola con altra immagine o iscrizione. Solo gli ipocriti lo fanno. Gesù dice che Dio non vuole tributi...di nessun genere. Subito dopo se la prende con chi, usurpando ruoli di potere, impone sulle spalle della gente pesanti fardelli senza toccarli neppure con un dito. Troppo spesso le religioni presentano il conto ai propri fedeli. Ma se una religione deve essere un peso, non può essere vera.

Gesù è venuto per alleggerire le spalle della gente.

Ho l'impressione che il bisogno dei cattolici oggi di fare politica scaturisca  dal fatto che l'interlocutore che fino ad oggi li ha rappresentati non paghi più. La sua moneta è stata troppo svalutata e allora si cerchi un

nuovo interlocutore in cui lo scambio sia più redditizio. Per questo credo non si debba parlare di cattolici in politica o di un partito cattolico appellandosi al detto di Gesù. Siamo ancora li a fare il mestiere dei cambiavalute: quale valore dare allo scambio cercando di alzare sempre più il valore della propria moneta. E allora erodiani, per i quali la ricchezza è il proprio dio e i farisei che per sentirsi moralmente a posto pensano basti riciclare un denaro che è frutto di ingiustizia venerano lo stesso dio.

Parlare allora del partito dei cattolici, tirando in ballo Dio vuol dire solo mascherare ipocrisia e malizia.

Si tratta di recuperare una libertà che permetta di stare dalla parte di chi porta dei pesi troppo grandi ed è stanco di pagare tributi sempre più onerosi a Cesare e a Dio, che mai sono sembrati così complici.

C'è un popolo, quello che Gesù vede dal monte delle beatitudini, come in visione, di ogni nazione, cultura e razza che sogna leggerezza.

Per Convenienza  - 13.10.2011

Un padre, aveva due figli: chiede loro, quasi li prega di andare a lavorare nella vigna. - "Sì, signore! " - rispose il primo, ma poi non ci andò! "Non ne ho voglia" - rispose il secondo, ma poi pentitosi, ci andò.Provocatoriamente, Gesù chiede ai sommi sacerdoti e ai capi del popolo:"chi dei due ha fatto la volontà del padre?".Unanimi rispondono: "il secondo!".E fu così che da quel giorno quelli che non vanno a messa si sentono migliori di quelli che ci vanno tutte le domeniche! E come al solito le parole di Gesù, suonano a vuoto

Ma Gesù non ha parlato di messa, ma di lavoro in una vigna!Quando si parla di lavoro nella bibbia è quasi sempre quello del vignaiolo!La vigna è il luogo dove si prepara, si attende, si coltiva, si creano le condizioni per la realizzazione dl regno di Dio. Il messia andrà incontro agli operai della vigna.Poco prima Gesù aveva raccontato un'altra storia: un padrone chiama operai a tutte le ore del giorno per lavorare nella sua vigna. I primi all'alba, gli ultimi alle cinque del pomeriggio! A fine giornata dà a tutti la stessa paga.E a quelli che mormorano risponde: "sei invidioso, perchè io sono buono?".Invidia vuol dire non-vedere, vedere distorto, non accettare la bontà come criterio di giustizia.E' strano, ma verissimo: la bontà scatena in-vidia!"Gli ultimi saranno i primi!" sentenzia Gesù.Il bisogno dell'ultimo è il criterio fondamentale per fare scelte giuste. Un pò come quando in una famiglia nasce un bambino: è l'ultimo arrivato, ma il primo ad essere servito!C'è una fame e sete di giustizia di cui si parla nelle beatitudini, che è la giustizia del regno diversa da quella degli scribi e farisei: una giustizia che nasce dalla bontà. Una giustizia in cui il diritto al lavoro è più importante del profitto. E' giusto più lavoro per tutti e meno profitto per alcuni che più profitto per pochi e meno lavoro per molti.Gli operai di questa vigna producono un vino di una qualità tale da dare una gioia capace di ubriacare senza far perdere la lucidità: è la gioia della cose fatte con bontà! Un contadino che mi ha offerto un vino di grade qualità diceva che il buon vino si fa nella vigna, non in cantina!Tornando ai due figli, quello che determina il comportamento del primo è la convenienza, perchè questa è l'unica in cui crede.Si predica giustizia fratellanza e pace, ma poi si agisce solo in base alla convenienza.Per convenienza si accettano connivenze con chi del lavoro fa uno strumento di schiavitù e ricatto.Per convenienza si difendono valori cosiddetti inderogabili e si trascura il bisogno di chi è senza lavoro, cultura , diritto di cittadinanza...Per convenienza non si osa condannare chi fa del profitto l'unico diritto da difendere a scapito della fame sete non solo di giustizia di tanti uomini e donne.Per questo, Gesù dice di preferisce i pubblicani e le prostitute, perchè sono capaci di pentimento, sanno vedere ciò che sarebbe giusto, anche se non possono realizzarlo. E' emblematico il fatto che anche Giuda si è pentito, ma non si sono pentite le autorità! Tutto questo vale per la religione e per la politica.Se uno si arricchisce in questi campi, lavora in una vigna che non è quella di cui Gesù diceva di essere la vite capaci di portare questi frutti. In questi giorni si è sentita una voce dei vescovi, come ci si attendeva da tempo... speriamo che alle parole seguano i fatti e la convenienza non prenda ancora il sopravvento.

C'è in questa serie di parabole un crescendo di ingiustizia: si parte dall'invidia, si passa alla convenienza, si finisce nella violenza, quando I vignaioli pur di difendere I propri interessi non si fanno scrupoli ad uccidere prima i servi poi lo stesso figlio del proprietario della vigna. Per che cosa? Per il potere!

Restiamo umani - 16.05.2011

"Ha bestemmiato! che bisogno abbiamo ancora di prove! avete udito la bestemmia?" E tutti ad urlare: "é reo di morte!"

E' la svolta durante il processo subito da Gesù.

Una bestemmia non fa bene neppure all'orecchio!

E Gesù proprio davanti ai sacerdoti va a bestemmiare! E' una impertinenza imperdonabile! Lacera non solo le vesti, ma la sensibilità di persone così religiose: è peggio che togliere il crocifisso da un luogo pubblico!

Ma l'evangelista non ha avuto il pudore di togliere il sonoro, e quella bestemmia ce la ritroviamo nei vangeli. Dice: "VEDRETE IL FIGLIO DELL'UOMO SEDERE ALLA DESTRA DI DIO!"

Dove sta la bestemmia? Provo a decifrarla.

Quando si vede una parata religiosa o civile al centro della scena c'è la persona più importante: un re, un presidente o il papa, poi tutti hanno un posto assegnato. Logicamente chi è più vicino alla persona più importante significa che ha un ruolo privilegiato. Se poi è alla sua destra si deduce che quello è il numero due.

Chi sta alla destra di Dio che nella cultura d'Israele occupa il primo posto! 

Gesù dice: "il figlio dell'uomo!"

Durante quel processo Gesù si definisce sempre e solo figlio dell'uomo, cioè uno che non ha altro titolo che la sua umanità. E come tale viene arrestato, o meglio sequestrato da persone che neppure lo conoscono, subisce due processi farsa: uno religioso e l'altro civile. Viene torturato, deriso, condannato e abbandonato in mano a dei soldati che eseguono la condanna. Il tutto nell'arco di 24 ore.

Nessuno che lo difenda, nessuna possibilità di salvarsi.

Barabba, che il vangelo definisce "un prigioniero famoso" se la cava!

Tra un prigioniero povero e uno famoso il povero ha sempre la peggio!

Dio ha scelto questo "figlio d'uomo" per farlo sedere alla sua destra: si fa garante e tutore di questa umanità..

Non averne rispetto significa non avere rispetto di Dio!

- Era la stessa terra, stesso periodo dell'anno, stesso arco di tempo, poco più di una notte quando un altro uomo della stessa età ha subito una cosa molta simile!

Vittorio Arrigoni. Da tre anni viveva a Gaza, nella terra più martoriata della Palestina, la stessa di Gesù, in mezzo al popolo più povero, indifeso, oppresso e umiliato di quella terra per rendere testimonianza alla verità. La popolazione civile di quel popolo da 45 anni subisce la violenza di una occupazione e di una colonizzazione illegale, ingiusta, violenta che per gli abitanti di Gaza oggi si è trasformata in un vero assedio che strangola la sua economia, la sua vita, il futuro di suoi fanciulli, dei suoi giovani.

Quando con l'operazione "piombo fuso" gli israeliani avevano bombardato nel gennaio del 2009 la striscia di Gaza mandava resoconti giornalieri che terminavano sempre con queste parole: "RESTIAMO UMANI".

Leggendo le due vicende vi trovo uno sconcertante parallelismo.

Sequestrati di notte, giudicati, torturati, umiliati e uccisi da sicari, forse con la complicità di un Giuda mentre i mandanti preferiscono restare in ombra, perchè uccidere un povero non è mai motivo di gloria, non fa molto onore. 

Come Giuda si è tolto la vita, così è stato degli esecutori materiali della storia disumana Vittorio A.

Alla destra di Dio, come ci stava Gesù, ci sta Vittorio Arrigoni!

Io credo che Dio amerebbe sentire pronunciate dalla sua chiesa bestemmie come quelle che Gesù pronunciava.

Quando i vangeli annunciano la resurrezione di Gesù parlano di gesti che sanno di grande umanità e delicatezza: donne che vanno a piangere al sepolcro portando profumi. Angeli che cercano di fare coraggio, di far superare la paura di tanta solitudine e senso di impotenza. Un Gesù che va loro incontro e saluta augurando pace. Gesti di semplice umanità.

Forse la resurrezione è proprio solo la vittoria dell'umanità sulla disumanità!

Mi fanno tanta pena quelle guardie che stanno a custodia di un sepolcro!

Penso a quante energie si sprecano per custodire luoghi di morte. E ogni volta che vedo persone con guardie del corpo non posso non pensare a quelle guardie!

Credo che tutto il processo di Gesù si potrebbe riassumere nelle parole di Vittorio Arrigoni: RESTIAMO UMANI!

Ascoltatelo  -  15.04.2011

Si chiamava Simone, ma da subito Gesù lo chiama Pietro, non tanto perchè su di lui voleva costruire la sua chiesa, ma perchè aveva la testa dura come una pietra. Giacomo e Giovanni invece avevano una mamma molto intraprendente la quale pensò bene di raccomandare i suoi figli perchè, nel suo regno potessero stare uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra.

Tutti volevano dare consigli a Gesù,  sui tempi e sui modi per instaurare il suo regno.

Tutto era iniziato nel deserto, quando si presentò a lui un esperto di politica interna, di politica economica e anche di religione per pianificare la sua campagna elettorale. Fu licenziato con un "vattene satana!".

E quando Gesù prospetta a Pietro un percorso di sofferenza, incomprensione e morte arrivano i suoi consigli: "ci siamo qua noi!  Con un pò di diplomazia sceglieremo i tempi e i modi giusti per non fare passi falsi."

Anche a lui Gesù dice: "vattene satana!".

E' a questo punto che prende con sè Pietro, Giacomo e Giovanni e li conduce sopra un monte alto. E lì a spiegare come "la cima di un monte non è un traguardo, ma uno sbarramento - direbbe Erri de Luca - è un affacciarsi sul vuoto all'insù!" per ascoltare la voce delle nuvole e dela natura nel suo insieme.

Poi chiama come testimoni Mosè ed Elia, simboli della storia di un popolo che per instaurare un regno, ogni volta che credeva di aver raggiunto l'obiettivo si ritrovava ad aver instaurato un regime.

Questa storia finisce con una sentenza dall'alto: "questi è il mio figlio prediletto: ascoltatelo!".

Si dice che i tre caddero con la faccia a terra, presi da un grande timore.

E' una resa totale. La parola di Dio fa sempre paura...tranne che a noi oggi!

E' questa contraddizione che mi lascia più perplesso: una parola che dovrebbe fare paura risulta blanda, autoreferente. Probabilmente non è più la stessa parola che ha smontato e distrutto le sicurezze di quei tre.

"Ascoltatelo...!" Ma chi dobbiamo ascoltare? Frettolosamente abbiamo fatto un'equazione: Dio dice di ascoltare Gesù, Gesù dice di ascoltare gli apostoli, gli apostoli dicono di ascoltare la chiesa, la chiesa di ascoltare il papa, i vescovi, i preti... semplificazione sbagliata! Quel figlio che la voce dal cielo dice di ascoltare, citando un'espressione del profeta Isaia, è semplicemente, ma anche esclusivamente quell'uomo che cerca di portatre "il diritto e la giustizia" fino agli estremi confini della terra e questo necessariamente gli procura persecuzione e violenza... quello che Gesù intravvede per sè!

Questi e solo questi è l'uomo da ascoltare e non conta il ruolo che  uno ricopre: il ruolo non autorizza a parlare in nome di Dio.

E' la voce di Gino Strada che di fronte all'ennesimo conflitto si ribella all'idea che debba essere ancora solo la guerra l'unica risposta Il "vattene, satana!" di Gesù risuona come un grido di libertà, di dignità, di fronte ad una parola svuotata come quella usata da Giuliano Ferrara per giustificare situazioni dettate solo da interesse e piacere.

E' un grido come quello di don Alessandro Santoro, prete delle Piagge a Firenze che di fronte ad un sempre maggior ostracismo da parte di una chiesa gerarchica e autoritaria dice: "non voglio essere nè sfiorato, nè confuso" da questa, ma rivendica il diritto di gridare:"ridateci Gesù!"

E' il senso di libertà provato nell'ascoltare Erri de Luca quando diceva di non essere credente, ma che amava scalare le cime dei monti, come Mosè, il primo alpinista della storia, per affacciarsi su quel "vuoto all'insù" per percepire la divinità che vi si accostava.

E Mauro Corona che col suo bicchiere in mano diceva i suoi sforzi, i suoi fallimenti, il suo essere a terra in attesa che qualcuno come fece Gesù coi suoi tre amici gli si avvicinasse per rialzarlo , fargli coraggio e riprendere il cammino, senza avere paura dei suoi limiti, ma senza cercare  scorciatoie alla fatica del vivere.

Quell'uomo che mette in gioco la propria vita è l'uomo che Dio predilige e che ci dice di ascoltare. Solo chi porta sulla propria pelle il peso delle parole che dice ha il diritto di essere ascoltato: di tutto il resto Gesù dice di tacere! 

Questa parola, terra di incontro tra l'uomo e Dio non si piega all' autorità sacra o profana, perchè è una parola che entra nella coscienza e non ne esce più.

Questo io credo. E per questo ringrazio Alessandro, Erri, e Mauro per aver lasciato a Sorrivoli un pezzo della loro vita.


Pasquale 

Dove sono gli uomini, dove sono i maschi?  - 08.03.2011

Lettera aperta di suor Rita Giaretta

 

Caserta, 27 gennaio 2011

Da anni, insieme a tre mie consorelle (suore Orsoline del S. Cuore di Maria), sono impegnata in un territorio a dire di molti "senza speranza". Un territorio, quello casertano, sempre più in ginocchio per il suo grave degrado ambientale, sociale e culturale, dove anche la piaga dello sfruttamento sessuale, perpetrato a danno di tante giovani donne migranti, è assai presente con i suoi segni di violenza e di vera schiavitù.

Come donna, come consacrata, provocata dal Vangelo di Gesù che parla di liberazione e di speranza, insieme alle mie consorelle, ho scelto di "farmi presenza amica" accanto a queste giovani donne straniere, spesso minorenni, per offrire loro il vino della speranza, il pane della vita e il profumo della dignità.

Oggi, osservando il volto di Susan chinarsi e illuminarsi in quello del suo piccolo Francis, scelto e accolto con amore, ripensando alla sua storia - una tra le tante storie accolte, la quale ancora bambina (16 anni) si è trovata sulle nostre strade come merce da comprare, da violare e da usare da parte di tanti uomini italiani - sono stata assalita da un sentimento di profonda vergogna, ma anche di rabbia.

Ho sentito il bisogno, come donna, come consacrata e come cittadina italiana, di chiedere perdono a Susan per l'indecoroso spettacolo a cui tutti, in questi giorni, stiamo assistendo. E non solo a Susan, ma anche alle tante donne che hanno trovato aiuto e liberazione e alle tante, troppe donne, ancora schiave sulle nostre strade. Ma anche ai numerosi volontari e ai tanti giovani che insieme a noi religiose credono nel valore della persona, in particolare della donna, riconosciuta e rispettata nella sua dignità e libertà.

Sono sconcertata nell'assistere come da "ville" del potere alcuni rappresentanti del governo, eletti per cercare e fare unicamente il bene per il nostro Paese, soprattutto in un momento di così grave crisi, offendano, umilino e deturpino l'immagine della donna. Inquieta vedere esercitare un potere in maniera così sfacciata e arrogante che riduce la donna a merce e dove fiumi di denaro e di promesse intrecciano corpi trasformati in oggetti di godimento.

Di fronte a tale e tanto spettacolo l'indignazione è grande! Come non andare con la mente all'immagine di un altro "palazzo" del potere, dove circa duemila anni fa al potente di turno, incarnato nel re Erode, il Battista gridò con tutta la sua voce: «Non ti è lecito, non ti è lecito!».

Anch'io oggi, anche a nome di Susan, sento di alzare la mia voce e dire ai nostri potenti, agli Erodi di turno, non ti è lecito! Non ti è lecito offendere e umiliare la "bellezza" della donna; non ti è lecito trasformare le relazioni in merce di scambio, guidate da interessi e denaro; e soprattutto oggi non ti è lecito soffocare il cammino dei giovani nei loro desideri di autenticità, di bellezza, di trasparenza, di onesta. Tutto questo è il tradimento del Vangelo, della vita e della speranza!

Ma davanti a questo spettacolo una domanda mi rode dentro: dove sono gli uomini, dove sono i maschi? Poche sono le loro voci, anche dei credenti, che si alzano chiare e forti. Nei loro silenzi c'è ancora troppa omertà, nascosta compiacenza e forse sottile invidia. Credo che dentro questo mondo maschile, dove le relazioni e i rapporti sono spesso esercitati nel segno del potere, c'è un grande bisogno di liberazione.

E allora grazie a te, Susan, sorella e amica, per aver dato voce alla mia e nostra indignazione, ora posso, come donna consacrata e come cittadina, guardarti negli occhi e insieme al piccolo Francis respirare il profumo della dignità e della libertà.

 

Sr. Rita e sorelle comunità Rut

Se non ora... quando? - 13.02.2011

Era domenica 13 febbraio e anche in una piazza di Cesena, gremita di gente, si è levato un grido: se non ora, quando? Più di 200 piazze in Italia si sono riempite per raccogliere quel grido e rispondere: "adesso!".

Erano soprattutto donne!

Dopo l'onda d'urto di giovani, in particolare studenti che ha cercato di superare gli scogli di un sistema sempre più autoritario e reazionario è arrivata questa onda fatta di donne. In quella piazza si è colto un sussulto di orgoglio, di vitalità: un bisogno di uscire da questa situazione di stallo. C' era un'aria quasi di primavera, coi suoi profumi e il suo bisogno di scrollarsi di dosso degli abiti troppo pesanti.

Qualcuno osservava la scarsa organizzazione, ma io vedevo la bellezza di questa disorganizzazione perchè portava le persone a salutarsi, ad abbracciarsi, a dirsi: "ci sei anche tu?" E un sorriso, quasi liberatorio illuminava il volto di tante donne.

Si narra nella bibbia che il re Assuero, che regnava dall'India fino all' Etiopia, volendo mostrare al mondo tutto il suo potere e le sue ricchezze, indisse una festa a cui aveva invitato tutti i capi del regno ostentando un fasto mai visto. Il settimo giorno, quando il re aveva il cuore allegro per il vino, ordinò alla regina Vasti, di presentarsi a lui per mostrarla al popolo e ai capi.

Ma la regina rifiutò di venire! Mai visto un comportamento simile. Ha fatto tutto per impressionare il mondo e Vasti rovina tutto mettendolo in imbarazzo.

Un atto di ribellione inaudito! Una forte rabbia si accese dentro di lui e cerca la punizione per questa donna.

Vede minato il suo potere di sovrano, ma ancor più il ruolo degli uomini. Se si verrà a sapere quanto Vasti ha osato fare al re, tutte le donne potrebbero ribellarsi ai comandi del marito! Il popolo delle donne potrebbe ribellarsi, reclamare diritti assurdi: parità e dignità!

Vasti sarà degradata a semplice cortigiana, ma ottiene quello che voleva: non comparire davanti al re per essere mostrata al popolo come un semplice oggetto di bellezza e di prestigio da parte del potere.

Quanto questa regina ribelle ha osato "non fare" sarà raccontato alle generazioni future: le mamme lo racconteranno alle figlie e crescerà il desiderio di libertà femminile che, come acqua impetuosa farà un giorno crollare la diga del patriarcato.

E poi Roberto Benigni che canta, quasi sussurrandolo, l'inno di Mameli, raccogliendo il bisogno di gridarlo di tutti coloro che vengono coperti dal rumore di una propaganda divenuta pedante con  la sua ripetitività.

Nella sua esegesi si è soffermato sulla parola "risorgimento" accostandola al termine cristiano: "risurrezione"...ripetendo spesso: "l'Italia s'è desta..."

Forse vedeva dei segnali di questo rialzarsi, di questa risurrezione nei movimenti degli studenti e delle donne..

Mi ha fatto bene vedere sul palco di Roma una suora parlare...

Gli hanno fatto eco le parole di suor Rita Giarretta che ha scelto di farsi presenza amica  di tante giovani donne migranti sbattute sulle strade di Caserta come merce da comprare, da violare, da usare.

Sconcertata nel vedere esercitare un potere in maniera così sfacciata e arrogante che riduce la donna a merce sente il bisogno di fare suo il grido del Battista di fronte ad un altro potente, Erode: "Non ti è lecito, non ti è lecito!"

Manca all'appello la voce degli uomini, in particolare vorrei dire la voce degli uomini di Chiesa.

Ascoltando queste voci ho sentito tutto la debolezza della voce dei nostri vescovi, troppo distanti da queste parole libere, e chiare, senza sottintesi.

"Il vostro parlare sia sì, sì; no,no!"

Se non si spezza il patriarcato che regna ormai solo esclusivamente nella chiesa, se non si rinuncia ai privilegi che questo potere corrotto e che governa solo corrompendo, questa nostra povera chiesa resta solo sale senza sapore, stolto, direbbe i vangelo!

La storia della regina Vasti continua ad essere raccontata e a risvegliare il sogno di molte donne e almeno quella domenica ci hanno fatto respirare il profumo della dignità e della libertà.

Una nuvola come tappeto  - 14.02.2011

"Una nuvola come tappeto". Così  traduce Erri de Luca l'immagine della nuvola che accompagnava gli Ebrei nel deserto. Quando la nuvola si fermava, si accampavano; quando si muoveva, la sua ombra era come un tappeto, e il popolo levava le tende e riprendeva il viaggio. Il momento del viaggio procurava profonde fratture, tutto veniva rimesso in discussione.

Se c'è una caratteristica del popolo d'Israele sta nel fatto che non ha mai posseduto una terra ed è sempre alla ricerca di una terra nuova.

Questa ricerca è partita con Abramo, guidato da una parola, è passata attraverso i magi, guidati da una stella. Oggi per noi ci sono segni che la nuvola si è mossa e noi dobbiamo disfare l'accampamento e rimetterci in cammino. Ma come per gli Ebrei il richiamo alle "cipolle d'Egitto" era forte e subdolo, anche per noi è forte la tentazione di tornare indietro e non cercare di battere strade nuove.

Ma nè Abramo, nè i magi, nè il popolo d'israele, quello più autentico, quel resto che ogni volte forse si assotigliava sempre di più tornarono mai sui loro passi. Un canto brasiliano che ha dato il titolo ad uno dei libri di Arturo Paoli dice:" Il viandante è senza strada. La strada si fa camminando".

Ci sono anche nel nostro recente passato segni di queste ripartenze: dopo la seconda guerra mondiale l'umanità ha sentito il bisogno di darsi nuove regole di convivenza. e poi c'è stato il '68 quando un sussulto ha percorso la gioventù di tutto il mondo e in tutti i campi si è vista una ripresa del cammino verso una democrazia più vera, una partecipazione più attiva alla vita pubblica. Nella chiesa un papa come Giovanni XXIII indisse un concilio per fare riprendere il cammino della chiesa dopo un immobilismo di secoli.

La forza d'urto di questa spinta a portato al crollo di mura di barriere di ostacoli da promulgare pari diritti e dignità per tutti gli uomini e le donne .

Quello che oggi sembra verificarsi è sì un movimento, ma per riportarci indietro.

Qualche tempo fa è stata varata la riforma della scuola. senza entrare nel merito dei contenuti, mi ha però colpito un commento del ministro della pubblica istruzione, Gelmini, quando ha detto soddisfatta: "finalmente è stato definitivamente sepolto il '68!".

Detto a proposito della scuola la cosa è triste. La spinta che alla scuola venne data in quegli anni è stata frutto dell'esperienza di d.Milani a Barbiana. Parole guida di quella scuola erano:dignità, coscienza,coerenza.

Avere il potere della parola voleva dire essere sovrani. Nessuno ha potere sulla mia vita. Io sono sovrano di me stesso. Se seppellire il '68 vuol dire realizzare una scuola basata sul merito, sui privelegi economici o di classe rinnegando la sovranità delle persone. Allora mi sa che mentre la nuvola è partita per una direzione, il popolo è andato da un'altra parte.

Basta vedere come l'analfabetismo, la povertà di linguaggio di oggi sia più grave dell'analfabetismo di anni fa.

La stessa cosa è successa alla chiesa. I pochi rimasti dell'età del concilio si stanno chiedendo che fine abbia fatto quell'idea di popolo di Dio che tanto aveva entusiasmo i credenti. Più forte e chiusa che mai è tornata una chiesa gerarchica autoritaria togliendo tutto il potere alla coscienza. "perchè lasciarvi imporre precetti quali - non prendere, non gustare, non toccare - precetti che hanno parvenza di sapienza con la loro affettata religiosità e austerità mentre non servono che a soddisfare il proprio orgoglio..." dice s. Paolo.

Per non parlare della politica con un ritorno ancora più squallido verso un potere assoluto in mano ad una sola persona.

Mentre scrivo si fa memoria della shoa'.

Si raccolgono memorie e testimonianze delle persone vissute nei campi di concentramento come cose preziose le uniche in grado di una memoia vera di quella realtà storica, eppure si tratta di persone che hanno vissute col dubbio che la loro storia finisse nell'oblio, senza la speranza che qualcuno venisse aconoscenza della loro vicenda. Quando noi oggi leggiamo certe pagine sentiamo come quella fosse la realtà, molto più di tutto ciò che appariva ufficialmente.

Sono le storie di oggi che però dobbiamo ascoltare, alle quali dobbiamo andare dietro come fossero la nuova nube che ci invita a rimetterci in movimento, storie capaci di scuotere ancora le nostre coscienze: storie di poveri, di miti, di affamati e assetati di giustizia, di operatori di pace di persone che hanno rimasto solo le lacrime per esprimersi.

Il popolo del presepe  -  01.02.2011

Cesare Augusto voleva contare il suo popolo, allora indìce il censimento di tutta la terra. E tutti andavano a farsi registrare, ciascuno nella sua "città".

Un angelo, invece, si rivolge a dei pastori dicendo loro che è nato un salvatore portatore di una grande gioia per tutto il popolo.

E questo popolo si da' appuntamento in una grotta, attorno ad un bambino.

Nell'apocalisse si dice che è una moltitudine immensa di ogni nazione, razza e lingua che nessuno poteva contare. Pare che ci siano due popoli: uno che si può contare, uno che non si può contare. Uno che conta e uno che non conta. Uno pesante e l'altro senza peso, mite. 

E' il popolo del presepe.

Quando si fa il presepe di solito sono i bambini a disporre le statuine e loro sanno quelle che ci devono andare. Ci sono delle statuine che se non ci fossero non ci sarebbe il presepe...Il popolo del presepe ha una storia molto breve: la durata di un natale! Passato il natale viene rimesso negli scatoloni e dimenticato per tutto un anno... perchè è il popolo che non conta...!

E' questo il popolo a cui l'angelo si rivolge dicendo che è nato "un" salvatore che si chiama Emmanuele: Dio - con - noi. Ma nessuno dovrebbe dire: Dio è con noi! Tutte le volte che qualcuno ha osato dire: Dio è con noi, è stato una  tragedia!

S. Paolo interpreta l'angelo dicendo: "è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza!"

Che cos'è questa grazia che porta salvezza?

E' l'umanità di Dio. Di quel Dio che da quando si dice abbia cacciato dal paradiso l'uomo e la donna, era presentato sempre adirato, con in mano una spada infuocata. Ci si era dimenticati troppo facilmente che quando i due partirono Dio regalò loro due tuniche cucite dalle sue stesse mani. Questa è delicatezza, non ira. 

Questa è grazia, è umanità.

L'incontro fra i pastori e Maria e Giuseppe col bambino è pieno di grazia, di umanità.

Un incontro nato da notti di veglia e di attesa, da un ascolto di parole vive, che non avevano bisogno di amplificazione, in bocca a persone che non avevano bisogno di riflettori per farsi vedere, ma che brillavano di luce propria.

Un incontro nato dal bisogno di muoversi insieme per cercare, perchè la salvezza non è un fatto privato, ma sempre comunitario.

E fu così che anzichè darsi appuntamento nella "città" dove tutti si recavano per farsi contare, si ritrovano, quasi senza saperlo davanti ad un bambino che non ha niente di quel Dio che fa paura e lì cominciano a raccontarsi le loro storie e ad ascoltare le storie degli altri. Storie belle, storie di gioia ma anche storie di sofferenza di pianto. Si raccontarono i sogni, le paure, le ansie i pensieri di tante notti insonni.

Ma il fatto di poter condividere con qualcuno la propria storia ha creato in tutti una gioia capace di vincere la paura.

Il racconto è la salvezza...

Quando due o più persone che non contano,  si incontrano e si raccontano: "io sono in mezzo a loro", dice Gesù. E allora il Dio - con - noi, il natale, la salvezza, la grazia, l'umanità nasce in tutta la sua bellezza.

Quando Gesù, lasciò la sua casa per andare da Giovanni Battista e poi nel deserto, si portò dietro i ricordi di Maria e Giuseppe, la memoria di quel popolo che si riunì in quella grotta per far festa il giorno della sua nascita.

Un popolo umile e povero: ricco solo della sua storia, dei suoi sogni.

E quando lungo le rive del Giordano vide tutta quel popolo in attesa che chiedeva di dare un volto alla speranza lo riconobbe subito e vi si immerse con l'entusiasmo di un bambino.

E quando Giovanni fu arrestato non potè fare a meno di tornare in mezzo a quel popolo, che ormai era il suo popolo, perchè, diceva: "è come un gregge senza pastore"!

La misura era colma: bisognava cambiare questo sistema corotto, violento, ingiusto. Usava, per farsi capire, un'immagine familiare: bisogna fare come coi pesci: farli venir fuori dall'acqua; diventare una specie di pescatori di uomini.

Alcuni subito lasciarono le reti, la barca, il padre, le loro sicurezze, sia pur buone, pur di lottare per la libertà di quel popolo.

Ben presto cominciarono a raccogliersi folle sempre più numerose intorno a lui, ansiose di ascoltarlo, di fare qualcosa per cambiare un regime  che non teneva conto delle attese di quel popolo che non conta, ma che Dio aveva scelto per confondere quelli che contano.

Fu così che un giorno vedendo le folle, salì su di un monte e messosi a sedere si mise ad insegnare dicendo: beati i poveri, gli afflitti, ...

Sembrava di respirare quell'aria che si respira dopo un temporale!

Erano parole che non nascevano da studi, o calcoli, ma da uno sguardo: "vedendo...".

Parole che non si possono ascoltare stando sulle proprie posizioni: bisogna salire su di un monte, rompere con la propria visione della realtà.

Allora parola e ascolto si incontrano.

E vero: quel "beati" suona un pò vuoto a noi oggi, ma letto alla luce di quel "pescatori di uomini" forse si potrebbe capire.

Sembra dire Gesù: è arrivato il tempo in cui i poveri, i miti, gli affamati e assetati di giustizia , i perseguitati per la giustizia, gli operatori di pace devono emergere, camminare a testa alta...

Quando Gesù è posto di fronte all'adultera, abbassandosi al suo livello, mentre si raccontano ciò che hanno visto e udito nella loro vita, rompono il cerchio di chi li voleva prigionieri delle leggi e realizzano la salvezza dando inizio ad un popolo fatto di persone che hanno storie da raccontare.

Quando capita di vedere o leggere di quel popolo che ha vissuto quella tragedia che chiamiamo Shoà ci si domanda: come vedevano dai lager il mondo queste creature? Chi porta su di sè il peso della storia ha il privilegio - un privilegio muto e incenerito - di conoscere in un colpo solo il significato del mondo. 

E' ancora il popolo del presepe, delle beatitudini: un popolo immerso nelle tenebre che ha visto una grande luce, ma che i suoi contemporanei non hanno saputo accogliere.

Questo popolo continua a camminare per i sentieri della storia, ma noi no riusciamo a vedere la sua luce, a godere della grazia, della umanità, della salvezza di cui è apportatore...

Si prega armati, si combatte disarmati  -  08.11.2010

Erano appena sbarcati sull'altra sponda del mar Rosso, dopo una fuga iniziata in una notte di luna piena, la prima di quella primavera, erano sfuggiti all' inseguimento degli egiziani, speravano in un pò di pace, speravano di essere arrivati alla fine dei loro guai.

Erano fuggiti da una lunga schiavitù che per il loro popolo durava ormai da 400 anni. Avevano rischiato di perdere, oltre alla loro libertà, anche la loro identità, dignità. Finalmente un uomo, Mosè, era riuscito ad organizzare questa fuga, che dopo molti tentativi fatti in altre tempi da altre generazioni sembrava impossibile. L'esodo, parola che poi è diventata sinonimo di ogni viaggio verso la libertà era compiuto. Erano arrivati in una terra in cui l'acqua scaturiva abbondante da una roccia, e il cielo dava cibo gratuitamente: sembrava un paradiso. Si festeggiava con canti e balli! "Allora Amalek venne a combattere contro Israele…"(Es.17) Il suo esercito era ben organizzato ed armato, voleva difendere la "sua terra"! Non poteva permettere che una accozzaglia di stranieri, straccioni, vagabondi e poveri venisse a rompere il loro equilibrio, incrinare le loro sicurezze, rubare i loro privilegi, chiamati diritti…faticosamente conquistati. Col suo esercito andò incontro a questo gruppo di profughi con l'intenzione di ricacciarli in mare. Allora Mosè disse a Giosuè di "scegliere alcuni uomini" e uscire in battaglia contro Amalek, mentre lui sarebbe andato sulla cima del monte a pregare con in mano il bastone di Dio! C'è subito qualcosa di strano in questa proposta: perchè solo alcuni uomini e non tutti quelli in grado di combattere e visto che l'unica arma che possedevano era quel bastone perchè  usarlo per pregare e non per combattere! Nella fuga non avevano portato con sè delle armi!

Ma Mosè li convinse ad andare incontro ad Amalek…per portare le loro ragioni, il loro diritto alla vita! Quando Mosè alzava le braccia, Israele vinceva, quando le lasciava cadere era più forte Amalek. Allora Aronne e Cur sostennero le sue mani così Israele sconfisse Amalek… Forse è nata di qui l'idea di pregare per gli eserciti prima di ogni battaglia,  e tutte le guerre sono diventate guerre sante… C'è un particolare però di cui ci si dimentica: l'esercito di Giosuè era  scarso di numero e soprattutto "disarmato". E' una caratteristica di tutte le grandi battaglie della bibbia, anche se finiscono tutte con una "carneficina", ma è per voler dire che non c'è compromesso e la vittoria dei poveri, dei disarmati, dei miti è certa, totale e radicale…ma il combattimento è sostenuto tassativamente senza armi. La battaglia per conquistare Gerico fu combattuta con delle trombe. La battaglia di Gedeone contro i Madianiti fu combattuta con delle pentole di coccio. 

Davide sconfisse il gigante con una fionda. Giuditta, una donna sola e disarmata sconfisse l'esercito assiro Babilonese dopo gli inutili tentavi di battaglie fallite dagli israeliti. Un giorno per una Messa i bambini  vennero in chiesa armati di bastoni…per pregare bisogna essere armati… per combattere bisogna essere disarmati!

La preghiera è l'espressione della religione. Una religione si può identificare con la sua preghiera… se questo è vero allora bisognerebbe che una religione avesse come compito quello di sostenere le battaglie di tutti 

coloro che disarmati chiedono una terra dove gratuitamente si può trovare pane , acqua, libertà… Soprattutto una religione non può mai e in nessun modo benedire eserciti che fanno uso di armi per combattere… le uniche battaglie per cui Dio mette in atto il suo bastone sono quelle  combattute senza mezzi, senza armi…

Don Primo -  07.11.2010

Chi sta arrivando dal deserto? Chi spande profumo di tutti gli aromi più rari?

Una voce...Il mio diletto viene saltando per i monti, balzando per le colline.

Signore, non lo riconosci? E' il tuo amico, colui che ti ha amato più di ogni cosa, più di ogni persona!  Colui che ha sempre cercato il tuo volto, che ha sempre pregato: non nascondermi il tuo volto!

Lo ha cercato tra i monti, e le valli; tra i fiori e i frutti; nell'ora del tramonto e alle prime luci dell'alba. Lo ha cercato nei volti delle persone che ha avvicinato con la discrezione e delicatezza di un amico che non vuole importunare, ma scoprire. Scrutava il volto di ogni uomo, quasi a voler carpire un segno, un lineamento del tuo volto. Amava quell'uomo che Mazzolari, un altro d. Primo amava definire come "uno che cammina, senza nome, senza titolo, fuorchè quello d'uomo, insufficiente per vivere, più che bastevole per soffrire".Sembrava voler scoprire il volto umano di Dio e il volto divino dell'uomo. Ora è qui davanti a te con passo titubante, con quegli occhi pieni di stupore, col cuore pieno di speranza, perchè sa che non sarà deluso, ma la paura lo avvolge, come avvolse quella piccola donna di Nazareth un giorno di tanti anni fa...

Non fingere di non riconoscerlo... verrebbe meno... non tardare ad abbracciarlo!

Che belli i suoi abbracci! Forse si immaginava di essere accolto così da te, come lui accoglieva noi.

Ma chi vede il tuo volto, lo hai detto tu, muore: Ed ora siamo noi orfani del suo volto. quel volto attraverso il quale tu ci parlavi, ci sorridevi, ci rimproveravi, tacevi...ci mostravi il tuo aspetto più umano.

Ma il tuo stupore è stato anche il nostro quando ce lo siamo trovati accanto.

Alla domanda:"ma cosa ci fai qui?" rispondeva con richieste assurde, come disegnare una pecora, sentire il

profumo di un fiore, mangiare una cosa che sapeva farci piacere offrilgli, o fare una visita al cimitero di Barbiana.

Ci chiediamo ancora da dove sia venuto, come abbia fatto a capitare vicino a noi.

Ma tu Signore ci dice che la vita di ogni uomo viene da molto lontano, prima che il mondo fosse...e che non si riduce a quelle forme che noi riusciamo a darle o a vedere, si spezza sempre per raggiungere altre forme, altri spazi, altri amici..

Forse ha approfittato del volo degli uccelli per arrivare a noi.

Ci ha sedotto con la sua risata e un pò anche per il suo sguardo a volte triste che si perdeva lontano. Forse per questo spesso percorreva le strade di collina per godersi il tramonto...quando si e tristi si amano i tramonti!

Quanto abbiamo cercato di capirlo, ma è sembrato sfuggire ad ogni presa! Credo sia per questo che non voleva che si parlasse di lui. A volte abbiamo preso sul serio parole senza importanza...e non abbiamo colto certi silenzi o assenze."I fiori non bisogna mai ascoltarli. Basta guardarli e respirarli".

L'essenziale è invisibile agli occhi:  parole che lo lo riempivano di emozione quando  contemplava fra le mani "quel niente di pane in cui c'è tutto!".

Ogni cosa era motivo di stupore. perchè tutto era frutto di una preparazione di un rito che lo precedeva. Era come bere un bicchiere d'acqua fresca da una sorgente: non era buona sola per sete che dissetava, ma soprattutto per il cammino che si era fatto per raggiungerla. E ogni volta che incontrava qualcuno gioiva perchè vi leggeva tutta la strada che aveva fatto per giungere lì e magari inginocchiarsi e chiedergli una parola di perdono. 

Allora non aveva più bisogno di ascoltarti,  gli bastava sapere che sì era fatta della strada, più interiore che fisica per inginocchiarsi.

Ora Signore e lì davanti a te. Si era preparato tanti discorsi, ma credo non riesca neppure a balbettare.

Vorrebbe gridarti tutta la verità della vita sulla terra, vorrebbe dirti di aver tentato di essere un uomo, vorrebbe soprattutto non rinunciare ad essere  "coscienza" : terra che pensa, che ama, che adora!

Mostragli, Signore il tuo Volto e donagli la pace e la tua benedizione. Questa è stata la risposta che hai dato al mondo che ha inchiodato Cristo, il tuo figlio, sulla croce. E' stata la preghiera che ti ha rivolto uno dei suoi amici, D. Bonhoeffer, dalla prigione: "dalla benedizione di Dio e del giusto il mondo riceve vita ed ha futuro. Benedire, cioè, mettere la mano su qualcosa e dire: tu appartieni a Dio!"

Sussuragli all'orecchio: grazie di tutto, d. Primo! Come ha sussurrato una donna il giorno che lo abbiamo affidato alla terra e alle tue braccia.

Abbraccialo; Signore, e benedicilo!

E a te che non hai conosciuto d. primo vorrei dire  le parole di un poeta guatemalteco: "essere in anticipo sul proprio tempo, è soffrire molto, ma è bello amare il mondo con gli occhi di coloro che non sono ancora nati".

E quelle del subcomandate Marcos: "non morirà il fiore della parola: potrà morire il viso nascosto di chi oggi la dice, ma la parola che è venuta dal profondo della terra e della storia non potrà essere strappata dal potere e dalla superbia...".

E se per caso vedrai un bambino guardare il mondo con occhi curiosi e magari chiederti di disegnargli un fiore con le parole, tu, chiedigli solo se lo vuole anche profumato...e faccelo sapere... chissà!

La porta stretta - 12.10.2010

"Gesù passava per città e villaggi, insegnando, e diceva: sforzatevi di entrare per la porta stretta…"

Da questa espressione e altre come il  "volete andarvene anche voi?" sono nati una serie di ricatti da soffocare la libertà di coscienza delle persone.

Tutte le volte che qualcuno non accettava le condizioni che la chiesa poneva, si faceva appello a queste parole di Gesù, quasi a voler accusare di pigrizia, di lassismo, di mancanza di amore nei confronti di Cristo e della sua chiesa.

Oggi se qualcuno vuole ricevere il battesimo, sposarsi, o fare la comunione deve passare attraverso molte strettoie.

Ma la colpa è di Gesù stesso il quale, quando ha parlato di "porta", si è dimenticato di darcene le misure. Forse si fidava dei muratori che, come sempre, sono dotati di buon senso.

Poi sono arrivati gli architetti e gli ingegneri e hanno supplito alla sua dimenticanza.

Sono arrivate le misure che cambiavano come la moda, adducendo motivi  di cultura, di efficienza, ma soprattutto di ordine.

Le porte dovevano selezionare chi entrava e far uscire chi non rispettava le regole, creando le vittime sacrificali di questa religiosità.

Così si è formata una chiesa che ha la presunzione di avere il possesso delle regole, e spinta dal suo spirito universalista ha cercato di esportarle in tutto il mondo.

Questa estate un ragazzo Mozambicano che studia teologia a Roma parlando con un gruppo di ragazzi, spiegava come la chiesa in Africa per giustificare  l'immoralità dell'uso dei preservativi, adduceva come motivazione che gli stessi sono portatori di malattie.

Mentre, poiché in Africa un uomo che non ha figli è considerato un mezzo uomo, per giustificare il celibato dei preti sono ricorsi ad un espediente quasi ridicolo: un prete dà il proprio nome al  figlio di una sorella, salvando in questo modo la forma.

Come esportare le misure delle porte!

Senza parlare del fatto che in Mozambico, come in tante parti del mondo, non si coltiva il grano e non si produce uva, eppure il pane e il vino importati, sono il culmine e la fonte della religione cristiana. Sembra essere più l' esportazione di una cultura che dello spirito del vangelo!

All'inizio i cristiani si riunivano nelle case, ascoltavano la parola, spezzavano il pane: nessuno fra loro era bisognoso, nessuno giustificava la violenza: non era possibile fare il militare.

Oggi c'è tanta gente nel bisogno, ma non ha la possibilità di entrare nella casa - chiesa. E la guerra è entrata, trovando giustificazioni. Oggi un soldato che muore è posto sullo stesso piano di un martire.

E fino a qualche tempo fa, era giustificata e praticata anche dallo stato del vaticano la pena di morte.

La parola di Gesù che diceva essere più facile per un cammello passare per la cruna di un ago anzichè un ricco entrare nel regno dei cieli sembra essersi capovolta. E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un povero si trovi a far parte di questa chiesa.

Il successore di quel Pietro che fu crocifisso è diventato un potente con tutti i segni del potere.

Certo Gesù non ha dato le misure della porta in termini di numeri o di regole, ma ha detto di essere lui la porta. Quando i vangeli ricordano, e lo fanno spesso, che lui passava per città e villaggi, insegnando, volevano dire che ci passava aprendo strade nuove, passaggi diversi, vivendo relazioni inedite e così incontrava lebbrosi, storpi ciechi, zoppi e anche un Zaccheo che subito distribuisce la metà dei suoi beni ai poveri. Il suo insegnamento coincideva col suo passare.

Lui l'uomo delle beatitudini, cercava di ridare fiducia e speranza a poveri, miti, perseguitati, affamati e assetati di giustizia… E ricordando che i pubblicani e le prostitute ci precedono nel regno, mentre chi passava per le 

strade principali del villaggio o della città, quelle omologate dalla cultura, rischia di non essere neppure riconosciuto.

Per secoli abbiamo vissuto con la presunzione di essere i promotori di Dio, come se tutte le strade del mondo portassero a Roma, mentre tutte le strade del mondo dovrebbero portare dove l'uomo soffre.

Cominciarono a parlare - 25.06.2010

Raccontando la pentecoste, la discesa dello Spirito Santo, Luca, cerca di trasmettere il significato che poteva avere lo spirito santo, usando gli elementi a sua disposizione. 

Inserisce il fatto nel contesto di una festa: quella in cui gli ebrei ricordavano il dono della parola che Dio ha fatto a Mosè, sul Sinai. E usa il linguaggio dei simboli: il vento e il fuoco.

La cosa più importante del racconto si concentra sull'effetto dello Spirito: "…e cominciarono a parlare!".

Cominciarono a parlare coloro che non avevano avuto il coraggio durante il processo di parlare per difendere Gesù!

All'inizio della Bibbia, quando si dice che Dio creò il cielo e la terra, è lo Spirito Santo che fa cominciare a parlare Dio: "e Dio disse…"

Lo Spirito, la Ruha, questa realtà femminile ricordata nelle prime righe della bibbia, è ciò che fa parlare Dio, e questi parlando chiama alla vita tutte le cose.

Quando un babbo e una mamma insegnano ai propri figli a parlare cominciano da parole chiave, c'è un alfabeto da imparare per parlare.

Così lo Spirito insegna, suggerisce agli apostoli di cosa parlare!

E' Pietro a prendere la parola, in piedi , a voce alta, chiede di fare molta attenzione alle sue parole, e dice: "si sappia con certezza…" C'è una verità che non è stata detta!

Si rivolge a tutta la casa d'Israele - ai capi del popolo, religiosi e politici - e li accusa apertamente di essere responsabili della morte di Gesù il quale era innocente.

Credo sia semplice dire che da quel momento la chiesa quando prende la parola la deve prendere solo e sempre per difendere chi è ingiustamente accusato e lasciato morire senza che nessuno lo difende.

Si deve avere il coraggio di accusare chi è responsabile di morti innocenti.

Solo in questo caso si può dire: "incominciarono a parlare!". non c'è altra parola capace di giustificare il nostro parlare.

Lo spirito è il fiato per pronunciare il giudizio di Dio.

Non ci possono essere equivoci sul linguaggio che la Chiesa è chiamata ad usare.

"Non morirà il fiore della parola.

Potrà morire il volto nascosto di chi la dice oggi,

ma la parola che è venuta dal profondo della storia e della terra

non potrà essere strappata via dal potere e dalla sua superbia.

La nostra parola la nostra lotta è per la vita…per la giustizia….per la pace… per la storia, non per la dimenticanza…"

(Subcomandante Marcos.)

Lo spirito soffia dove vuole… e si fa parola nella bocca che lui sceglie, nessuno può impadronirsi del vento o del fuoco…

In questi giorno si è parlato dell'attacco israeliano alle navi che portavano aiuti alle popolazioni di Gaza.

Credo che per incominciare a parlare sia necessario partire dalla situazione della popolazione di Gaza.  E' nata come una baraccopoli per i profughi cacciati dai territori occupati dalle colonie israeliane. Sono anni che sono chiusi in una prigione a cielo aperto. Ci sono 700.000 ragazzi sotto i 14 anni. La maggior parte di loro non è mai andata oltre il muro che li circonda. Non hanno strumenti per studiare. Non hanno medicine. Non hanno viveri e dopo gli attacchi del gennaio 2009 molte case, ospedali, luoghi di lavoro…sono fatiscenti!

I loro diritti sono la prima parola intorno alla quale si può e si deve cominciare a parlare.

Gentili Pasquale

Noli me tangere  - 20.04.2010

Da un sondaggio tra i cattolici, risulta che meno del 20% crede nella resurrezione.

E' un bene che un certo approccio alla resurrezione sia morto.

I vangeli, pur nelle loro apparenti incongruenze ci danno delle piste di ricerca per accostarci a questo evento, senza volerci imporre una visione unilaterale. Sembra invece che vogliano indicarci dei percorsi che se compiuti potrebbero aprire i nostri occhi a visioni nuove. Sembrano dire che ogni religione ha una sua particolare sensibilità per giungere alla fede.                                             

L'evangelista Giovanni ci mostra il cammino che ha portato la Maddalena all'incontro con Gesù, il mattino di pasqua.

Diversi artisti l'hanno ritratto e collocano i due in un giardino, mentre tentano di toccarsi con le mani: l'una nel tentativo di afferrare Gesù, l'altro nel gesto di salutare in segno di partenza.

Il titolo del quadro è preso dalle parole che Gesù rivolge alla Maddalena: "noli me tangere", non mi toccare, non cercare di trattenermi, di  possedermi.

E' un gesto che richiama un'altra storia, un altro giardino, un'altra donna: siamo all'inizio della creazione ed Eva si trova alle prese con un frutto che non avrebbe dovuto prendere, fare suo.

La vita non è un possesso: nè la propria, tanto meno quella degli altri.

Gesù ha fatto della sua vita un dono: " io la vita la dò da me stesso, nessuno può prendermela…"

"La vita è un dono e la meritiamo soltanto offrendola" (Tagore)

Quelle mani che si tendono senza toccarsi esprimono un percorso interiore. La mano è il primo contatto che cerchiamo in una relazione d'amore. La Maddalena percorre tutte le tappe dell'amore: desiderio - ricerca - attesa - silenzio - assenza - abbandono - paura - ascolto - visione - unione - contatto - e ancora scomparsa - partenza.

La vera relazione è nelle mani aperte che lasciano andare la persona amata, che toccano senza volere possedere, distruggere. Alla Maddalena viene chiesto di rinunciare alle sue stesse speranze, ai suoi progetti, sogni desideri di un tempo.

L'esodo, la pasqua è liberare l'amore dal rischio del possesso.

Quando la Maddalena parte è ancora buio, forse non solo fuori, ma soprattutto dentro di lei. Giunge al sepolcro e trova il vuoto. La morte lascia buio e vuoto: resta il pianto! Quattro volte si dice che piangeva!

Ma quella pietra che è stata spostata libera uno spazio, apre alla speranza.

L'olio profumato che si era portato con sè è il segno della speranza che la guida, forse è proprio quella a spostare la pietra.

"Niente è più umano del fatto che l'uomo desideri naturalmente cose impossibili alla natura" (J. Maritain).

Ritorna la domanda che un'altra Maria rivolse ad un angelo che le prometteva la nascita di un figlio il cui regno, il suo potere sulla vita, non avrebbe avuto mai fine. "come è possibile?".

Ora la Maddalena, memore di quella domanda attende una risposta.

Non smette di attendere. Pietro e Giovanni se ne tornano indietro impauriti e confusi. Lei resta lì, a piedi nudi, sola e indifesa, cosciente che Dio sceglie sempre le cose deboli per manifestarsi.

"Le cose più importanti della vita non si cercano: si attendono!" (S. Weil)

Per entrare in una relazione libera occorre tempo, percorrere un cammino ignoto, accettare sfide sconosciute.

Viviamo una fede nella resurrezione che si limita alla possibilità di piangere di fronte a un sepolcro pieno, anche se solo di morte.

Ma dal buio, dal vuoto dal pianto arriva una voce inattesa, una voce che apre ad una visione, che fa domande che vogliono liberarci da noi stessi: "perchè piangi? chi cerchi?"

L'attesa ha affinato l'ascolto e  quel luogo dove altri non avevano visto e udito nulla, si riempie vita.

"Non passare mai davanti ad una cosa grande senza vederla" (S. Weil)

La bibbia è Dio che prende la parola e tutta la sua parola si riduce ad un nome: il nome della Maddalena: Maria! il mio nome!

S. Paolo parlando della resurrezione dice che Dio ha dato a Gesù un nome che è al di sopra di ogni altro nome, un nome nuovo.

Mons. Romero consapevole del rischio che correva di essere ucciso diceva: "Risorgerò nel mio popolo."

Della Maddalena non troviamo più tracce, ma il suo viaggio continua non come fuga, ma continuità di ascolto.

Continua nella storia di tante donne nomadi, in continuo movimento, donne capaci di creare spazio e relazione, donne aperte al dono, all'accoglienza e pronte al distacco.

Madri, vergini, spose non viste, solitarie, in silenzio, non credute, senza nome, senza volto, ma con un annuncio da portare: la qualità della vita, la gratuità dell'amore.

Le opere sono utili, ma la gratuità supera l'utilità.

Il mistero ci accompagna in ogni momento: quel mistero che non riguarda cose non ancora conosciute, bensì realtà che non saranno mai conosciute.

Democrazia nella chiesa  - 31.03.2010

Il card. Bertone, segretario di stato del Vaticano, in una lezione all'università di Breslavia, in Polonia, definisce la democrazia, un sistema di governo che si basa "sulla ripartizione del potere", e per questo non può essere assunto dalla chiesa, perchè il vangelo non può essere condizionato da una maggioranza, e il rapporto tra gerarchia e popolo di Dio non può mai essere posto in termini di ripartizione di potere, e, l'opinione sia pure di una maggioranza non può sostituire la fede! Ma la prassi della chiesa delle origini non era così! Negli Atti degli apostoli, in quello che può essere definito il primo concilio, la decisione finale fu presa "dagli apostoli, dagli anziani e da tutta la chiesa". E questa prassi andò avanti fino a Costantino. Che casa è cambiato? Allora la chiesa era composta di persone povere e senza potere, apostoli compresi. Quando tutti si è poveri, sullo stesso piano, è più facile riconoscere a tutti lo stesso valore e potere. Oggi nella chiesa ci si riconoscono persone che ostentano potere e ricchezza e non sono disposte a mettere al vaglio della maggioranza le loro idee o privilegi. Ci può stare che la verità non possa essere divisa, ripartita, ma tanto meno può essere monopolio di una minoranza che non rispecchia il contesto e la voce che Gesù aveva scelto per annunciare il vangelo. "Il vangelo non è una dottrina che vale indipendentemente da chi l'annuncia. Non è una dottrina, ma un annuncio: la sua forza è strutturalmente connessa alla testimonianza. Non è possibile un annuncio di povertà e di pace senza essere poveri e amanti della pace." (E. Balducci) Non tutte le bocche possono dar voce alla parola di Dio, (anche il diavolo nel deserto usa la bibbia per rivolgersi a Gesù!) non tutti i luoghi o interlocutori possono essere spazio per far risuonare la parola di Dio (in casa di Erode Gesù non disse una parola!) Allora il vangelo è tale solo partendo dalla bocca che lo annuncia, dal luogo in cui viene annunciato e in riferimento alle persone a cui è indirizzato. Penso ad amici, preti e non, che la gerarchia, per la difesa di una verità rigida e statica, ha tagliato fuori dalla comunità. Penso ad Alessandro Santoro, prete delle Piagge, (FI) che da più di tre mesi è sospeso da ogni incarico senza che gli sia stata offerta nessuna prospettiva. Penso a Jon Sobrino di qualche anno fa… Ma quale verità si tratta di difendere? Quando Pilato si trovò davanti a Gesù e gli chiese: "che cos'è la verità?", lui non gli rispose, perchè la verità non è una "COSA". La verità è ciò che nasce da una relazione da cui ci si lascia coinvolgere. Fare la verità, era l'espressione che Gesù amava. Per Pilato la verità da fare era che, dopo aver proclamato per tre volte, l'innocenza di Gesù, avrebbe dovuto liberarlo. Avrebbe fatto la verità!!!… e invece per una verità di comodo e paura l'ha lasciato morire. Le verità della gerarchia inibiscono, tarpano le ali, bloccano i viaggi di chi, come quel samaritano che percorreva la strada da Gerusalemme a Gerico vedendo l'umanità nel suo bisogno di liberazione, si fermò versando su quell'uomo ferito olio e vino: cose che leniscono le ferite e rallegrano il cuore: creò un nuovo culto, con nuovi riti, nuovi spazi sacri. La chiesa dovrebbe essere un esempio di democrazia, e sapere dare voce alla vera maggioranza dell'umanità, quella che Gesù sul monte delle beatitudini sollevando lo sguardo indicava come poveri, afflitti, miti, operatori di pace, affamati e assetati di giustizia e per questo perseguitati … Questa è da sempre la vera maggioranza dell'umanità. Ma c'è solo un modo per annunciare il vangelo a questa folla che Gesù mette davanti agli occhi dei suoi discepoli allora e della sua sua chiesa oggi: vivere con loro! Non lo si può annunciare da nessuna posizione di potere, nè di sicurezza che teme il confronto, così, si finisce per rivendicare una infallibilità che è solo paura e difesa di privilegi. Sia Pietro che Gesù mai si sono ritenuti infallibili…. più volte si sono resi conto, incontrando persone, lasciandosi prendere dalla compassione e dalla simpatia che le loro posizioni andavano modificate. 

Limiti della religione -  08.02.2010

Quando succede qualcosa come quello che è accaduto ad Haiti, ci si pongono delle domande: sono domande personali, rivolte alla politica, e rivolte alla religione.

La politica forse dalle domande può dedurre delle responsabilità, … la religione si trova in grande imbarazzo.

Ma credo che queste domande facciano bene soprattutto alla religione, almeno a quella che pretende di avere le risposte a tutti i problemi.

Mi pare che in tutto il vangelo si possa leggere proprio questo: il limite della religione.

Abbiamo visto i magi, questo racconto così affascinate del ciclo natalizio, seguire una stella e arrivare a Gerusalemme, il cuore della religione, per trovare risposte alle loro domande: "dov'è…?"

E' la domanda di fronte all'olocausto… è la domanda che in toni o forme diverse un uomo in situazioni estreme è costretto a porsi.

I sacerdoti ed Erode, religione e politica, elaborano una risposta teorica. Avrebbe potuto fermarsi, ma loro non si fermarono e andarono oltre, dice il vangelo "per altre strade…" e la gioia li accompagnò.

Gesù un giorno a Nazareth prese il libro delle scritture lo lesse , lo arrotolò e lo pose nello scaffale: sembra quasi voler dire: la religione ti porta fino ad un certo punto, poi è necessario abbandonarla, "riporla nello scaffale" e prendere strade inesplorate, nuove, personali, legate all'oggi della vita, della storia.

Anche Abramo si sganciò dalla sua religione-cultura per intraprendere strade nuove, non battute.

Un tale che cercava una strada per vivere una vita "eterna" degna di essere vissuta, un giorno chiede a Gesù cosa avrebbe dovuto fare. In un primo tempo Gesù si limita a dargli la risposta ufficiale: pratica la tua religione. All'obiezione di quel tale, che dice di aver praticato tutto fin dalla sua giovinezza, Gesù in uno slancio di commozione, di affetto, forse perchè era giovane, gli fa l'unica proposta per cui valesse la pena rischiare la vita: vendi tutto, lascia tutto e viene cerchiamo insieme un modo nuovo di essere uomini…

Ebbe paura e restò nel suo mondo che il vangelo definisce triste.

Una religione fine a se stessa…è triste!

Anche Giovanni, il battista, rappresentante della religione, ad un certo punto si rende conto del limite di quello che lui proponeva e comincia a dire che ci vorrebbe qualcosa che come un fuoco bruciasse tutto, per far rinascere qualcosa di nuovo. Dirà: "bisogna che io diminuisca…perchè qualcosa d'altro possa crescere".

Ora che tutte le religioni si contendono il primato della verità, ora che si è come tornati a fare proseliti, per accapparrarsi non so quale merito, se di carattere politico ed economico, è più che mai necessario che le religioni non pretendano di avere le risposte a tutte le domande. Forse il loro compito oggi dovrebbe essere semplicemente di aiutare a porsi le domande giuste, viste nella prospettiva giusta.

Quando a p. Ernesto Balducci, nella sua ultima intervista televisiva fu posta la domanda su cosa ne pensasse del futuro del cristianesimo rispose con una parola che credo profetica. Diceva, riprendendo il senso di uomo planetario, che non si tratta tanto del futuro del cristianesimo, ma del futuro di tutte le religioni. Tutte le religioni sono segnate dal particolarismo della loro storia, ciascuno deve accettare la consapevolezza di non essere il tutto: ciascuna deve fermarsi come ad una frontiera e convertirsi alla nascita di un uomo nuovo, che le trascende tutte. Compito delle religione resta, e sarebbe un grande ruolo nella storia, quello di liberare un uomo nuovo, inedito.

Un bambino avvolto in fasce  -  02.01.2010

Penso a quel che successe tanti anni fa a Betlemme: una madre che porta nel suo seno un figlio e non  trova un posto dove partorire.

Allora nessuno voleva quel bambino : sarebbe stato meglio che la sua mamma avesse abortito, magari clandestinamente. Da quando è nato non ha fatto altro che lottare per sfuggire alla morte: tutti lo volevano morto: da Erode fino a Pilato e Caifa che alla fine sono riusciti ad appenderlo ad una croce.

Ma se nascesse oggi credo che si scatenerebbe una guerra per offrirgli un posto!

Che cosa è successo in questi secoli: si è adattato lui o sono cambiati gli uomini?

Chissà se quando da adulto dirà: "se qualcuno vi dirà: eccolo qui, o, eccolo là. non credetegli", alludeva a questo pericolo.

Gesù non vuole farsi dare un posto, sarà sempre lui a scegliersi un posto, e chi vorrà trovarlo dovrà cercarlo dove lui sceglie di farsi trovare!

Mirco, 20 anni, dal carcere san Pedro di la Paz scrive:" è il 24 dicembre, comincia a farsi buio: si odono le parole arrabbiate di tanti carcerati, incrociamo gli sguardi di alcolizzati o di tossicodipendenti, abbracciamo sconosciuti. Da quanto tempo non vedono una strada, non calpestano un prato, non accarezzano la corteccia di un albero!… inizia  la messa di Natale. C'è un'aria frizzante e più allegra questa notte. I bambini (figli di detenuti costretti, per sopravvivere, a stare in carcere!) cantano, io cerco di seguirli con le mie note, padre Filippo con le sue parole  rende più leggeri i nostri pensieri: non mi sento meno peccatore di loro… ma la frustrazione è tanta!"

Nessuno certo farebbe una guerra per offrire a Gesù, un posto come quello, ma non è detto che lui non lo abbia scelto per questo natale!

I vangeli non parlano mai esplicitamente di Dio, ne indicano solo dei segni, e a natale dicono che il segno è un bambino, delle fasce e una mangiatoia.

Le fasce sono senz'altro la premura di Maria verso quel suo figlio, ma i pastori quando arrivarono alla grotta videro il bambino nella mangiatoia, sorvolando sulle fasce, non erano importanti, o forse semplicemente non erano così invadenti da nascondere il bambino!

Ho l'impressione che quelle fasce oggi siano diventate molte pesanti, ricche di ori e ricami, fatti di cultura, istituzioni, principi e dogmi… e alla fine quel bambino non si vede più!

Sarà possibile togliergli, quelle "fasce", quel di più che impedisce agli uomini di oggi di vederlo? Lui nella  sua vita ha fatto di tutto per togliersi di dosso le vesti culturali e affettive di cui era stato ricoperto: ha rinunciato agli affetti, alla cultura, alla religione. Simbolicamente prima di morire si tolse le vesti, e ciò che restava gli venne strappato sulla croce…!

E gli angeli a dire di non avere paura di chi è capace solo di dare ordini, come l'imperatore che pretende di avere tutto nelle sue mani.

E loro ad annunciare invece la gioia: una gioia che nasce dall'incontro con

quella povertà, quella nudità. Non è di questa che si deve avere paura, come non si deve aver paura degli angeli che annuciano i sogni di Dio e quelli  degli uomini quando guardano il cielo. Dove ci sono persone che si incontrano, si salutano, si guardano negli occhi si abbracciano, si donano la vita…senza avere un corpo, gli occhi, le orecchie fasciate: nasce la gioia. Quando Maria andò a trovare Elisabetta, questa le dice che è bastato la voce del suo saluto per fare esultare di gioia il bambino che portava nel seno e per dare un senso di pienezza a lei.

Forse c'è più gioia nel carcere di la Paz che nelle nostre case!

E' tempo di annunciare gioia a tante madri che portano nel seno figli e non sanno cosa ne sarà di loro, o forse sanno già che saranno crocifissi. 

Parlare d'altro - 22.11.2009

A Gesù piaceva camminare e parlare.  Era per le strade della Galilea: la sua mente era presa dalla morte di Giovanni Battista, una morte ingloriosa, una morte nella solitudine e nello squallore di una cella. Nessuna difesa, nessun amico…una vittima coi suoi carnefici…chiedendosi se ne era valsa la pena di sacrificare una vita in quel modo.

Questi pensieri occupavano la sua mente e quasi parlando tra sè diceva: "il figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e questi lo uccideranno…"

L'evangelista dice che chi lo seguiva non capiva cosa volesse dire, ma non osavano interrogarlo!

E' cosi difficile entrare nei pensieri di un altro?

E perchè se non si capisce non si fa il gesto umile di chiedere?

Riportando questo sintomo della prima comunità di credenti, forse gli enangelisti volevano ricordare alla chiesa che non è facile comprendere la parola del suo maestro, allora come oggi, e che la paura di farsi troppo coinvolgere a volte  porta a non interrogare, a non fare domande. 

Cosa voleva dire Gesù quando usava l'espressione "figlio dell'uomo"?

Noi l'abbiamo identificata con "figlio di Dio", il che potrebbe essere vero, se però chiariamo il significato che Gesù dava a questo termine. Figlio dell'uomo per Gesù, e l'uomo nella sua condizione umana, spoglia di tutto: è quell'uomo che non ha altro connotato che la sua nuda umanità.

Per essere figlio di Dio non deve servire altro.

Quando a Gesù viene chiesto se era figlio di Dio e lui rispose di sì, fu solo quando era sotto processo, senza difese, senza potere, nudo e solo…

La domanda che Gesù si fa è: come è possibile che un uomo nella sua povertà, nudità, quando si consegna nelle mani di altri, anzichè trovare aiuto trovi la morte? Perchè la sola condizione umana non è sufficente perchè mani umane sentano compassione?

Continua il vangelo dicendo che giunti a Cafarnao, Gesù chiese ai discepoli di cosa avevano parlato lungo la strada. Ancora una volta si dice che essi tacevano…perchè, dice ancora il vangelo, avevano parlato d'altro, avevano discusso tra loro chi fosse il più grande.

Forse pensavano che se uno vuole ottenere qualcosa nella vita non può presentarsi soltanto con la sua umanità senza alcuna credenziale: almeno un documento, almeno una cultura d'appartenenza, almeno un abito decente, almeno un pò di soldi, almeno un lavoro,almeno…

E qui Gesù prese in braccio un bambino…bisogna averne cura come un figlio, non ucciderlo, perchè la sua vita dipende dalle mani di qualcuno…

Che prospettive ci sono per Josephine, clandestina, sequestrata, abusata, messa incinta a 16 anni, che non sa come fare per non perdere l'amatissima bambina, figlia del sopruso?

Le parole di Gesù suonano con una verità sconcertante: Il figlio e le figlie dell'uomo saranno consegnate alle mani degli uomini e questi mani anzichè dare loro la vita offrono loro la morte!

Ma hanno ragione i discepoli: meglio parlare d'altro!

Forse Gesù voleva mettere in guardia la chiesa sui discorsi da affrontare, invitandola ad accettare le sue provocazioni, ad accettare il dialogo, a fare domande e a non evadere parlando d'altro!

Avete qualcosa da mangiare? - 27.05.2009

Era una mattina di primavera prima dell'alba, quando sette di quei discepoli che avevano seguito Gesù fin dall'inizio con entusiasmo, affascinati dal suo sguardo ancor prima che dalle sue parole, tornati in Galilea da dove erano partiti, stanchi per le emozioni vissute a Gerusalemme, quelle che avevano coinvolto il loro maestro, su proposta di Pietro decidono di andare a pescare.

Forse più per lasciarsi cullare dalle acque del lago che per prendere pesci.

Quel lago che era stato testimone di tante loro confessioni, silenzi e risate.

Si dileguano trasportati dalle onde verso il centro del lago, attratti più dalle stelle che dai pesci.

Alle prime luci dell'alba ritornano a riva senza aver preso nulla, ma allegri. Era più importante aver trascorso un'ora coi loro pensieri, senza nessuno che facesse domande indiscrete, da far riemergere il loro passato coi suoi sogni infranti.

Ma, ecco che sulla riva si staglia la figura di un uomo, dall'atteggiamento famigliare, anche se dai lineamenti confusi.

Sembra voler rompere quell'incantesimo. Li importuna con una domanda imbarazzante: "avete qualcosa da mangiare?" Si limitano a dire, quasi a voler chiudere subito la conversazione: "no!".

Lo sconosciuto insiste: "Gettate la rete dalla parte destra…"

Lo dice con una autorità a loro famigliare: non è possibile fare obiezioni!

La rete si riempie!

E' Giovanni a dire, col suo intuito di sempre: "è il Signore!".

Pietro si butta in acqua, stavolta senza le paure di un tempo. Arrivano a riva, la brace è pronta, c'è addirittura del pesce sopra, ne portano di quello appena pescato, mangiano in silenzio, non osano rompere l'atmosfera che si era creata.

Dice l'evangelista: questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai suoi discepoli, di fatto è anche l'ultima!

Vista la drammaticità del momento, vien da dire che forse era il caso di parlare di dottrina, di dogmi…di vangelo!

Invece no! "Avete qualcosa da mangiare?". Solo una domanda, per giunta quasi banale! Se doveva essere una scusa per dimostrare che era risuscitato, avrebbero almeno potuto concludere il racconto con un abbraccio, una specie di foto ricordo! Il racconto dice che nessuno osava chiedergli chi fosse, tanto che al lettore resta il dubbio!

E se invece questo fosse il vero e unico modo di manifestarsi di Gesù, come io credo? Occorre prendere seriamente questo racconto, proprio perchè è l'ultimo di Giovanni!

Se uno sconosciuto ti chiede qualcosa da mangiare, non rispondere di no,

prova a vedere se hai investito le tue energie dalla parte sbagliata. La destra di Dio è sempre la parte dove stanno i poveri, quelli delle beatitudini, quelli del giudizio universale che hanno dato qualcosa da mangiare a chi aveva fame, quelli che Dio tiene sotto la protezione della sua mano.

E se uno chiede qualcosa da mangiare non devi chiedergli chi sia: la sua domanda è più importante della sua identità!

Forse è solo questo essere testimoni della resurrezione!

Verrebbe da chiedersi: "Gesù, quando parlava, parlava di vangelo?".

Forse no, ma certamente parlava di ciò che sta a cuore a molti.

Chi di noi non ha chiesto seriamente: "avete qualcosa da mangiare?" e purtroppo si è sentito rispondere: "No!" oppure: "chi sei?"

…e se ne è andato più vuoto di prima…